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Decrescita: un occasione da prendere al volo

Anch’io, in prima persona e nella mia azione politica, dopo i recenti fatti giapponesi, ho spinto molto sulle fonti energetiche alternative, oltre a spingere ad un si nel prossimo referendum abrogativo sul nucleare; ciò però è vero che spinge verso qualcosa di migliore, senza dubbio del petrolifero e del nucleare, ma non porta certamente alla risoluzione del male, concordo pienamente su una tesi di Massimo Fini che giorni fa affermava che non esistono fonti energetiche non inquinanti. Citava Fini l’esempio proveniente da una piattissima regione fra Olanda e Belgio, battuta dal vento, dove furono impiantate trecento enormi torri eoliche; il risultato fu lo sconvolgimento mentale della popolazione, a causa del rumore delle pale e dalla visione di un panorama improvvisamente modificato in modo sostanziale.
 
Torno ad affermare oggi quanto scrivo, ad intervalli, da tempo… l’alternativa vera, l’unica realizzabile realmente è la riduzione della produzione e conseguentemente del consumo, il quale se non dimezzato va “educato”.
 
Noi viviamo in un mondo pazzesco dove i “padroni del vapore” affermano spesso e volentieri che davanti alla crisi, ma anche per principio economico, occorre stimolare i consumi per aumentare la produzione… la teoria della crescita, una vera follia senza uscita che nell’attualità della nostra economia ci ha portato a ribaltare i principi cardine della vita regolata… oggi noi non produciamo più per consumare, ma consumiamo per produrre.
 
Questo principio, che si basa non sulle necessità del consumatore, ma su quelle del produttore, ovviamente, non trovando abbastanza risposta all’offerta, è obbligato ad implodere su se stesso e dopo aver traviato nel suo percorso le popolazioni terzomondiste, oggi minaccia di morte, non solo economica ma anche di qualità della vita, pure i paesi d’elite.

Occorre correggere il tiro se vogliamo, oltre che sopravvivere, farlo bene, con dignità, non schiavi in produzione e consumo (in senso soprattutto di operaio e cliente), ma felici di acquistare prodotti che abbiamo manufatto con gioia.
 
Ripetutamente ci viene raccontato che grazie alla crescita economica si innalza anche l’occupazione, peccato abbia letto che in 18 anni (al 1998) il PIL si fosse triplicato, con un incremento del 16% della popolazione, ma con l’aumento della forza lavoro di circa 100.000 unità, il tutto con una diminuzione percentuale di circa 6 punti. Semplicemente ci si è limitati a spostare i pilastri produttivi dapprima dall’agricoltura all’industria, poi ai servizi. Nel frattempo si è puntato a produrre di più, con meno addetti, con contratti capestro, senza valutare gli impatti ambientali.
Davanti alla naturale diminuzione della domanda ed alla crescita dell’offerta, si è pensato solo (senza vedere gli impatti succitati) a diminuire i costi della produzione ed ad inventarsi lo sviluppo di alcuni settori per inventarsi nuovi mercati.
 
Davanti ai rapporti domanda/offerta sopra citati i governi hanno ben pensato delle risposte, ampiamente discutibili. Abbiamo visto programmareriduzione della pressione fiscale, deroghe alle norme urbanistiche per incentivare la ripresa dell’attività edilizi, incentivi nell’acquisto di automobili, mobili, elettrodomestici, copertura dei debiti delle banche con denaro pubblico.
 
Ma il mercato non si può drogare in eterno e i debiti pubblici oggi sono al limite del collasso e di ripresa economica ed aumento di occupazione nemmeno l’ombra; anzi tutto questo ha portato, oltre che alla chiusura di parecchie fabbriche, alla delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo di manodopera ed al conseguente abbassamento del tenore di vita per molte famiglie, l’esatto opposto della crescita e dello sviluppo.
 
Oggi, così come A. de Benoist, S. Latouche e molti altri fautori della teoria della decrescita, mi chiedo se non sia il caso di ringraziare per questa evoluzione e cercare di approfittarne per dare il la ad un cambiamento radicale.
 
Ritengo che possiamo cominciare a credere che ritenere importante solo la crescita del PIL sia un errore e che ce la potremmo cavare, magari molto meglio, con una "economia in equilibrio sostenibile"; in sostanza producendo e vendendo guardando alla qualità e non alla quantità ed al costo al ribasso.
 
Decrescita, filiera corta, qualità della vita potrebbero, in fondo, essere dei
componimenti che invertono e sovverto il precedente; il calo del PIL e della produzione superflua non possono che migliorare la qualità della vita e far del bene al pianeta, il quale non è in grado di sostenere (tanto ambientalmente, quanto socialmente) una crescita bulimica come quella sperimentata nella seconda metà del 900.
 
Oggi viviamo di una produzione globalizzata e di un acquisto aldifuori delle necessità, che ci porta, ad esempio, a buttare come spazzatura cibo ancora commestibile, ma anche scaduto, in quantità elevate; trovo molto auspicabile dirigere la produzione verso una microeconomia meno sponsorizzata, quindi più consapevole e che valorizzi le risorse locali e le identità culturali,
interpretando la diversità come un valore aggiunto da non disperdere attraverso l’appiattimento e l’omologazione.
 
Produrre su piccola scala, incentivando magari anche degli scambi molto poco mercantili, sicuramente va a rendere più gioioso e responsabile il lavoro. Acquistare prodotti manufatti a pochi km di distanza preserva l’ambiente e lo spreco di energia oltre che aiutarci a sentirci più partecipi al nostro territorio.
 
Riportare in vita la convivialità e il buon rapporto di vicinato non può che rasserenare il nostro io, oggi abituato a vedere l’altro quale pedina dei nostri bisogni.
 
La decrescita è una scuola di pensiero che, oggi, grazie alla crisi economica, potrebbe trovare uno sviluppo forzato, obbligandoci (rimarco obbligandoci) a trovare una miglior forma di vita e instradandoci verso l’unico modello di sviluppo che il pianeta può sostenere.
 
Chiudo, lo faccio spesso, abbinando questa formula di vita con l’unica formula politica che riconosco, quella nascente dal basso, democratico-partecipativa, che coinvolge e responsabilizza l’essere umano attraverso una sovranità condivisa, la partecipazione, l’autonomia e la federazione, la reciprocità e la concertazione.
 
Condivido un pensiero di Eduardo Zarelli, letto in rete: “Una concertazione armonica di cerchi concentrici sovrani che senza obbligazione, nella fluidità sussidiaria, portano la personalità a formarsi ed esprimersi liberamente dalla comunità naturale, la famiglia, fino alle comunità allargate di prossimità locale e condivisione politica generale che dia all'Europa il vero scarto della sua ragione e dignità: l'universale del bene comune".

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