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Per un equo impiego pubblico a rotazione

Il 14 luglio 1789 avveniva la presa della Bastiglia: un evento ben rappresentativo della più ampia serie di avvenimenti che oggi chiamiamo "Rivoluzione francese". In quei tempi iniziò il percorso che con alterne vicende condusse la Francia all’affermazione definitiva della Repubblica.

220 anni sono trascorsi da quel giorno. E 220 anni sono invero troppi, perché ciò che oggi chiamiamo Repubblica è in effetti ancora ben distante dall’essere una piena, compiuta forma sociale repubblicana.

Oppressi dalle dittature, nei momenti più critici della loro storia, i popoli si son potuti concentrare sul cambiamento della mera forma di governo. Successivamente coloro che avrebbero dovuto sviluppare l’idea repubblicana e portare a compimento il processo di repubblicanizazione della società, estendendo tale tipo di organizzazione all’intera gestione della Cosa Pubblica, hanno ceduto alle lusinghe dei privilegi della loro categoria, rimasta come ai tempi delle monarchie.

Gli innumerevoli docenti, professori, ricercatori umanisti, i filosofi, i giuristi, i costituzionalisti, emeriti statali, hanno tranquillamente accettato anch’essi di farsi assumere a vita in quei ruoli che avrebbero dovuto invece essere periodicamente redistribuiti tra la popolazione. E così la celebre frase "L’état, c’est moi"("Lo Stato sono io"), attribuita al re di Francia, Luigi XIV, che accentrò i poteri dello Stato nella propria persona, ancor oggi riecheggia pari pari nei pubblici uffici indebitamente occupati dalla casta statale.

"Lo stato siamo noi!": questo grida l’indegno comportamento di coloro che si sono impossessati di un pezzo del sacro bene comune. Dimentichiamo che ben sessantatre anni sono passati da quando il popolo italiano optò per l’ordinamento repubblicano.

Abbandonati da coloro che per ruolo, onori e redditi avrebbero dovuto trainare in avanti la società, mentre invece han fatto da ermetico tappo al progresso, noi semplici cittadini abbiamo oggi l’onore di affermare la verità che lo Stato, l’accentramento del potere nelle mani di un’inamovibile ed immutabile élite, non esiste più dal 1946 ma che, purtroppo, gli statali son rimasti come nulla fosse accaduto!


Sta a noi, semplici meravigliose persone, che mai abbiamo nemmeno pensato di impossessarci di qualcosa che per sua stessa natura giuridica non poteva essere assegnato a vita, continuare quel processo iniziato 220 anni fa, e stavolta pacificamente, legalmente, civilmente, affermare l’improrogabilità di un equo impiego pubblico a rotazione.

Non foss’altro perché l’unico modo per evitare un’aperiodica sanguinosa rivoluzione è quella di istituirne una regolare: la rotazione è esattamente una pacifica rivoluzione costante.





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