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Depressione: è possibile un approccio di genere?

Gli stereotipi di genere sono fonte di sofferenza anche per gli uomini. Mario Colucci, psichiatra e psicoanalista, ci racconta le difficoltà che incontrano i pazienti nel processo di guarigione dalla depressione.

di Francesca Zavino

 

Umore depresso la maggior parte della giornata, perdita di interesse rispetto alle attività quotidiane, significativa perdita o aumento di peso, rallentamento psicomotorio oppure iperattività, scarsa capacità di concentrazione e il costante pensiero della morte, non solo visto come paura di morire, ma anche sotto forma di piani o tentativi di suicidio. Secondo il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition (DSM-5), il disturbo depressivo maggiore è riscontrabile quando si presentano almeno cinque tra questi sintomi. Il protrarsi di tale condizione per almeno due anni porta al disturbo depressivo persistente.

Una questione di genere

Il DSM-5 non fa, in questo caso, nessuna distinzione di genere, se escludiamo la possibilità che si manifesti un disturbo depressivo legato alla cosiddetta “sindrome premestruale” o in prossimità della menopausa. Sono però molti gli studi che, dai primi anni Duemila, hanno affrontato la questione osservandola da una prospettiva di genere. Le donne alle quali viene diagnosticato un disturbo depressivo sono il doppio rispetto agli uomini, i quali però presentano un tasso di suicidi circa tre volte più alto. In un recentissimo studio del dipartimento di psichiatria e psicologia dell’Università di Ulm, Masculinity norms and occupational role orientations in men treated for depression, sono stati presi ad esempio 250 casi di pazienti di sesso maschile ricoverati o seguiti per depressione. Tra le altre cose, è stato studiato come i partecipanti avessero sofferto per circa 12 anni di sintomi depressivi e 4 di disturbo depressivo persistente prima di rivolgersi a uno specialista per chiedere aiuto. I ricercatori ipotizzano che possa avere un fortissimo ruolo nella depressione maschile la sensazione di doversi attenere a delle norme non scritte, a degli stereotipi di genere, i quali vogliono l’uomo sano, in salute, orgoglioso e dominante. L’immagine di una persona che si trova ad aver bisogno di supporto psicologico non sarebbe compatibile con tale ruolo.

Depressione e ruolo di genere

Abbiamo parlato con Mario Colucci, psichiatra presso il Dipartimento di salute mentale di Trieste e psicoanalista membro del Forum Lacaniano in Italia. Per prima cosa, volevamo chiarire meglio dal punto di vista psicoanalitico cosa intendiamo con depressione e con ruolo di genere.

“La depressione è un disturbo che subentra a causa di un’incapacità di elaborare un lutto. Per lutto non si intende solamente la morte di una persona cara: potrebbe essere la rottura di un rapporto, la perdita di un lavoro, oppure potrebbe avere a che fare con la “morte” della propria immagine. Quando un uomo è legato a un’immagine di sé di tipo attivo, forte e dominante, fa fatica ad accettare la manifestazione della negazione di questo stereotipo. Pensiamo alle situazioni di violenza di genere: spesso abbiamo a che fare con degli uomini che, a causa di una separazione o un tradimento, vedono mettere in discussione il proprio ruolo attivo, predominante e prevaricatore. Di conseguenza, mettono in atto comportamenti violenti. Non è certamente una giustificazione, ma per esperienza moltissime violenze derivano da vissuti depressivi”.

Depressione e stereotipi

In uno studio del 2018 si legge come mettere in atto dei comportamenti che puntino a riappropriarsi della posizione di potere sulle donne sia una “strategia” inconscia di prevenzione rispetto al sentimento di sconfitta che implica la perdita del proprio ruolo dominante. Nello studio dell’Università di Ulm possiamo leggere come lo stereotipo maschile sia, oltre che tra le cause dell’insorgere di una depressione, anche un forte ostacolo per la diagnosi e la terapia. Insomma, pare che l’uomo “che non deve chiedere mai” non sia solo un luogo comune.

“Se intendiamo per “luogo comune” un qualcosa che avviene di frequente allora sì, possiamo definirlo tale. In generale quando si parla con un paziente maschio affetto da depressione, la sua capacità di verbalizzare i vissuti emotivi è bassa. Certo, dipende dalla personalità e dalle abitudini del singolo: diciamo però che la scarsa abitudine a simbolizzare con le parole la propria interiorità, a confidarsi, esprimersi ed esporsi sono tutte caratteristiche più frequenti nell’uomo. Ci sono anche donne con le quali costruire un dialogo all’inizio risulta complesso, ma nella maggior parte dei casi questa difficoltà viene superata più facilmente. Nell’approccio terapeutico la possibilità o meno di aprire un canale di comunicazione deve essere presa in considerazione, anche perché si tratta dell’aspetto fondamentale rispetto a tutto il percorso: attraverso la verbalizzazione della propria esperienza con il terapeuta, avvengono dei passaggi. Viaggiando tra i ricordi e mettendoli in parola, ci si stacca dalle emozioni che questi hanno comportato e nelle quali il paziente è ancora coinvolto.”

