Cultura e valori classici guide autorevoli per chi vive nel nostro tempo (parte 2^)

La prima parte è qui
In una maniera assai complessa, però di per sé estremamente suggestiva, nel Parmenide Platone afferma che l’Uno parmenideo (entità contraddittoria con la molteplicità ed il mutamento continuo rispetto allo spazio ed al tempo)
“non sarà simile né dissimile, né rispetto ad Altro, né rispetto a se stesso”[1].
e che infatti:
“a chi guarda da lontano un quadro, tutti gli elementi appaiono uniti, affetti da uno stesso carattere e quindi simili. […] Ma a chi si avvicina appariranno molteplici e diversi, e per questo simulacro di diversità appariranno di diversa natura e dissimili a se stessi” [2].
Ciò che Platone sostiene è giustificato dal fatto che Parmenide giudicava l’essere unico ed omogeneo e la molteplicità, ovvero le differenze che possono essere riscontrate tra le cose, come rientrante nel campo dell’apparenza, cioè dell’inganno dei sensi.
Quest’uno privo di differenze, cioè unico e omogeneo, viene da Parmenide concepito come finito e limitato da ogni parte, “perciò, come l’Uno di Senofane, è simile ad una ‘ben rotonda sfera’ ”[3].
Jean Paul Dumont ha scritto in proposito che “gli storici della filosofia hanno fondato l’apprezzamento del pensiero parmenideo come pensiero che esclude l’incoerenza e la contraddizione e con ciò definisce l’unica regola possibile della conoscenza umana. Il sapere rivela un essere intelligibile, senza passato, senza futuro, senza vuoto”[4].
Un altro degli elementi cui gli autori del “manifesto” fanno riferimento, e che contribuisce a denotare la “specifica appartenenza intellettuale”[5] di coloro che lo hanno concepito, è l’ispirarsi anche alla cultura e ed al pensiero della Grecia classica come luogo da cui sono scaturiti l’amore per il bello e per l’arte, quello per le cose buone ed i piaceri della vita: tutti elementi che caratterizzano l’indole di genti mediterranee che sempre si sono contraddistinte per il loro genio e la loro vitalità, per il loro spirito, “che punta ad un’ideale di epicurea felicità dell’attimo”.[6]
Solo da questi brevi accenni che si sono fatti, si capisce come l’aggancio al “classico” si colleghi principalmente con la creatività e la vitalità che si vorrebbe introdurre nell’ambito della gestione di tutte le tipologie di organizzazione, con le auspicate modalità di svolgimento dei processi produttivi e, ugualmente, con le motivazioni che conducono ad innovare e perfezionare i prodotti che devono essere ceduti sul mercato, e con la ridefinizione del sapere manageriale.
E’ in un siffatto contesto di esigenze e problemi che, non casualmente, avviene la rivalutazione degli studi e degli autori classici, la riscoperta del pensiero umanistico e di quello antico, il rifiorire dei valori di cui le culture antiche, in modo particolare quella greca, nel corso dei secoli si sono fatte portatrici.
E’ stato giustamente sostenuto che “è dalla filosofia greca, infatti, che noi abbiamo appreso quali problemi meritassero anzitutto di attrarre l’attenzione dello spirito teso a cogliere, dietro l’apparenza mobile e il mutante volto delle cose, l’essenza che ne costituisce la verità; ed è ancora dalla filosofia greca che abbiamo appreso i primi precetti di virtù che la nostra civiltà ha potuto fissare ed è, infine, nel suo seno che il nostro umanesimo classico affonda le sue più vigorose radici”[7].
Si è affermato che “i nuovi prodotti, il modo per comunicarne il senso e la visione strategica, non nascono da una procedura di innovazione incrementale, ma da un’apertura organizzata all’innovazione radicale. Che a sua volta dipende da una cultura e da una struttura aziendale disegnata per favorire l’espressione, la sperimentazione e la realizzazione delle idee”[8].
Si vive nella continua percezione del cambiamento e del molteplice, si “consumano” idee a velocità inaudite, si crea e si distrugge nel giro di pochi attimi: e tutto ciò in modo tale che risulta facilmente dimostrabile che sia la prospettiva d’impresa che lo spettro d’azione della amministrazione pubblica non richiedono più soltanto metodi di lavoro più o meno sperimentati e/o giudicati comunque efficaci; a tale prospettiva non sono più sufficienti determinate culture di base attraverso le quali i soggetti umani dovrebbero far filtrare e maturare un apprendimento sistematico settoriale.
E’, invece, come si sostiene, “una questione di valori”[9], valori che non rimangono fine a se stessi ma svolgono anche il difficile compito di far imparare, a livello di singola entità organizzativa, “a popolare gli automatismi e i sistemi esperti su cui è fondato il sistema di produzione moderno, inceppandone il funzionamento meccanico, irresponsabile”[10] ed a mettere “a sistema” elementi tra loro anche molto diversi, “Aristofane e l’ultimo software, le vite parallele di Plutarco e la gestione delle risorse umane, l’Odissea e lo sviluppo di un nuovo prodotto per un nuovo mercato,
I riferimenti, come si vede, sono ancora agli antichi che autorevolmente hanno saputo far giungere la loro voce e la loro saggezza fino a noi, principali attori di quest’era della conoscenza.
[1] Cfr. Platone, Parmenide, a cura di M. Migliori e C. Moreschini, 140 B, trad. M. Migliori, Rusconi, Milano 1994, p.113.
[2] Ivi, 165 c-165 d, p. 235.
[3] Cfr. E. Berti, Storia della filosofia-Antichità e medioevo, Laterza, Roma-Bari 2003, p.23.
[4] Cfr. J.P Dumont, La filosofia greca, Xenia, Milano 1994, p. 22.
[5] Cfr. M. Minghetti, F. Cutrano (a cura di), Le nuove frontiere della cultura d’impresa …, p. XIII.
[6] Ivi, p. XIV.
[7] Cfr. J.P. Dumont, La filosofia greca…, p. 1.
[8] Cfr. L. De Biase, Alla ricerca delle aziende creative, in: “Il sole 24 ore”, inserto “Nòva
[9] Minghetti M., Cutrano F. (a cura di), Le nuove frontiere della cultura d’impresa …, p. XV.
[10] ibid.
[11] ibid.
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