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Dissenso stroncato in Azerbaigian, l’Europa sta a guardare

 

Questo blog continua, praticamente da solo (per i post precedenti, consultate l’archivio), a tenere alta l’attenzione su quanto accade in uno stato membro del Consiglio d’Europa.

Mercoledì 23, l’Assemblea parlamentare dell’organismo europeo ha respinto una risoluzione presentata dal tedesco Christoph Strasser, relatore speciale sui prigionieri politici in Azerbaigian. A opporsi sono stati i due relatori speciali che si occupano di monitorare il rispetto degli obblighi del paese nei confronti del Consiglio d’Europa, lo spagnolo Pedro Agramunt e il maltese Joseph Debono Grech.

“Ci pensiamo noi”, hanno detto i due parlamentari, già citati in un dossier sulla “diplomazia del caviale”, in cui si denuncia come il prelibato prodotto verrebbe utilizzato per ammorbidire le posizioni dei membri dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Vera o meno che sia la faccenda, una settimana fa a Strasburgo è stata unicamente emessa una blanda dichiarazione.

Da parte delle autorità azere, il tutto dev’essere stato preso come un segnale di via libera a proseguire con la repressione.

Sabato 26, 200 persone si sono radunate in tre diversi luoghi della capitale Baku per protestare contro il brutale intervento della polizia che, una settimana prima, aveva stroncato altre manifestazioni indette a Ismayili, 200 chilometri a nordovest della capitale, per chiedere le dimissioni del governatore locale.

A Ismayili, il consueto scenario: gas lacrimogeni e proiettili di gomma a profusione, centinaia di arresti e denunce di tortura durante il fermo di polizia.

A Baku, 80 arresti e 30 processi celebrati nel giro di un battito di ciglia.

Ecco il racconto di Khadija Ismailyova, una nota e premiata giornalista che, per aver pubblicato un’inchiesta sulla corruzione negli ambienti presidenziali, è stata fatta oggetto di una campagna di ricatti e diffamazioni:

“Eravamo nel parco di Sahil. Era quasi tutto finito e c’era silenzio, la maggior parte dei manifestanti se n’era già andata. I poliziotti mi sono venuti addosso. Ho iniziato a urlare, chiedendo chi fossero e cosa volessero. Il processo è stato una farsa. Sono entrata nell’aula del tribunale e ho trovato sui banchi della difesa due uomini. Ho chiesto ‘Chi sono?’ e il giudice mi ha risposto ‘I suoi avvocati’. Ho fatto presente che non conoscevo quelle persone, che non mi fidavo di loro, che intendevo ricusarli e che pretendevo i miei avvocati. ‘Lei non può avere i suoi avvocati, poiché non sono presenti’, mi ha detto il giudice. Non sapevo che, in quel preciso momento, i miei avvocati erano fuori dal tribunale e veniva loro impedito di entrare…”.

I processi nei confronti dei 30 imputati si sono svolti secondo il consueto “format azero”: difensori d’ufficio, udienze di pochi minuti.

Khadija Ismailyova e altri 24 attivisti sono stati condannati a multe da 300 a 2500 manati. Lo stipendio medio mensile è di 513 manati. In Azerbaigian si può imporre il silenzio a colpi di multe, senza un giorno di prigione.

Poi c’è anche quella: 15 giorni di carcere per il blogger ed ex prigioniero di coscienzaEmin Milli (nella foto) e 13 giorni ciascuno per Abdulfaz Gurbanli, Rufat Abdullayev, Turkel Alisoy e Turkel Azerturk.

Amnesty International ha chiesto all’Assemblea parlamentare di assumersi le sueresponsabilità e dire chiaramente se intende stare dalla parte del rispetto della libertà d’espressione. Gli arresti di sabato scorso pesano sulla sua coscienza.

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