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Di riarmo, acrobati e clown

No al riarmo nazionale, sì al riarmo comune europeo, sentenziò la segretaria del Pd, partito dissociato. Ma sarebbe sempre debito, e spiazzerebbe la spesa sociale. Che fare? Che domande: chiedere anche debito "sociale".

 

 

Da sempre, le comunicazioni alle camere del presidente del consiglio, prima di un consiglio europeo, sono ghiotta occasione per posture, declamazioni e varia umanità in favore di telecamere. I retroscenisti, che in Italia sono sempre oberati di lavoro, vengono travolti da veline, pizzini, sospiri e telefonate mute nel corso della notte. Figuriamoci in questa congiuntura, in cui si discute di riarmo europeo e truppe di interposizione in Ucraina, a patto che gli americani ci coprano le spalle con la loro aviazione, sia chiaro.

Altrettanto solitamente, nelle risoluzioni non vincolanti del parlamento europeo, gli italiani riescono a dare il meglio della propria arte performativa. Nel senso che le coalizioni si spaccano, e a volte anche singoli partiti discordano da sé, in un tripudio di voci e vocine di dentro. Le vicende vengono rapidamente ricondotte a “vivacità del confronto che tuttavia non mina la compattezza”, come quella del guano essiccato al sole.

Partito dissociato

La sceneggiata più spettacolare, manco a farlo apposta, è quella del Partito democratico, che sta per PsicoDramma o anche Partito Dissociato. Dove la maggioranza della segretaria Elly Schlein, che la perfida intelligenza artificiale che trascrive il mio podcast ha ribattezzato Hellish Line, è impegnata a singolar tenzone con l’opposizione interna, che poi è quella che gode di pessima stampa a sinistra, essendo sistematicamente presentata come un covo di affaristi traditori, guerrafondai e affamatori del popolo.

È quindi accaduto che costoro abbiano votato al parlamento europeo a favore della risoluzione non vincolante sulla proposta della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sul cosiddetto ReArm Eu. Che è una proposta nata dalla pressione furibonda della Germania, che ha deciso che deve fare debito e rifondare la propria economia, lasciandosi definitivamente alle spalle l’era del fax.

Accadde che Schlein voleva più debito comune europeo, non il riarmo nazionale, e ha tentato di convincere i colleghi del gruppo Socialisti e Democratici, con scarsa fortuna. L’opposizione interna, col suo sì alla risoluzione, rischiava di avere la maggioranza nel gruppo Pd. Solo la decisione dei due pacifisti Marco Tarquinio e Cecilia Strada di passare dal no all’astensione ha evitato che la segretaria venisse sconfessata ma portandola a meditare una resa dei conti, tra voci incontrollate di convocazione di un congresso. Che, secondo i cultori della materia, metterebbe nei guai l’opposizione.

Ora, in condizioni normali di queste cose mi fregherebbe il giusto, cioè nulla. La batracomiomachia italiana non mi entusiasma, men che mai in questo periodo di grandi ansie. Vorrei solo ribadire che spero solo che il Pd arrivi a diventare qualcosa di stabile e risolto, anche (in caso) con una maxi scissione. Che finalmente ci consegnerebbe un partito meno cacofonico e più “puro”, forse in grado di recuperare ampie fasce di astensione e consegnarsi senza armi ma con i bagagli all’Egemone culturale, l’Avvocato del Popolo e la sua ciurma. Se le cose andassero in questi termini, Schlein potrebbe dire di aver compiuto una missione storica ed eviterebbe di morire democristiana, con la sua propensione “testardamente unitaria”.

Ma non è di questo che voglio parlarvi, quanto dei problemi di coerenza della segretaria, che ormai sconfinano in aperta sfida alla logica. Il punto della critica schleiniana è: il riarmo di singoli paesi non configura una difesa comune. Verissimo, oltre al fatto che le proposte di Von der Leyen non sembrano enfatizzare troppo la messa a fattor comune della difesa. E si comprende: la difesa è essenza delle politiche nazionali.

Deficit di difesa

Gli ululati contro il piano di Von der Leyen, da noi, si incentrano su un numero: 800 miliardi di spesa per la difesa “chiesta dall’Europa”. E via con il costo opportunità, che misura le armi in termini di asili, bollette, liste di attesa sanitaria. Notevole, per un paese la cui classe politica ha sempre evitato di ragionare in termini di tradeoff, volendo burro, cannoni e cannoli.

Peccato che, di quegli 800 miliardi, ben 650 siano il massimo teorico che si avrebbe solo se tutti i paesi Ue decidessero di fare deficit nella misura di 1,5 per cento del Pil. Gli altri 150 sarebbero debito “mutualizzato”. Si tratta quindi di una facoltà, non di un obbligo. Nessuno verrà a puntarvi una pistola alla tempia, comprata in comode rate, per costringervi a fare debito per le armi. Nessuno tranne Trump e i suoi target Nato. Ma la Nato esisterà ancora, alla fine del suo mandato? Oppure sarà sostituita da altro, in Europa? Non mettiamo troppa carne alle armi da fuoco.

