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“Da 14 anni nell’Euro; i costi li abbiamo visti, e i benefici?”

Il Gruppo Giovani Imprenditori di Confapi presenta oggi in occasione del suo congresso nazionale lo studio commissionato al Prof. Giacomo Vaciago dal titolo: “Da 14 anni nell'Euro; i costi li abbiamo visti, e i benefici?”

Lo studio ha cercato di dare una risposta su basi scientifiche ai problemi della scarsa crescita dell’economia italiana. Uno su tutti il motivo per il quale l’Italia arretra mentre molti altri paesi (anche in Europa) accelerano e sulle ragioni che vedono questa crisi colpire soprattutto le nuove generazioni, cioè il nostro futuro, ponendo un accento particolare alla degradazione del nostro sistema democratico, ulteriore conseguenza della mancata crescita, poiché crescere “rende una società più aperta, tollerante e democratica”.

Lo studio parte dalle ragioni che in 15 anni hanno compromesso il necessario adeguamento tecnologico ed organizzativo all'interno del nostro paese compromettendone il presente, concentrandosi sulla decrescita continua del “prodotto per ora di lavoro” e di “produttività totale dei fattori” per misurare la crescita; ponendo l'attenzione infatti su questi due elementi costitutivi della crescita di una nazione, come si evince dallo studio commissionato dal Gruppo Giovani di Confapi, l'uso di politiche a favore dell’espansione della spesa pubblica o l’inflazione o la svalutazione del cambio sono solo dei palliativi, ma non curano certo il male, per rilanciare lo sviluppo l'unica ricetta è quella indicata in passato anche dal governatore Draghi: “Solo il progresso della produttività genera benessere economico”.

Quindi si arriva e si punta sui tre aspetti fondamentali necessari a correggere il declino dell’Italia :

1) La necessità di progredire in termini di capitale umano e di ricerca scientifica “utile”.

2) L'assetto di regole necessario, per garantire che sia elevato e sempre presente lo stimolo all’innovazione ed alla adozione di best practice organizzative.

3) L'utilità a mantenere fermo l’obbligo a ridurre deficit e debiti pubblici che ci deriva dai nuovi Patti europei nel breve e nel medio periodo.

Dal 15 settembre 2008 (caso Lemanbrothers) in Italia scopriamo che condividiamo tutti i guai della globalizzazione senza averne conosciuto i vantaggi e soprattutto scopriamo che la nostra industria è sempre meno locomotiva, e sempre più vagone di coda, delle altrui filiere produttive più robuste e importanti. Scopriamo anche che il nostro futuro di grande paese industriale non è più garantito dalla ripresa che sempre segue ad una recessione.

La posizione del Governo italiano nei confronti della crisi e dei costi che ci ha presentato, è stata caratterizzata da tre successive tesi che così possiamo commentare:

1) “La crisi non è colpa nostra”: ciò è vero, ma non serve.

2) “Altri stanno peggio di noi”: ciò è vero, ma non consola.

3) “Abbiamo tenuto sui conti pubblici”: ciò è vero, ma non basta.

Perché molti dei cosiddetti shock cui si imputa buona parte dei nostri guai, altro non erano che squilibri da tempo presenti e a lungo colpevolmente sottovalutati. Ma le condizioni di cattiva burocrazia, difficoltà nel credito, ingessamento delle politiche attive tra sindacati ed azienda, hanno costituito la mancata crescita della nostra produttività oraria, che a fronte di altre realtà europee ha caratterizato per l’Italia un continuo declino industriale. Ma allora cosa dovremmo fare per tornare a crescere? Lo studio della Confapi Giovani prodotto dal Prof. Giacomo Vaciago ci indica la strada:

“Anzitutto, il primo aspetto da sottolineare è che in un’economia di mercato è la concorrenza il modo normale con cui l’innovazione viene introdotta nella produzione: chi non innova è perdente nella competizione. Occorre dunque un forte aumento del grado di concorrenza, soprattutto nell’area dei servizi pubblici e privati. 

La seconda area di intervento, prioritaria per modernizzare il Paese e ottenere significativi guadagni di produttività, riguarda l’organizzazione del lavoro in tutti i servizi che pubblici devono rimanere, ma possono ben emulare la migliori pratiche del resto d’Europa. Dalla giustizia alla pubblica amministrazione (nazionale e locale): molto deve ancora essere realizzato per adeguare le modalità di produzione di quei servizi all’odierna miglior tecnologia. 

La terza priorità è una revisione del bilancio pubblico, recuperando il metodo della spending review, introdotto da Padoa Schioppa sulla base dell’esperienza francese e inglese, e che il successivo governo subito eliminò, arrivando a chiudere l’ISAE dove queste analisi erano state iniziate. Occorre anzitutto tagliare spesa pubblica corrente che non serve alla priorità della crescita, ma anche “spostare” quote significative di pressione fiscale dalla imprese alle famiglie; dal reddito al patrimonio; dai contribuenti onesti agli evasori.”

Dovremmo tornare infine anche in Italia al buon senso di chi giudica “eccessivo” un debito – privato o pubblico, non importa – che non serve a finanziare la crescita, ma solo redistribuisce risorse tra i diversi cittadini o tra le diverse generazioni.

Liberamente tratto dalla Relazione del Prof. Giacomo Vaciago sullo studio commissionato dal gruppo giovani imprenditori Confapi intitolato “Da 14 anni nell'Euro; i costi li abbiamo visti, e i benefici?”

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