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DAD (disturbo-alienante-docenti)

Attività didattiche ufficialmente concluse. Dad terminata. Il sollievo di docenti e famiglie è evidente nello strano silenzio che sta seguendo. Siamo talmente provati che ci è negata anche la forza di gioire. Per cosa poi? Cosa è realmente accaduto alla scuola in questi mesi? 

Una pandemia mondiale ha creato delle bolle indipendenti nel nostro vivere quotidiano, tutte sospese e allo sbaraglio, tutte fluttuanti e disconnesse tra loro, ognuna concentrata e persa nelle proprie folli dinamiche. Alcune completamente ignorate dalle altre. La scuola italiana, la grande bolla che sembrava implodere da un momento all’altro, pare sia arrivata alla fine di un anno scolastico decisamente storico. Non ci è arrivata di certo illesa. Non ci è arrivata orgogliosamente, aldilà di come ce la vogliamo raccontare.

La chiusura ha confermato i limiti che abitualmente tendiamo ad ignorare, a nascondere e a rimandarne la soluzione. È diventata obsoleta, il sistema è tristemente obsoleto, è un oggetto vintage che ci ostiniamo a conservare per affetto, è un carrozzone che arranca tra suv, fuoristrada e auto elettriche. Continuiamo a conservare questa nostalgica ma, ormai ridicola, idea della scuola, forse per pigrizia, forse per un’incrollabile fiducia nel futuro che si autorealizza nella versione migliore, forse perché le priorità ci sono sempre sembrate altre o semplicemente perché siamo ottusi, banalmente ottusi. 

La verità è che la scuola come istituzione presente, riconosciuta e legittimata non esiste più. La scuola siamo noi, sono i docenti che non mollano, i genitori che ci credono ancora, qualche DS ribelle. Niente altro. La scuola è fatta solo di persone che, come in questi mesi, si trovano ad andare allo sbaraglio, a sbagliare come è normale che sia, a emozionarsi, a fallire e a ritentare. Nessun punto di riferimento se non la luce di ciò che hanno letto e visto negli anni tra i banchi, non un modello collaudato, efficiente ed inclusivo. La scuola di oggi è il più grande produttore di schiavi, di disuguaglianze e di noia, la noia paralizzante, invalidante. In questi mesi è venuto tutto fuori, come un armadio stracolmo in cui ci ostiniamo a spingere dentro ancora di tutto, un bel giorno le ante si spalancano senza preavviso e siamo costretti a vedere tutto lo schifo che abbiamo accumulato, costretti a scegliere, a buttare le cose irrecuperabili. DAD, didattica a distanza, anche il cuore, in alcuni casi, a distanza, insospettabilmente. Ho visto insegnanti dal cuore frigido e stitico, incapaci di godere del sano piacere di dare e avere dai propri studenti, non un momento di empatia, non un sorriso. Ho visto insegnanti dileguarsi, altri occupare le giornate e le case delle ignare famiglie. Ho visto la tecnologia modellarsi inaspettatamente e sorprendentemente tra le mani di studenti e insegnanti visionari. Ho visto bambini svogliati bramare la scuola e le maestre. Ho visto insegnanti ingenui e impreparati nelle grinfie di studenti in vacanza da una vita. Ho visto insegnanti piangere davanti allo schermo per un abbraccio mancato, per la frustrazione del momento, per gli strumenti insufficienti a dare ciò che avrebbero voluto. Ho visto insegnanti credere ancora nello smodato carico di compiti, insegnanti attaccati con le unghie a quei brandelli di scuola nozionistica che ancora qualcuno si ostina a celebrare. Ho visto insegnanti andare in vacanza l’8 marzo 2020 come alcuni loro studenti. Galimberti lo ha detto, io la penso esattamente come lui:”I docenti dovrebbero essere assunti in base all'Intelligenza Emotiva, senza di essa non si può insegnare”. Quel tipo di intelligenza è universale, atemporale, si aggiorna in automatico, si adegua ad ogni studente. Purtroppo non la acquisiamo con corsi e concorsi, né con i master, non con le maratone di aggiornamento. Alla fine è tutto lì, sempre, non solo a scuola, l’intelligenza emotiva ci salverebbe da un’umanità sterile in cui ci facciamo pochi scrupoli nell’ammazzare esseri viventi di qualunque tipo. 

