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Disfare l’Euro: il problema non è se, ma come e quando

Le elezioni greche si avvicinano ed i mercati finanziari tremano: vincerà Tsipras? E che farà dopo? L’Euro reggerà? E poi, Grecia a parte, come la mettiamo con il petrolio in picchiata? E il leggendario quantitative easing di Draghi ci sarà e quanto sarà consistente?

Procediamo con ordine: che Tsipras vinca in Grecia è probabile (e, per quel che mi riguarda, auspicabilissimo) ma non è sicuro: dobbiamo vedere che campagna terroristica scateneranno per condizionare gli elettori greci e di quale efficacia sarà. Anche per questo, fa bene Tsipras a non parlare ora di uscita della Grecia dall’Eurozona, preferendo limitarsi al tema della rinegoziazione degli accordi; diversamente farebbe un favore agli avversari. Ma, se dovesse vincere, non credo che avrebbe molte scelte: o subite i diktat di Berlino via troika e tradire il mandato elettorale, o far saltare il tavolo ed andare dritto in rotta di collisione.

Se dovesse vincere, il mandato dell’elettorato sarebbe inequivoco: portare fuori la Grecia dalla spirale in cui sta sprofondando. E questo non si fa mantenendo l’attuale regime di austerity, su questa strada c’è solo il suicidio. Quindi, la Grecia non può permettersi di pagare questi interessi sul debito e, tantomeno, di pagare un debito ormai non restituibile. Ma questo significa dichiarare default: è compatibile con l’appartenenza all’Euro?

Non ci sono precedenti, per cui non sappiamo come il default di un componente possa riflettersi sulla moneta comune e neppure se il paese fallito possa continuare a far parte del patto monetario ed a quali condizioni; però ci pare scarsamente realistico che tutto possa restare come prima, dopo il default di uno dei paesi membri, anche se piccolo come la Grecia. La Bce potrebbe continuare a fornire allo stato greco le banconote per il circolante necessario? Se ciò non fosse, Atene sarebbe costretta a battere moneta in proprio, anche solo in forma di moneta provvisoria o di buoni rimborsabili o altro, perché diversamente non avrebbe di che pagare gli stipendi statali e le pensioni e, più in generale, l’intera economia del paese si paralizzerebbe. Ed a quel punto, la scelta spetterebbe alla Bce: o continuare a fornire in qualche modo la propria moneta alla Grecia o accettare la sua uscita dal patto ed aprire la crisi della moneta e del suo stesso patto istitutivo, che non prevede l’uscita di nessuno. Insomma, questa, più che una moneta, sembra essere un penitenziario di massima sicurezza.

D’altro canto, una moneta che diventasse l’Hotel del libero scambio, con gente che va e gente che viene, crollerebbe in brevissimo tempo sui mercati. Perché, se si accettasse di tenere nel club un paese in default, poi la stessa scelta potrebbe essere fatta da altri, magari Lisbona, Bruxelles, Madrid, Cipro e (perché no?) Roma. Stabilito il precedente, sarebbe difficile impedire agli altri di fare altrettanto, qualora le condizioni costringessero a quel passo. E così la moneta diventerebbe un aggregato molto instabile, troppo instabile per poterci investire qualsiasi cifra: io compero un qualsiasi titolo finanziario in Euro (non importa se di uno Stato o una impresa) però non so, fra cinque anni chi ci sarà dietro questa moneta, forse nessuno, perché uno alla volta se ne saranno andati tutti e resta solo la Bce come sorta di banca privata. Chi scommetterebbe un centesimo su una moneta così?

D’altro canto, se la Bce decidesse di continuare a tenere la Grecia anche in stato di insolvenza, questo avrebbe inevitabilmente conseguenze sull’apprezzamento della moneta, perché, anche in questo caso, stabilito il precedente, non ci sarebbe modo di evitare l’assalto degli altri scarsamente solventi.

In fondo, per i primi cinque anni di esistenza dell’Euro, anche i paesi più indebitati (come l’Italia) hanno avuto la possibilità di emettere titoli ad interessi bassissimi (ricordiamo non troppo superiori all’1%) nel presupposto che vi fosse una garanzia implicita della Bce. Oggi si scopre che così non è, ma a questo punto chi volete che investa il becco di un quattrino in titoli del genere, se non per una sostanziosa rivalutazione degli interessi? E con un salto in avanti degli interessi, quanti Stati fallirebbero? Qui avrebbero da temere non solo l’Italia o la Spagna, ma anche la Francia e molti minori.

Ci sarebbe la strada dell’haircut: una rinegoziazione parziale del debito greco, ribassando gli interessi ed allungando i tempi per dar fiato alla Grecia. Ma, anche qui il problema sarebbe il precedente: passato il precedente che si fa se anche gli altri si mettono in fila per una transazione del genere? E se il debito greco è intorno ai 350 miliardi di Euro, ed una rinegoziazione potrebbe essere sopportata soprattutto dalle banche tedesche e francesi che ne detengono una bella fetta, ma se poi la cifra da rinegoziare dovesse raggiungere alcune migliaia di miliardi per l’arrivo di tutti gli altri, la cosa diventerebbe assai meno praticabile.

