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Cristiano Ronaldo già al servizio dello sportwashing saudita

“Avevo molte possibilità, tanti club hanno cercato di mettermi sotto contratto ma io ho dato la mia parola a questa squadra per far crescere non solo il calcio ma anche altri aspetti di questo meraviglioso paese. Voglio dare una visione diversa di questa squadra e di questo paese. Ecco perché ho colto questa opportunità”.

Sono alcune delle parole pronunciate da Cristiano Ronaldo appena arrivato a Riad, la capitale dell’Arabia Saudita, dopo aver firmato un contratto di oltre 200 milioni di euro con l’al-Nassr Football Club.

Il calciatore portoghese, secondo per popolarità solo a Messi sebbene in fase declinante della carriera sportiva, ha spiegato bene il senso di questa gigantesca operazione: non solo sportiva, non solo economica ma anche e soprattutto politica.

C’è da scommettere che la “visione diversa” del “meraviglioso paese” sarà funzionale allo sportwashing, la politica di pubbliche relazioni praticata dall’Arabia Saudita e da altri stati del Golfo per promuovere, attraverso lo sport e il calcio in particolare, la propria immagine e ripulirla da tutto ciò che potrebbe nuocere alla reputazione: nel caso dell’Arabia Saudita, la caccia ai dissidenti (anche all’estero, come nel caso di Jamal Khashoggi), la persecuzione dei difensori dei diritti umani e delle attiviste per i diritti delle donne, l’uso massiccio della pena di morte (circa 150 esecuzioni nel 2022) e l’operazione militare contro lo Yemen, iniziata nel 2015, che ha causato la più grave crisi umanitaria contemporanea.

 

 

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