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E’ in pericolo la salute degli italiani

E’ stata presentata a Roma la IX edizione del rapporto “Osservasalute. Stato di salute e qualità dell’assistenza nelle Regioni italiane” elaborato da 175 ricercatori dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane del Policlinico Universitario Agostino Gemelli. Le principali conclusioni a cui perviene il rapporto sono piuttosto allarmanti: l’Italia è sempre più malata, ma la risposta del servizio sanitario nazionale diminuisce. Infatti mentre aumentano i fattori di rischio, diminuisce infatti la risposta dei servizi pubblici e le Regioni risparmiano sulla prevenzione. E’ legittimo pertanto sostenere che la salute degli italiani sia in pericolo. Una sintesi piuttosto efficace del rapporto è contenuta in un articolo pubblicato su www.quotidianosalute.it.

“È un quadro molto preoccupante quello fotografato dalla IX edizione del Rapporto Osservasalute…

La salute degli italiani, infatti, si trova ora più che mai sotto il fuoco incrociato della crisi economica e, sebbene gli effetti di questa congiuntura negativa si rendano manifesti con una certa latenza di tempo, salta già agli occhi come gli italiani, pressati dalle restrizioni economiche, comincino a risparmiare su azioni preventive di base quali una sana alimentazione e lo sport.

Si rinuncia per esempio a frutta e verdura, che diventa un lusso per pochi (per la prima volta dal 2005, si registra un calo del numero di porzioni consumate/giorno – 4,8% contro il 5,7%, dato che era rimasto grosso modo stabile fino al 2008; a mangiarne di più sono coloro che spesso consumano i pasti a mensa che si conferma come luogo maggiormente associato al consumo di verdure, frutta e ortaggi)…

Risulta così aumentato il consumo di farmaci antidepressivi (l’uso di antidepressivi è cresciuto di oltre quattro volte in una decade, passando da 8,18 dosi giornaliere per 1000 abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010), come effetto anche di un disagio diffuso dilagante, scatenato dalle difficoltà socio-economiche…

Nondimeno, la salute degli italiani resta tutto sommato ancora buona grazie alla ‘rendita’ a loro disposizione, merito, per esempio, della tradizione della dieta mediterranea.

Ma, come tutte le rendite non ben gestite, rischia di erodersi rapidamente: gli italiani sono, infatti, sempre più grassi (nel 2010 il 45,9% degli adulti è in eccesso ponderale, contro il 45,4% del 2009), anziani (aumentano le persone dai 75 anni in su, che rappresentano il 10% della popolazione contro il 9,8% della scorsa edizione del Rapporto) e colpiti da malattie croniche.

Per di più le scelte in ambito di politica sanitaria rischiano di peggiorare le cose…”.

In alcune dichiarazioni sono evidenti i motivi alla base degli effetti negativi provocati dalla politica sanitaria che si sta seguendo.

Ha infatti dichiarato Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute e dell’Istituto di Igiene della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma “Le ultime manovre economiche realizzate in Italia in risposta alla tempesta finanziaria hanno portato al ridimensionamento dei livelli di finanziamento dell’assistenza sanitaria già dal 2012; all’introduzione di ulteriori ticket; a tagli drastici nei trasferimenti alle Regioni e alle municipalità dei fondi su disabilità, infanzia, e altri aspetti che vanno poi a incidere sulla nostra salute”.

E i tagli sono stati molto pesanti: nel triennio 2007-2010 l’effetto dei tagli ai servizi e ai farmaci ha portato a una diminuzione del 3,5% della spesa pubblica per i farmaci, determinando però un incremento della spesa privata per i soli farmaci del 10,7%. E nel futuro sarà sempre peggio: è stimato in 17 miliardi di euro nel 2015 la differenza tra le risorse necessarie per coprire i bisogni sanitari dei cittadini e i soldi pubblici, che presumibilmente il servizio sanitario nazionale avrà a disposizione.

