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 Home page > Attualità > Società > Donna, medico e meritocrazia. Sul suicidio di Luana

Donna, medico e meritocrazia. Sul suicidio di Luana

Il 29 dicembre dell’anno appena terminato, Luana Ricca, medico presso l’ospedale di L’Aquila, si è suicidata presso la sua abitazione.

I motivi precisi non sono ancora conosciuti. Ma la sua storia professionale era nota perché fu raccontata un anno fa su “Radio 24” nel programma “Giovani talenti”.

Così su direttanews sono state descritte le sue vicende professionali:

“Luana faceva il medico a Parigi, ma il marito per lavoro non poteva trasferirsi in Francia. Così lei era da tempo alla disperata ricerca di un posto qui in Italia.

Poco tempo fa finalmente l’opportunità arriva da L’Aquila. Luana così, brillante e giovane medico, un’autorità nel settore dei trapianti delle vie biliari e due dottorati di ricerca in corso contemporaneamente, non viene valorizzata come merita sul posto di lavoro e inoltre viene costretta a lavorare a Sulmona, sobbarcandosi ogni giorno 2 ore di viaggio.

Il marito e il figlio vivono con lei, ma la situazione non è comunque semplice”.

Tali vicende professionali hanno, in qualche modo, influenzato la sua decisione di suicidarsi?

Al momento non è possibile sostenerlo con certezza, ma non credo che si possa escluderlo.

Comunque il suo suicidio ha destato notevole impressione, soprattutto fra i suoi colleghi,

In una lettera al direttore di Quotidiano Sanità due medici, Maria Ludovica Genna e Domenico Crea, dell’osservatorio sanitario di Napoli, hanno tra l’altro scritto:

“Apprendiamo con sgomento, da un giornale on-line abruzzese, del suicidio di una stimatissima collega chirurga che da anni aveva intrapreso una battaglia personale e in solitario affinché potesse venire rispettato lo sbandierato concetto della meritocrazia.

Luana era stata uno dei tanti nostri ‘cervelli in fuga’, approdando a Parigi così come si apprende dal giornale, collezionando più di 1.500 delicati interventi chirurgici, oltre a numerosissime pubblicazioni a carattere scientifico.

Essendole scaduto il contratto presso la fondazione Veronesi, aveva preferito – al ritorno in Francia – il lavoro in un’azienda locale abruzzese, in grado di garantirle la possibilità di conciliare l’attività lavorativa con quella altrettanto importante di carattere familiare.

Si apprende che, il posto che avrebbe dovuto occupare per meriti, era stato assegnato, invece, ad un collega posizionato in graduatoria alle sue spalle conseguenza per cui la dottoressa aveva dovuto adattarsi ad un lavoro che non le consentiva di svolgere le sue mansioni di chirurgo, ma di adattarsi a fare l’endoscopista in una sede lontana e costretta quotidiani viaggi in zone disagiate.

Qualche anno fa, uno studio italo svedese che fa parte del progetto Houpe (Health and Organisation among University Physicians in four European countries), ha evidenziato che tra le donne medico esiste ed è maggiore il tasso di incidenza dei suicidi, annoverando tra le sue cause esperienze degradanti, le molestie sul lavoro e anche l’assegnazione di compiti senza risorse adeguate…

Nel ricordare che le donne medico patiscono in assoluto le maggiori difficoltà nella conciliazione lavoro e famiglia, ci preme ricordare che, nel caso della dottoressa italiana, si aggiunge pesante come un macigno la totale mancanza di meritocrazia che attualmente viene evidenziata sempre più spesso nella nostra sanità.

Nell’esprimere il nostro dolore per questa vita spezzata, vorremmo concludere con l’augurio che in questo nuovo anno 2016, ci possa essere finalmente un cambio di passo, che ci si renda conto che la conciliazione lavoro- famiglia sia un atto dovuto ad uomini e donne della sanità e che – soprattutto nella riorganizzazione che si sta tentando di effettuare ad ampio raggio – non prevalgano solo criteri di risparmio di spesa, ma si salvaguardi la qualità, il merito e le capacità degli operatori con regole univoche e trasparenti, ben al di là delle logiche politiche o di clientelismo e che si attuino al meglio – concretizzandole – tutte le azioni per prevenire le discriminazioni di genere sui posti di lavoro”.

Io non aggiungo altro, perché condivido in pieno quanto scritto al termine della lettera dai due medici dell’osservatorio sanitario di Napoli.

Rilevo, solamente, che non mi sembra facile che il loro augurio per l’anno appena iniziato si traduca in realtà, purtroppo.

 

Foto: S. Swain/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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