Ddl Intercettazioni: la norma chiave che salva la Chiesa e preserva il potere
Indagini quasi impossibili nei confronti dei componenti del clero: il ddl Intercettazioni, ricordiamocene, è anche questo.
Cionondimeno, di potere e sua perpetuazione, si tratta. E tocca raccontarlo: questo disegno di legge, già forte del sì di una Camera, ne è la sua costruzione ideale, che ne testimonia l’esistenza fattiva: il potere si muove, il potere tenta di riprodursi. Il potere riproduce altro potere, e ne protegge altri. L’articolo 1 comma 25 del disegno già approvato al Senato lo scorso 10 giugno: “se un pubblico ministero intercetta o indaga un uomo di Chiesa deve darne immediato avviso al Vaticano”.
La norma, a leggerla, punta a cautelare gli esponenti del clerocome questi godessero di un’immunità sacra, come a normare lo status di alterità del corpo ecclesiastico rispetto al mero mondo terreno. Un’affermazione nient’affatto laica, come si dovrebbe, lo svisamento della logica paritaria della Carta Costituzionale, mille implicazioni morali. Si potrebbe dire. Ma non basta: trattasi di un articolo peggiorativo, se possibile, dell’intera impalcatura normativa. Per intercettare o indagare il prete, in breve, si rende necessario il placet del vescovado. Dal vescovo in su, è dal Vaticano che si deve attendere il via libera.
E’ una forma di conservazione del potere, poteri coabitativi, intrecciati in gambi, steli e conflitti interessati, che rende quindi più insopportabile l’intero disegno di legge. Una guarantigia al potere ecclesiastico, di contro spesso protagonista di fatti di cronaca, di politica, di malaffare. Don Bancomat Biasini, i preti accusati di pedofilia, il presunto torbidume che va diradandosi attorno al monsignor Sepe. Le basse gerarchie dedite all’apologia di reato e, tutta la narrativa e la contabilità della finanza vaticana. Un capitolo, un volume della storia italiana, recente e passata. Quella peggiore.
Una norma, c’è da aggiungere, ben poco conforme ai principi esposti durante il Concilio Vaticano II, nel “la Chiesa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti ove constatasse che il loro uso potesse fare dubitare della sincerità della sua testimonianza” del “Gaudium et spes”. Carta straccia, inutili propositi già derisi sotto Craxi col Concordato del 1984, una congerie di privilegi sociali, giuridici, culturali ed economici.Craxi, peraltro. Potere.
Non può stupire che un governo come quello attuale decida di favorire la vita che umbratile si staglia sotto i campanili. Deve, stupire. In certi Palazzi potrà sembrare norma la conservazione della subalternità dei cittadini comuni, riproposta carta e penna in un disegno che, punto per punto, farebbe del nostro paese non solo una democrazia dimezzata, ma uno Stato per metà confessionale (essendo riconosciuto ai membri ecclesiastici uno status ben più tutelato che per i cittadini stranieri sul suolo italiano). E’ l’altra metà di tutto che stiamo cercando di tenere con forza.
E’ l’intero disegno a costituire l’attentato al regolare svolgimento della vita sociale e pubblica. Al di là del ludibrio del padrone, forse il più uguale degli altri, ma non l’unico. E’ il potere, tutto, quasi fosse braccato, che cerca la sopravvivenza. E l’articolo 1 comma 25 ne è la spia, la garanzia di una tutela palingenetica per ogni sua forma. Tra queste, la peggiore – occorre ricordarlo – quella ecclesiastica.
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