L’Avvocato del Popolo, quello che ha partorito l’abiezione nota come Superbonus, che dovrebbe essere l’unica unità di misura del costo opportunità di questo paese, ha compreso che molti italiani soffrono di grave demenza politica, avendo cioè una memoria di breve termine completamente devastata, e insiste a martellare il “bellicismo” del Pd. Che, agli occhi del CamaleConte, immagino si traduca soprattutto nel non averlo ancora incoronato front runner per Palazzo Chigi, nel 2027.

Anche Matteo Salvini, la barbuta cheerleader di Donald Trump e Elon Musk, grida no alle armi. Fossero anche gli F-35 yankee? Vai a saperlo. E rivendica, al più, la difesa nazionale. Che traduce nei suoi soliti elenchi (“le mamme, i bimbi, i treni, i chiodi”), dentro i quali trovano spazio anche “gli stipendi delle forze dell’ordine”. Questo aspetto, del deficit per la “difesa in senso molto lato”, ricorre anche nelle parole dell’adulta nella stanza, al secolo Giorgia Meloni.

La quale, consapevole che alla fine bisognerà spendere per la difesa, cerca di tenere la tassonomia la più larga possibile. Ad esempio includendo la “cybersecurity”, qualunque cosa ciò indichi. O anche “competitività”, forse pensando ai taxi a guida autonoma o a spiagge a gara al miglior offerente. Di certo, sarebbe una lista della spesa più coerente di quella che ci porteremmo a casa con l’Avvocato della Pace. Che, probabilmente, se proprio costretto, chiederebbe di inserire nelle spese per la difesa i videocitofoni a infrarosso e i basculanti corazzati per i box, in un nuovo Superbonus grigioverde.

Non si interrompe una mozione

Torniamo a Schlein. “Vogliamo la difesa comune!”. Attenta a quello che desideri, potrebbe avverarsi. Ipotizziamo che si crei un Recovery Fund per la difesa, ben oltre i 150 miliardi trovati da Von der Leyen. Un’ipotetica Italia guidata da Schlein dovrebbe attingervi pesantemente, visto che è molto indietro rispetto al target di spesa NATO. Che ormai dovrebbe essere intorno al 3-3,5 per cento del Pil ma ogni giorno attendiamo di sapere come ha riposato Trump, prima di riposizionare l’asticella.

A quel punto, la premier Schlein non avrebbe più alibi. Ecco la difesa comune, prendete e sparatene tutti. Nello stesso momento qualcuno del suo entourage, dotato di rudimenti di contabilità pubblica appresi durante un’occupazione del liceo, farebbe presente che anche quello è debito, e spiazzerebbe la spesa per asili, case della salute, bollette e parchi eolici che spingono soffiando carri arcobaleno. Azz, e ora che facciamo?, gemerebbe Hellish Line.

Ma per fortuna l’incubo si interrompe e suona la sveglia, Schlein non è a Chigi e quindi può dilettarsi ancora per un paio d’anni con queste posizioni alte e nobili, prima di incoronare Giuseppe Conte candidato del Pd alla presidenza del consiglio, alle elezioni del 2027 in una solenne cerimonia officiata da Goffredo Bettini, vestito per l’occasione con paramenti da gran sacerdote Thai.

Nel frattempo, un franco confronto interno ha prodotto la mozione unitaria del Pd contro il riarmo ma anche a favore del riarmo, col suo bell’avverbio caratterizzante:

Il piano ReArmEu, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato, poiché così come presentato non risponde all’esigenza indifferibile di costruire una vera difesa comune.

Gli investimenti in sicurezza devono accompagnarsi e non sostituirsi a quelli necessari a realizzare l’autonomia strategica in altri settori prioritari, a partire da quelli per la coesione e la protezione sociale, garantiti dai Fondi SIE dell’Unione europea su cui l’attuale Governo ha accumulato un drammatico ritardo nell’attuazione, che penalizza la necessaria convergenza delle regioni meno sviluppate, a partire dal nostro Mezzogiorno.

La difesa non può essere considerata un bene pubblico separato dal benessere sociale, ma è parte integrante di una strategia globale che prevede di garantire non solo la sicurezza fisica dei cittadini europei, ma anche la loro sicurezza sociale ed economica.

Una discreta supercazzola di scarso senso compiuto: cosa sarebbe “l’autonomia strategica” nella coesione e protezione sociale? E come si garantisce la “sicurezza sociale ed economica” dei cittadini europei, se la politica di welfare e quella fiscale in senso redistributivo restano in capo ai singoli paesi? Attendendo il catartico ceffone del Nanni Moretti di Palombella Rossa, la sintesi è: vogliamo più debito, non solo militare ma anche “sociale”.

A nessuno in Europa fregherà uno iota di questi comunicati da assemblea studentesca d’antan ma gli equilibri del Nazareno saranno preservati. Anche a questo giro il Pd resterà dissociato in casa, per la gioia di retroscenisti che hanno già ordinato nuove buche delle lettere da Leroy Merlin. E la maggioranza di governo? Tiene, ci pensa l’accigliata Giorgia.

Non so perché ma a me tutte queste giravolte ricordano una celeberrima massima del mondo circense, però capovolta: quando cadono i clown, entrano gli acrobati.

Photo by European Parliament

 

 

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