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Destra, sinistra, populismo ed economia

Semplificando un po', per capirci rapidamente, la destra, si dice con un’astrazione, di solito taglia (o promette di farlo) la spesa (sociale e/o pubblica) e le tasse; mentre la sinistra, si dice, alza la spesa (sociale e/o pubblica) e le tasse; il “populista” taglia le tasse e alza la spesa (non necessariamente per o in favore di tutti), ma come fa?

Debito, oppure spremitura estrema e “nazionalizzata” di una risorsa naturale o di una grande industria statale; raramente lo fa con imprese statali efficienti o con una crescita sostenuta dell’economia che generi più risorse (anche se in realtà potrebbe farlo, ma è difficile).

Il “populista” appare di destra o di sinistra a seconda del discorso e la retorica che adotta per motivare le politiche sue e dei gruppi che lo sostengono, non molto per la sostanza e i contenuti reali. Può funzionare? Dipende. A volte. Dura molto? Dipende.

Gli economisti non danno risposte sempre chiare né possono prevedere alcunché (salvo margini di errore, probabilità, precondizioni, supposizioni reali e non, ipotesi, controipotesi...). Rispondono di preferenza a ogni domanda: “dipende” e le sue varianti linguistiche o con sinonimi (tecnica da me appresa, ma poi usata solo con criterio e moderazione, al corso di microeconomia in Bocconi al primo anno).

Mi pongo, a questo punto, alcune domande:

E’ populista l’azione di nazionalizzare (statalizzare), come in Argentina, il 51% della compagnia petrolifera YPF che apparteneva in maggioranza alla spagnola Repsol? O è populista solo il discorso che afferma che lo si fa “per nazionalismo e per argentinizzare l’economia” e per porla al servizio dell’interesse nazionale? Oppure entrambe le opzioni?

La risposta? Dipende. E’ l’eterno dilemma di chi si occupa di America Latina e della sua storia, di Venezuela, di Cuba, di Argentina, di Bolivia in questi ultimi anni. Ma perché no, anche d’Italia in questi ultimi anni.

E’ una categoria, l’economista, che spesso serve per speculare la mattina e ricredersi la sera. La cosa vera è che, dal canto loro, tacciano di populista qualunque cosa che non risponda fedelmente ai dettami della dottrina economica in voga (anzi, quasi sempre di quella neoclassica) e anche questo, a volte, è fare del populismo “all’inverso”.

Direi che anche il sacro Monti ne fa, almeno un po’, sottilmente. Ma anziché basare la credibilità delle sue affermazioni sull’espressione della volontà popolare, sui bagni di folla e i comizi, sul nazionalismo, sull’eccesso mediatico o sull’immagine di leader forte, lo fa con il discorso o la retorica più potente e credibile e legittima affermatasi negli ultimi 60 anni: l’economia, dea immateriale e materiale, onnipresente, anzi ubiqua, e surrealisticamente “razionale”, quindi giusta, corretta.

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