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Cucina anarchica, una rivoluzione in atto

Il Manifesto di Cucina Sovversiva viene pubblicato nel gennaio del 2016 dal collettivo libertario "Rivoltiamo La Terra". Delle linee guida semplici, largamente condivisibili, per impostare una cucina al tempo stesso ecologica, etica, sociale, politica ed infine anarchica.

 

Intervista a Francesco Scatigno del collettivo libertario Rivoltiamo La Terra, autore di "Mezza Rivoluzione o La Rivoluzione Integrale” e del “Manifesto di Cucina Sovversiva
 

A cura di Monica Jornet, Umanità Nova

Perché è nata Cucina Sovversiva?

Cucina Sovversiva nasce per rispondere ad una esigenza di coerenza tra ciò che si dice o ciò che ci si propone e ciò che si fa.

Credo sia capitato un po’ a tutti, di trovarsi in centri sociali, in circoli libertari o sedi di collettivi a consumare pasti di chiara origine commerciale. Ecco, l’autogestione non è una formula esclusivamente politica. È – e deve essere – una pratica economica che costituisca anche un esempio per chi i luoghi sociali li frequenta. Non basta quindi ridurre al minimo necessario la spesa dalla Grande Distribuzione Organizzata per la cena di autofinanziamento ma questo modello di consumo va portato anche negli ambienti privati, nella spesa quotidiana.

Come si fa Cucina Sovversiva?

Fare cucina sovversiva significa approvvigionarsi da piccoli produttori, piccole aziende agricole a gestione familiare o basate sulla cooperazione di diversi soggetti, ricorrere sempre meno alla grande distribuzione e, se non si condivide uno stile di vita vegetariano o vegano – ridurre ad un paio di volte alla settimana il consumo di prodotti di origine animale da piccoli allevatori per questioni di sostenibilità ambientale.

Non in tutti i territori sono presenti movimenti di contadini.

Non sempre è facile, per esempio in piccoli paesi dell’Appennino, lontano dai grandi mercati di Roma, Bologna e Firenze organizzati dai movimenti regionali che aderiscono a Genuino Clandestino. Ovunque ci sia un contadino che lavora con etica e non sfrutta operai, la terra che coltiva è senza diserbanti e prodotti chimici, lì ci sono tutti gli ingredienti per fare Cucina Sovversiva. Inoltre di recente si è costituita la rete nazionale Fuorimercato che attraverso un’organizzazione della logistica vuole favorire il trasporto di tutti quei prodotti che sono fuori dal mercato della grande distribuzione e che fanno propri i principi dell’autogestione, di una produzione senza sfruttamento, di mutuo appoggio e cooperazione. Per cui chi non riesce a reperire sul proprio territorio alcuni prodotti da contadini etici, può fare riferimento a Fuorimercato per l’approvvigionamento.

Come si fa a praticare la Cucina Sovversiva?

Cominciare a fare Cucina Sovversiva non è così difficile. Basta osservare i propri acquisti e consumi e cominciare a frequentare mercatini bio locali delle reti regionali di produttori,[1] cominciare a conoscere produttori locali che lavorano bene, che non hanno dipendenti sul cui lavoro speculano per concentrare ricchezze. Conoscere i produttori significa parlarci, visitare le aziende e gli orti, comprendere i sistemi e tecniche di lavoro adottati. Conoscere i produttori significa essere consapevoli di stare sostenendo un modello di azienda, rapporti lavorativi, approccio alla terra, alla produzione di cibo che se portati su larga scala risolverebbero gran parte dei problemi sociali ed economici del nostro pianeta.

Perché è importante fare cucina sovversiva?

Cucina Sovversiva è un invito a creare comunità attorno al cibo e alla sua produzione, a condividere saperi e sapori. Tra gli obiettivi di questo progetto c’è proprio quello di fare sperimentazione e diffusione sulla fermentazione dei legumi, una tecnica su cui le multinazionali stanno investendo tante risorse per poter portare a casa brevetti per la commercializzazione di prodotti per vegani e vegetariani consumisti, che non hanno scrupolo alcuno nel consumo se non quello sull’origine vegetale o meno del prodotto. Una fascia di consumatori in crescita ed appetibile, su cui creare speculazione, sfruttamento di lavoratori, risorse e continuare a creare divari sociali.

Cucina Sovversiva vuol dire per forza veganismo, pure antispecismo?