Ai DS non è andata meglio, forse per loro è cominciato il lavoro duro proprio quando pensiamo che per noi sia finito. Li ho visti brancolare nel buio delle nostre istituzioni arretrate, DS confusi sul loro ruolo e su quello del personale docente, Ata e amministrativo, li ho visti dettare legge come vecchi dittatori stanchi, consapevoli di non avere più scampo, li ho visti rischiare e ignorarci tutti, li ho visti ostentare preparazione dove non ce n’era per nessuno. 

Ho visto l’alienazione di famiglie poco abituate ad essere tali, ognuno chiuso in camera singola con vista sul World Wide Web, ho visto le disparità guardarsi fisso occhi negli occhi. La scuola all’avanguardia, gli studenti all’avanguardia, le famiglie all’avanguardia, gli strumenti casalinghi all’avanguardia e poi ho visto loro : quelli che con la DAD sono diventati i pariah della scuola, gli invisibili e virtualmente intoccabili. Al loro avvicinamento, come il campanello dei pariah, contatti informali, sgrammaticati e incerti prima di arrivare all’effettiva trasmissione dei compiti o della lezione. Non hanno un pc, non un tablet, non una buona connessione, non hanno genitori in grado, non sanno inviare email, non riescono a scaricare o far funzionare programmi mediamente complessi, sono genitori e insegnanti pariah. Puff, spariti nel nulla. Non la volontà, non l’affetto, niente e nessuno li ha salvati. A un certo punto qualcuno ha cominciato a correre e loro non sapevano neanche che la gara fosse cominciata. 

Ci abbiamo provato, abbiamo constatato che c’è un gran lavoro da fare, adesso è il tempo di farlo. Vorrei farlo adesso, subito, per tutta l’estate affinché si possa trovare una scuola diversa a settembre, la scuola che accoglie e ammalia i suoi studenti. Vorrei una scuola in cui gli studenti abbiano voglia di andare, senza minacce, ci vogliono andare perché sanno di trovare insegnanti appassionati e incentivati, aule attrezzate, strumenti, progetti e attività innovative e anche un pò di carta igienica e qualche risma di carta. Vorrei una scuola inclusiva, nei fatti e di poche parole. Vorrei che gli insegnanti di sostegno avessero un senso e un modo ragionevole e sensato di lavorare e di essere reclutati. Vorrei una scuola in cui le eccellenze non si riducano a dei nerd sociopatici ed emarginati, incompresi e troppo spesso annoiati da un modo di fare scuola noioso, affatto stimolante, per niente interattivo e grigio, di quello stesso grigiume che sembra caduto dalle pareti degli istituti fatiscenti in cui spesso ci chiudono ad insegnare e ad imparare. Forse più soldi alle scuole pubbliche e non alle banche, più soldi alla scuola e non all’FCA, più soldi alla scuola pubblica e non alle scuole private. Più soldi alla scuola e un pò meno vitalizi e ricalcolo stipendi parlamentari, non perché faccia davvero la differenza ma solo per poter dire ai miei studenti e ai miei figli che esiste ancora la meritocrazia, che veniamo ricompensati per il lavoro che svolgiamo, per ciò che riusciamo a dare, per poter dire che non basta una capatina in Parlamento con il partito di Qui Quo e Qua per avere una vergognosa pensione a vita o uno stipendio ingiustificatamente alto mentre in giro ci scontriamo con la povertà vera, con le famiglie costrette a scendere a compromessi con se stesse. Finanziamo la scuola per finanziare il futuro alle nostre giovani generazioni. I soldi ci sono, ci sono sempre ma l’Italia è un capofamiglia irresponsabile, l’economia familiare non è il suo forte e, soprattutto, c’è qualcuno in casa che fa la cresta sulla spesa, finché non li staniamo tutti sarà inutile parlare e affannarsi. Perché la mia scuola e quella dei miei figli è Pubblica e solo se smettiamo di gestirla come un’azienda in perdita sarà di nuovo una delle nostre eccellenze, solo quando tutti noi avremo voglia di entrarci ogni giorno invece del consueto rigurgito al suono della campanella, solo allora cominceranno a susseguirsi i primi piccoli successi, solo quando sarà riconosciuto e monetizzato il lavoro dei professionisti che ci lavorano sarà diversa, lo saremo tutti perché “non curare la scuola è come dimenticare di annaffiare l’orto o di rifare il letto, è una forma di sciatteria depressiva, un torto che si fa al presente e un sabotaggio in piena regola del futuro”.

 

Foto: Giovanni Pracucci/Flickr

Questo articolo è stato pubblicato qui

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