E si rileva nell’articolo preso in esame “Le evidenze epidemiologiche dimostrano, invece, la necessità di rafforzare (o almeno non tagliare) le politiche per la salute poiché i tagli potrebbero innescare un aumento di spesa socio-sanitaria a carico delle famiglie col pericolo di aumentare quelle a rischio povertà (oggi il 7,6% di esse), a fronte di una quota di oltre il 15,5% di povertà accertata assoluta/relativa”.

E Eugenio Anessi Pessina, docente di Economia Aziendale e Public Management presso l’Università Cattolica, ha affermato: “I dati a disposizione paiono comunque confermare una certa efficacia delle iniziative di contenimento della spesa: il 2010 si è caratterizzato per una crescita molto contenuta della spesa pubblica pro capite (+0,66%), che mantiene l’Italia al di sotto della media Ue-15 sia in termini pro capite, sia (malgrado l’incapacità di crescere dell’economia italiana) in rapporto al PIL; i disavanzi permangono, ma sono ormai ridotti a livelli molto circoscritti, almeno in termini di valori medi nazionali (nel 2010, circa 39 euro pro capite, pari a 2% del finanziamento e 0,15% del PIL).

Tutto ciò riflette e sintetizza un profondo mutamento negli atteggiamenti delle aziende rispetto ai vincoli economico-finanziari: se in passato i vincoli venivano spesso giudicati irrealistici e non incidevano sugli effettivi comportamenti aziendali, generando circoli viziosi di generazione e copertura dei disavanzi, oggi gli stessi vincoli sono giudicati pienamente credibili e condizionano fortemente le scelte gestionali”.

La questione più critica, però, concerne gli effetti sull’equità. Già in tempi relativamente floridi l’equità era passata in secondo piano rispetto al binomio “efficacia-efficienza”; ora, a maggior ragione, è messa a rischio dalla necessità di “tagliare la spesa”, si osserva ancora nell’articolo.

E così si conclude: “Particolarmente critiche sono le prospettive per l’equità intergenerazionale, per effetto sia del sostanziale blocco degli investimenti (cui contribuisce anche la frequente incapacità di spendere bene i limitati fondi disponibili), sia dell’impatto che le iniziative di risparmio e razionalizzazione potrebbero avere sullo stato di salute dei cittadini.

In linea di principio, naturalmente, tali iniziative dovrebbero identificare ed incidere su situazioni di inefficienza, quindi salvaguardare gli attuali livelli di servizio. Laddove il contenimento dei costi sia ottenuto riducendo i servizi offerti, invece, si potrebbe generare un impatto negativo di medio periodo sulle condizioni di salute della popolazione, con gravi conseguenze negative anche sul piano economico”.

Premesso che nell’ambito della sanità pubblica c’è ancora molto da fare per eliminare gli sprechi, che rimangono elevati, nonostante i tagli effettuati, anzi, in parte a causa della natura di questi tagli. Infatti almeno fino ad ora si è trattato di tagli indiscriminati e che non sempre, quindi, hanno eliminato gli sprechi. In realtà sarebbe necessario, anche per quanto riguarda la spesa sanitaria, come per quanto concerne altre categorie della spesa pubblica, adottare davvero la cosiddetta “spending review”, una riqualificazione della spesa, che comporti anche una sua riduzione piuttosto consistente, mirata principalmente però all’eliminazione degli sprechi. Per ora di “spending review” se ne è parlato molto. Sembra che il ministro Giarda se ne stia occupando seriamente, però in solitudine rispetto agli altri ministri. Ma non è affatto detto, a mio avviso, che questa “spending review” sia realmente efficace. E se non sarà efficace, per quanto riguarda la sanità, le preoccupazioni circa il verificarsi di seri pericoli per la salute degli italiani saranno più che fondate. Peraltro, come del resto dimostra il rapporto Osservasalute, gli effetti negativi sulla loro salute, esercitati dalla politica sanitaria adottata negli ultimi anni, si sono già manifestati, purtroppo.

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