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Dottor Doom diventa gestore

Nouriel Roubini gestirà un Etf che punta a combinare e ottimizzare diversificazione e difesa dalle mega-minacce, ma la scommessa principale sembra essere la sopravvivenza dello stato di diritto negli Stati Uniti.

Di solito, agli economisti viene chiesto di “mettere i soldi dove mettono la bocca”, nel senso di essere coerenti con le proprie analisi e prescrizioni, e investire su di esse il proprio denaro. Non sappiamo se la richiesta verrà effettivamente esaudita (bisognerà leggere il prospetto), ma dal prossimo autunno Nouriel Roubini, l’uomo che da decenni prevede sciagure senza risparmiarsi, diverrà gestore a pieno titolo e non solo consulente di gestori, lanciando una società di gestione, Atlas Capital Team, e un Etf.

L’idea di mettersi in gioco direttamente pare sia venuta a Roubini dopo aver dato alle stampe la sua ultima fatica editoriale, Megathreats. Il cui titolo, nella traduzione italiana, è del tutto opinabile. Nota personale: ho iniziato a leggerlo mesi addietro ma mi sono spiaggiato quasi subito, forse perché so già come va a finire. Roubini ha deciso di trasporre in decisioni di investimento le “mega-minacce” che stanno per abbattersi sull’umanità, soprattutto quella che abita negli Stati Uniti.

Ripensare il portafoglio bilanciato

La decisione e la conseguente filosofia di investimento prendono le mosse, per stessa ammissione di Roubini, dalla critica al celebre portafoglio 60/40, quello composto al 60 per cento da azionario e al 40 per cento da obbligazionario, che in condizioni normali sarebbe un bilanciato reso tale dalla storica (ma non meccanica) correlazione inversa tra prezzi dell’azionario e dell’obbligazionario, ma che nel 2022 ha visto cali sostenuti per entrambe le classi di attivi, in conseguenza del rialzo dei tassi operato dalla Fed.

L’idea di Roubini di criticare il 60/40 è tutto fuorché inedita, sia chiaro: da un paio di anni ci stanno lavorando in molti, e ancora la pietra filosofale della stabile e persistentemente bassa o negativa correlazione tra investimenti non è ancora affiorata dalle nebbie. Di certo, costruire un portafoglio che raccolga temi e strumenti di investimento idonei, almeno sulla carta, a reggere a scenari fortemente avversi (o disruptive, come direbbero quelli bravi), è molto roubinesca e merita di essere seguita, sia pure con la classica presa di sale dello scetticismo.

I mega-rischi, si diceva: senza pretesa di esaustività, elenchiamo deprezzamento del dollaro, riduzione del suo peso nel sistema internazionale di pagamenti, cambiamento climatico, insicurezza alimentare, pandemie, polarizzazione politica (dire guerra civile forse suonava troppo assertivo), cyber attacchi, manipolazioni di massa a mezzo di intelligenza artificiale, guerre fredde e calde, cioè guerreggiate.

Nei documenti presentati ai regolatori, si afferma che questo Etf punta a conseguire ritorni moderati, comunque molto superiori a quelli dell’obbligazionario ma con volatilità sensibilmente inferiore a quella dell’azionario. Gli strumenti scelti spaziano dai titoli di stato brevi, massimo due anni alla scadenza, a quelli indicizzati all’inflazione, all’oro e alle materie prime agricole, all’immobiliare “climaticamente resiliente”, nel senso di ubicato in aree considerate al sicuro da eventi climatici estremi.

Ad esempio, viene gestito un data set immobiliare ultra-localizzato, a livello di codice postale, per identificare a mezzo di immancabile machine learning le zone che rischiano i più distruttivi impatti dal cambiamento climatico. Roubini vede migrazioni di massa verso nord, quando le zone costiere di Florida e Texas verranno rese inabitabili e inassicurabili dal cambiamento climatico.

L’investimento resta strettamente localizzato agli Stati Uniti. Che, secondo Roubini, subiranno questi rischi assai meno rispetto ad altre aree del mondo, come Europa e Asia, grazie alla loro natura continentale relativamente isolata dal resto del mondo (a patto di posizionarsi sul confine messicano e sparare a distesa verso sud, s’intende). Ma l’Etf potrà essere distribuito e beneficiare anche il resto del mondo, per generosa scelta dei fondatori, non attraverso antiquati accordi commerciali di distribuzione bensì a mezzo di tokenizzazione, cioè iscrivendo il titolo di proprietà e le sue movimentazioni nella blockchain. Forse questa narrazione è diventata nel frattempo un po’ stantia, ma ci può stare. Se poi Roubini e partner pensano che un Etf e le sue quote possano anche diventare moneta globale, chi siamo noi per attentare alla loro self-confidence?

Sempre che la rule of law regga

 

Il prodotto sarà costoso, nell’ordine di 75 centesimi annui. Ma potrà anche essere utile? Come si nota dalla descrizione che Roubini stesso ne fa, questo è un Etf che ambisce a ottimizzare la diversificazione di portafoglio con rendimenti contenuti, e non è invece un fondo da “cigno nero”, cioè destinato a vivacchiare in condizioni normali ma fare enormi guadagni in caso di eventi avversi rari, anche se i fondatori affermano che la sua performance è attesa stabilmente positiva anche in ipotesi di cigno nero. Come sappiamo, il fondo da cigno nero si costruisce investendo in liquidità remunerata, grazie alla quale ci si paga il costo di una opzione su eventi estremi.

Tutto ciò premesso, e prendendo spunto anche dal giudizio di Roubini e soci, mi pare che il ragionamento poggi soprattutto sulla persistenza della rule of law americana in caso shock estremi. Detto in altri termini, che di fronte a migrazioni interne più o meno bibliche e alla polarizzazione della società, la tutela dei diritti di proprietà resti rispettata e applicata. Altrimenti, a che mi serve essere il fiero proprietario di terreni e coltivazioni a perdita d’occhio se la popolazione affamata e furiosa me li espropria e magari impicca i miei dipendenti e qualche mio familiare? E che dire dell’ipotesi di immobili occupati da masse di disperati che sfuggono a uragani e desertificazione? Le stesse considerazioni valgono nel caso di verosimile collasso della struttura federale del paese. Se il dollaro si deprezza in modo esistenziale, a che mi serve essere l’orgoglioso sottoscrittore di Treasury Bill e T-Bond biennali?

Corro troppo, dite? Non direi, sto solo seguendo il filo del ragionamento di scenario di Roubini. La scommessa è che lo stato di diritto resti vivo in tutti gli Stati Uniti o che gli stati dove l’Etf investe abbiano la forza militare di proteggerlo, anche in uno scenario rivoluzionario interno. Come potete notare, qui le considerazioni di diversificazione si accomodano sui sedili posteriori, come direbbero proprio gli americani, rispetto ad altri tipi di rischio.

Per tutto il resto, visto che nulla si inventa, considerate che gli strumenti che finiranno nel costoso Etf sono tutti più o meno replicabili con acquisti separati, e che anche senza disporre di machine learning basta osservare i rapporti delle assicurazioni per valutare quali sono le zone a rischio di non assicurabilità.

Ciò detto, osserveremo il prodotto con attenzione, come si dice in questi casi. Magari scopriremo che Roubini non è poi così pessimista. Dopo di che, se il suo prodotto riuscirà a dominare la frontiera efficiente di portafoglio, sarà il coronamento di una splendida carriera da Cassandra. Altrimenti, vinceranno quelli che prenderanno posizione contrarian rispetto alla sua.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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