Cucina Sovversiva è una pratica accessibile a tutti, anche agli onnivori. Consiste nella scelta, secondo precisi criteri, degli ingredienti da usare in cucina. Se gli ingredienti principali di un piatto o di una cena vengono da allevamenti e da contadini etici allora si sta facendo Cucina Sovversiva. Sicuramente per gli antispecisti non esistono allevamenti etici. La questione che a noi preme è che il consumo si sposti dalla grande distribuzione ai piccoli produttori per generare un cambiamento delle relazioni economiche e sociali ed abbattere sistemi gerarchici e speculativi nel mondo del lavoro. Quindi, finché ci sarà qualcuno che consuma prodotti derivati da animali, è importante che quel consumo subisca una trasformazione e che non alimenti tutta la filiera legata alla grande distribuzione. Alcuni di noi sono vegani, altri vegetariani, ma questo non importa: tutti possono essere sovversivi in cucina. Discorso a parte è la quantità di consumo di prodotti di origine animale. Se i piccoli allevamenti etici non sono capaci di far fronte al consumo giornaliero di tutti gli onnivori, bisogna considerare necessario ridurre il consumo di prodotti di origine animale.

Una cucina tendenzialmente vegana può risultare interessante? Possiamo immaginare un graduale cambiamento dei consumi in questo senso?

Certamente. La cucina vegana non è noiosa. Anzi, c’è un percorso da fare, quello della sperimentazione. I principi che ci ispirano ci spingono a rifiutare tutti quei prodotti vegani commerciali che inizialmente trovavamo solo nei negozi bio e che ora sono diffusi anche nei discount a costi molto bassi. Li rifiutiamo perché il business del biologico sta creando una filiera parallela di grande distribuzione che sfrutta il lavoro umano alla stessa maniera del convenzionale. Stesso discorso per tutti quei prodotti vegani non biologici e a basso costo, spesso di scarsa qualità in quanto a ingredienti, e per nulla “cruelty free”. Liberi da crudeltà su animali ok, ma da sfruttamento su operai? Che cosa è la speculazione di una grande azienda sul lavoro dei propri operai, se non crudeltà? Liberazione animale ed emancipazione dell’uomo devono procedere di pari passo, non può esserci liberazione animale senza liberazione umana. Non è più liberazione animale ma business. Un vegano che non si pone queste domande e che non prova a risolvere queste contraddizioni, non ha principi etici, è solo mosso da una parziale sensibilità o si inserisce in un filone modaiolo.

In che senso c’è sperimentazione? Vuoi dire che dalla triste immagine dell’ insalatina, si arriva al burger vegano, persino nella “cucina anarchica”?

Si. Attraverso una particolare tecnica di preparazione possiamo ottenere prodotti simili a quelli in commercio, partendo da legumi e farine non necessariamente raffinate. Non servono più farina di glutine, amidi e vari preparati. Possiamo preparare in casa questi prodotti facendo la spesa dal contadino. La fermentazione dei legumi è un processo di trasformazione dei legumi che ha lo scopo di ridurre gli antinutrizionali presenti nel legume fermentato, di renderlo più nutriente, di influenzarne il sapore e cambiarne consistenza in modo da arrivare ad un prodotto finito che può somigliare a salsicce, salami, affettati, arrosti, fettine vegetali ecc. senza dover usare, come è stato fatto finora, glutine puro di frumento o preparati per seitan per raggiungere traguardi simili. Possiamo autoprodurre un piatto gustoso, nutriente e solo all’apparenza complicato da preparare!

Da cosa è caratterizzata l’autoproduzione per chi si riconosce in uno stile di vita ed alimentare vegano sovversivo?

Dalla fermentazione dei legumi, dalla creazione di impasti di soli legumi o di legumi e farine grezze in alternativa ai prodotti commerciali fatti di amidi, glutine puro ed amidi industriali nella creazione di prodotti vegetali proteici simili alla carne.

Questa tecnica di autoproduzione si avvale di prodotti grezzi, facilmente reperibili da contadini, al contrario di quelli in commercio che usano ingredienti raffinati ed industriali!

Come si può difendere una conoscenza ed evitare che venga utilizzata dalle aziende?