Il punto è che l’Euro è stato il più clamoroso abbaglio della storia economica mondiale: non si mettono insieme 27 economie diverse e con esigenze opposte, sotto lo stesso tetto monetario. O meglio, lo si può anche fare ma dandosi un unico centro decisionale, un unico sistema fiscale, un unico sistema sociale e contributivo, una stessa contabilità pubblica, insomma un governo comune. In effetti, l’Euro fu venduto all’opinione pubblica mondiale e agli ignari europei, come l’immediata premessa dell’unificazione politica, di cui, manco a dirlo, non si è visto neppure l’ombra, perché mancavano le più elementari premesse, per lo meno, in tempi brevi o anche medi. E la realtà si vendica sugli architetti troppo audaci che costruiscono cattedrali su malferme palafitte.

Il problema oggi non è se abbandonare l’Euro, ma in che tempi e in che modi. L’Euro è un esperimento fallito politicamente, prima ancora che monetariamente, e non c’è prova d’appello. Il crollo di questa moneta è solo questione di tempo. Il problema è quello di decidere se restare sotto la volta, ad aspettare che ci cada addosso, o magari prepararci ordinatamente ad uscire, prima che accada l’irreparabile. Il guaio è che dall’euro non si può uscire unilateralmente, con un colpo di testa o, per lo meno, chi lo facesse si candiderebbe a sfasciarsi le ossa e così uno alla volta, sino all’ultimo. E quel che è peggio, è che non ci sono procedure previste per uscirne: che io sappia, l’Euro è l’unico trattato al mondo senza procedure di recesso. Una follia unica.

Immaginiamo che domani si faccia un referendum sull’Euro, magari perché ammesso dalla Corte Costituzionale sulla base di non so quali ragionamenti giuridici, ed immaginiamo che vinca la tesi favorevole all’uscita, cosa accadrebbe? Nulla, non accadrebbe nulla ed il referendum resterebbe senza conseguenze, perché l’Italia si è impegnata sottoscrivendo un trattato che non prevede libertà di recesso.

Però, la realtà è sempre più testarda delle parole, anche se in forma di trattati. Per cui, possiamo fare i trattati che vogliamo, ma se le dinamiche oggettive vanno perso il crollo, non c’è nulla da fare.

Per cui, non sarebbe il caso di iniziare a discutere su come se ne può uscire? Ad esempio, perché non una campagna per un referendum sull’Euro in tutti i paesi dell’Eurozona e nello stesso giorno? Avremmo almeno un indirizzo su cui ragionare. Oppure, perché non provare a dar vita ad un movimento europeo per la revisione del trattato, a cominciare dall’introduzione di procedure di regresso? Magari potremmo anche varare una doppia circolazione, o anche tenere l’Euro come unità di conto, articolato in monete nazionali con parità variabili in una certa banda (come era lo Sme). Insomma ci si può pensare, ma in fretta.

Qui il tema è molto più complesso del solito e non conviene pensarci ciascuno per proprio conto.

 

Foto: Images Money/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.199) 14 gennaio 2015 13:10

    Purtroppo dall’Euro sarà possibile uscire soltanto quando questa mortale moneta sarà abolita da tutta l’Europa. Ha ragione Tsipras, Ormai che ci siamo dentro, l’Euro e l’Europa vanno cambiati. L’abbandono di un singolo Paese sarebbe tragico per l’economia di quello Stato. Ma cambiare l’Europa non è facile perché siamo nelle mani di una feroce classe di finanzieri/imprenditori e burocrati, quasi tutti tedeschi o nord-europei che da questa situazione hanno tratto e traggono molti vantaggi. Opposizione a queste politiche non ce ne sono. Il PSE, come il PD in Italia, si sono allineati a queste scelte. Una pessima prospettiva futura. 

  • Di (---.---.---.240) 14 gennaio 2015 17:56

    "Purtroppo sarà possibile uscire [solo] quando..."

    E perché? Un singolo Paese può sganciarsi e coniare la propria moneta, come è normale dappertutto. O forse temiamo di venire invasi dai carri armati nordeuropei per aver stracciato un trattato ridicolo?

    • Di (---.---.---.50) 14 gennaio 2015 18:10

      lei la fa troppo facile. Magari fosse così semplice e non c’è bisogno dei carri armati, bastano le reazioni dei mercati

    • Di (---.---.---.192) 15 gennaio 2015 09:49

      C’è una barzelletta al proposito. Il sig. Levi non riesce a dormire, perché il giorno dopo scadono i 1000 euro che deve dare al sig. Jacob, e non può onorare il debito. Dopo un po’ la moglie, svegliata dal continuo rigirarsi di Levi, gli chiede quale sia il problema, e Levi glielo dice. Allora la moglie si alza, prende il telefono e chiama Jacob: "Mio marito i soldi NON LI HA. Punto.". Poi torna a letto, e dice al marito: "Dormi pure. Ora c’è qualcun altro che non dorme.".

      La morale della storia è che il debitore è più forte del creditore. Soprattutto se il debitore è uno Stato. I Mercati vogliono indietro i soldi investiti, ma uno Stato in sfacelo ha molta più difficoltà di uno che batte la propria moneta ed è libero dai vincoli di bilancio dell’Euro. Uno Stato come l’Italia, se ha la propria moneta e una giusta quantità d’inflazione e svalutazione non può essere battuto, la storia ce lo ha dimostrato: prima di entrare nell’Euro l’Italia era il paese economicamente più forte d’Europa. Tutte le volte che l’Italia ha agganciato la propria valuta a un’altra, ha perso terreno. Ma ora ne abbiamo perso talmente tanto che non possiamo più continuare così. La scelta è se fare sacrifici per fallire comunque, o se farli per tirarci su. E non è una decisione difficile.

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