Il processo di guarigione

Se tutto dipende anche molto dalle capacità del singolo individuo, possiamo dire che gli uomini che non incarnano lo stereotipo di “maschio alfa” sono più facilitati nel processo di guarigione?

“Essendo uno psicoanalista, la mia opinione è che il ruolo rappresentato da ciascun individuo a livello sociale è sempre frutto di una scelta, per quanto questa possa essere inconscia. Si sceglie sempre ciò che in qualche modo rappresenta un vantaggio, anche se irrazionale. In alcuni casi tale vantaggio è rappresentato dall’avere un ruolo di forza, che mette la persona in una posizione dominante rispetto a chi gli sta intorno. A volte però incontriamo degli uomini che non solo sono più abituati al dialogo con gli altri – e quindi con il terapista – ma sono anche più propensi a parlare con se stessi, e quindi a un’analisi approfondita della loro interiorità. Attraverso il dialogo è possibile staccarsi dalle rigidità: la salute mentale sta proprio nella capacità di essere fluidi rispetto alla propria identità. Nella vita, l’avere delle identificazioni troppo rigide, le quali appartengano a delle fasi della crescita o in alternativa a dei ruoli scelti o imposti dalla società, è un fattore di rischio, tra quelli che possono portare a sviluppare un disturbo di tipo depressivo.”

Lo studio dell’Università di Ulm cerca di scomporre questo cosiddetto “ruolo maschile dominante” in vari fattori, per farli lavorare singolarmente e ottenere un quadro più ampio. Tali fattori sono: l’aderenza del singolo a comportamenti e modi di pensare che appartengono alla sfera della forza e della prevaricazione, alte aspettative in ambito lavorativo e capacità di adattamento in situazioni precarie o complicate. I risultati hanno mostrato come i pazienti con una buona capacità di adattamento, una moderata ambizione lavorativa e un completo distaccamento da un tipo di personalità rigida siano anche i pazienti i quali hanno mostrato meno difficoltà nel percorso terapeutico. Un fattore molto importante è quello lavorativo: sia il disinteresse totale per la carriera sia, al contrario, la troppa ambizione, sono fattori problematici per la salute mentale.

“In molti casi, il fattore scatenante una depressione in una donna ha a che fare con questioni sentimentali. Chiaramente si tratta di una generalizzazione, perché ci sono taluni casi in cui una paziente viene in cura perché ha perso il lavoro, oppure perché il suo ruolo non è preso in considerazione. Si tratta però di una percentuale bassa. Possono verificarsi condizioni depressive in donne a cui i mariti o i compagni negano la possibilità di tornare al lavoro dopo aver avuto un figlio… Per quanto riguarda gli uomini, la carriera e le vicende in ambito lavorativo spesso sono più importanti. Tuttavia, il fatto di interessarsi maggiormente che in passato ad attività che riguardano la cura dei figli espone meno al rischio di essere colpiti negativamente dalle conseguenze di problemi professionali”.

Se il lavoro è così importante, non possiamo fare a meno di notare quante professioni siano ancora monopolio maschile, soprattutto se si parla di ruoli di potere. Si può forse dire allora che identificarsi con un ruolo maschile dominante avvenga anche a causa di una spinta sociale trasversale a tutti i settori lavorativi e gli ambiti della vita quotidiana. Allentare questa pressione andrebbe a beneficio non solo delle donne, le quali spesso di vedono escluse dalle “stanze del potere”, ma sarebbe di giovamento anche nella vita degli uomini stessi.

Secondo lo studio tedesco, fattori scatenanti per la depressione sono quindi l’aderenza allo stereotipo maschile, l’incapacità di reagire in modo sereno in situazioni topiche e un rapporto problematico con le questioni lavorative. Da qui un possibile processo terapeutico, nel quale si spinga verso la ricerca del proprio ruolo nella società, non per forza già preimpostato, che non debba per forza rispondere a un ideale che magari non è in linea con il carattere o l’educazione. Costruite queste fondamenta, si può andare a lavorare sulla capacità del paziente di reagire serenamente in situazioni complesse, senza attuare quei comportamenti violenti oppure atti a prevaricare gli altri, i quali rappresentano un campanello d’allarme per quanto riguarda il benessere della persona.

Immagine: Pixabay

Questo articolo è stato pubblicato qui

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