Noi questi dubbi ce li poniamo dal principio e abbiamo riflettuto sull’utilizzo di ingredienti di origine industriale in cucina, riuscendo a eliminarli un pò alla volta. Stiamo sviluppando un progetto per condividere queste conoscenze ed evitare che diventino fonte di business, anzi l’idea è quella di creare un fondo per sostenere progetti di lavoro cooperativo senza padroni.

Come si realizzerà il progetto?

Per ora siamo però in una fase di analisi e stiamo valutando come proseguire questo nostro percorso. Sull’idea si sta ancora ragionando, sulla possibilità di creare un’associazione o una fondazione e sulla registrazione del marchio. Stiamo valutando di registrare collettivamente un marchio che identifichi questo tipo di impasti in modo da evitare che una qualsiasi azienda possa cominciare a produrli e metterli in vendita nella grande distribuzione. Noi faremmo qualcosa di completamente diverso da quello che fanno le aziende tradizionali che producono seitan, mopur, muscolo di grano, affettati e arrosti vegani. Attraverso uno strumento che noi anarchici non amiamo particolarmente, cioé la registrazione di un marchio, noi vorremmo escludere chi fa speculazione e business da queste conoscenze e diffondere queste conoscenze nelle cucine delle case, dei piccoli pub, dei centri sociali. Così come oggi si fa il pane in casa con lievito madre, un giorno ci piacerebbe che la gente prepari in casa questi impasti di legumi fermentati invece che andarli a comprare, come avviene oggi per prodotti simili, nei negozi bio o nei discount.

Come trasmettere queste conoscenze nuove?

Noi vorremmo diffondere questa conoscenza tra gli individui attraverso l’organizzazione di corsi tenuti da compagni- “formatori”- che da questa attività ci farebbero reddito.

C’è una strategia commerciale praticabile?

La licenza potrebbe essere ceduta a piccoli ristoratori più o meno etici e con gli incassi che si farebbero si potrebbero aiutare progetti di cooperazione che stentano a trovare una quadra economica e una soluzione sostenibile (vedi Sfruttazero che riesce con fatica a produrre salsa ogni anno grazie al reperimento di fondi e mezzi di produzione attraverso forme mutualistiche) a portare a compimento un progetto che dia realmente un reddito a chi ci lavora e per tutto l’anno. Nel caso di Sfruttazero, se ci fossero dei finanziamenti più consistenti, la soluzione che anche gli stessi compagni pugliesi considerano una meta da raggiungere è l’apertura di un laboratorio di trasformazione attivo per tutto l’anno dove si trasformi il pomodoro in salsa ma anche altre conserve per lavorare in tutte le stagioni con prodotti diversi.

In cosa la cucina sovversiva è proprio “anarchica”?

Ci piace l’idea di una rivoluzione integrale, senza compromessi, da costruire giorno dopo giorno su due binari: uno individuale che riguarda le scelte dei singoli, ed uno collettivo che riguarda gli sforzi che facciamo tutti assieme, i progetti che portiamo avanti collettivamente per liberarci dall’oppressione del capitale e dello stato. Il cibo ed il consumo son un aspetto fondamentale della rivoluzione perché una parte consistente del capitalismo da abbattere specula sulla produzione di cibo con la complicità delle istituzioni. Dobbiamo costruire strutture autogestionarie che ci aiutino a fare a meno sia del capitalismo sia dello stato. Noi attorno alla fermentazione dei legumi e ad altri temi cari a Cucina Sovversiva, vogliamo creare una comunità capace di interagire virtualmente sul forum ma anche di costruire relazioni reali sane, orizzontali, di scambio e mutuo appoggio. Il forum di Cucina Sovversiva può diventare uno strumento di comunicazione rapida legato alla imminente raccolta e distribuzione di prodotti della terra, di segnalazioni di eventi, di iniziative solidali, di scambio di manodopera ecc. Cucina Sovversiva favorirà relazioni reali organizzando eventi legati alla cultura del cibo, momenti di formazione e scambio di saperi, contest di cucina per promuovere le autoproduzioni e i mercatini delle autoproduzioni.

Invitiamo tutt*, nutrendo interesse e curiosità per i contenuti, a visitare il sito www.cucinasovversiva.it, interagendo nel forum e partecipando ai progetti !

A cura di Monica Jornet

Gruppo Errico Malatesta – FAI – Napoli

Groupe Gaston Couté de la Fédération Anarchiste

[1] http://www.cucinasovversiva.it/mappa-delle-autoproduzioni/

Questo articolo è stato pubblicato qui

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