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Di reti e analfabeti: i nuovi media e l’Italia

Quale ruolo possono avere le risorse on-line nella formazione delle opinioni degli italiani?

Nessuno, o quasi.

Silvio Berlusconi, qualche anno fa, durante un’assemblea di venditori di Publitalia tenutasi a Montecarlo, spiegava che: “Il livello medio degli Italiani è quello di un ragazzino di seconda media, fra quelli seduti all’ultimo banco, essi non sono nella condizione di mettere in discussione ciò che gli si dice.”

Nelle crude parole del grande conoscitore, e manipolatore, della nostra società ci sono già tutte le ragioni della mia risposta alla domanda iniziale, ma vorrei fornire qualche dato per cercare di comprendere meglio quale sia la situazione.

Fondamentali sono le statistiche rilasciate dal CENSIS dopo le elezioni Europee del 2009. In quell’occasione il 69.3% degli elettori aveva orientato il proprio voto in base alle informazioni ed ai commenti trasmessi dalla televisione. I telegiornali, in particolare, erano stati la fonte d’informazione principale per il 78,7% dei pensionati, per il 76% dei cittadini con bassa scolarizzazione, e per il 74% delle casalinghe.

I programmi d’approfondimento, quelli condotti da Santoro e dai suoi colleghi, avevano avuto un’importanza decisamente minore, essendo seguiti solo dal 30% degli elettori, soprattutto da quelli con un più elevato grado d’istruzione che costituiscono anche quel 6% di elettori che si è informato attraverso canali televisivi satellitari.

A questa assoluta preponderanza della televisione fa da contraltare la bassa incidenza dell’informazione scritta: i giornali hanno contribuito ad orientare il voto solo del 25,4% degli elettori, percentuale che sale al 34 % se si considerano solo gli italiani più istruiti e al 35% tra gli imprenditori ed i liberi professionisti.

La rete? Irrilevante o quasi: solo il 2% si è informata attraverso blog e altri simili strumenti.

L’importanza dell’informazione televisiva, in particolare di quella fornita dai telegiornali, ha certo a che vedere con l’elevata età media degli elettori italiani, ma soprattutto - i giornali stampati non sono certo una recente innovazione - con il loro bassissimo grado d’istruzione.

Gli italiani sono un popolo di analfabeti e non leggono i giornali - si vende una copia di quotidiano ogni 11 abitanti a livello nazionale e una ogni 25 in certe aree del sud - soprattutto perché non li sanno leggere.

La "ricerca internazionale sulle competenze alfabetiche della popolazione adulta" promossa dall'OECD-OCDE per misurare livello di alfabetizzazione delle popolazioni dei paesi industrializzati offre, dell’Italia, un quadro desolante.

Solo il 20% dei nostri connazionali “sono in grado di fare passaggi logici deduttivi di livello medio alto basate sulla lettura di un testo, integrando o contrastando pezzi di informazione, tratti da testi relativamente lunghi che possono contenere anche molti distrattori”.

Il resto degli italiani è costituito da analfabeti propriamente detti, analfabeti di ritorno, semianalfabeti e, soprattutto, da analfabeti funzionali in grado di leggere, ma non di comprendere appieno quel che stanno leggendo.

Sembrano dati terribili, eppure, per il poco che conosco gli italiani, sono addirittura ottimistici: sono convinto che se si facessero dei test riguardanti la capacità di comprendere testi scientifici o economici i risultati sarebbero infinitamente peggiori.

Popper aveva avvertito contro i rischi della televisione; l’aveva definita “cattiva maestra” ed aveva auspicato un controllo sull’attività delle televisioni perché agissero negli interessi della società. Pasolini aveva compreso benissimo il potenziale distruttivo della televisione nei confronti della cultura tradizionale; la capacità del nuovo mezzo di far piazza pulita del vecchio per sostituirlo con il nulla.

Avrebbe dovuto essere facile comprendere che, in un paese ignorante come il nostro, lasciare l’intero sistema televisivo nelle mani di un solo individuo avrebbe condotto ad uno svuotamento della democrazia, ma è esattamente quello che è stato fatto.

Per chi voglia oggi cambiare questo stato di cose è necessario sviluppare strategie di comunicazione nuove, che prescindano dall’uso della televisione, ma, e qui sta il complicato, che neppure facciano troppo affidamento sulla rete, di fatto inaccessibile alla stragrande maggioranza dei cittadini.

Si tratta di tornare all’antico; all’opera di alfabetizzazione ed evangelizzazione degli attivisti politici di fine ottocento.

In rete si i possono creare sedi virtuali, di partiti e movimenti, in cui gli attivisti possono scambiarsi informazioni e documenti; in rete ci si può riunire e si può dibattere, ma la vera battaglia la si conduce, casa per casa, nei soggiorni degli italiani.

Si tratta, prima ancora di convincere i nostri concittadini a votare questo o quel partito, di fornire gli strumenti minimi per poter comprendere la realtà; di dare l’attrezzatura culturale minima per potersi informare prima di decidere. Si tratta di fare del voto quello che in democrazia dovrebbe essere: lo strumento con il quale i cittadini esercitano la propria sovranità esprimendo la propria INFORMATA opinione.

Inutile coltivare velleità rivoluzionarie: la vera rivoluzione, in Italia, si fa insegnando ai cittadini a leggere il giornale.

Che sia stampato o on-line, poi, poco importa.

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