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Coronavirus: si muore ‘con’ o ‘per’? Alcune chiavi di lettura a partire dai dati della Lombardia

 
Grazie ad un leak, abbiamo analizzato i dati sui decessi legati al coronavirus in Lombardia per capire quanto grave sia l’epidemia nella regione italiana maggiormente colpita.

Nelle ultime settimane, una discussione che sta tenendo banco su media e giornali è quella che riguarda la distinzione tra morti ‘per’ e morti ‘con’ coronavirus. Un’ottima sintesi della questione è stata fornita da Il Post in questo articolo. Il tema, tragico, presenta chiari elementi clinici (in particolare l’importanza del numero di patologie pregresse) sui quali noi di YouTrend non possiamo e non intendiamo intervenire – non essendo medici – ma anche elementi statistici. I numeri sono una chiave possibile per aiutarci a capire quanto questa epidemia sia grave e quali siano i rischi nel non riuscire contenerla, cosa purtroppo già tragicamente successa in alcune zone d’Italia.

Abbiamo quindi iniziato a lavorare sui dati relativi al coronavirus, concentrandoci in particolare su una regione, la Lombardia. La scelta di concentrarsi sul caso lombardo è, purtroppo, facilmente spiegabile: si tratta della regione italiana più duramente colpita dall’epidemia, come testimonia il drammatico numero di decessi, 4.178 al 24 marzo, che supera non solo quello registrato nel resto d’Italia (2.301) ma anche in tutta la Cina (3.277).

Il caso lombardo

All’inizio della nostra ricerca abbiamo tentato di analizzare l’eccesso/difetto di mortalità. Di cosa si tratta? È la differenza tra quante persone vengono a mancare in un certo periodo di tempo e quanti deceduti erano invece attesi in condizioni “normali”. Per fare ciò esistono diversi modelli: si possono, per esempio, confrontare due territori simili e notare se l’andamento della mortalità nei due è cambiata, oppure – come nel nostro caso – osservare quanti siano i decessi registrati in due periodi simili nello stesso territorio.

L’obiettivo iniziale era quindi quello di paragonare la mortalità in Lombardia nel marzo 2020 con quella dello stesso periodo dell’anno precedente, marzo 2019. La differenza ci avrebbe dato un’indicazione (parziale, ovviamente) dell’impatto dell’epidemia di COVID-19. Purtroppo, il dato complessivo dei decessi non è ancora disponibile; in altre parole, non sappiamo quante persone siano morte in Lombardia negli ultimi mesi, in totale. Questo semplicemente perché il bilancio demografico ISTAT – principale fonte di dati per questo tipo analisi – non è aggiornato ‘immediatamente’, ma richiede un periodo di almeno 3 mesi (se non di più) per essere pubblicato.

Non soddisfatti, abbiamo dunque deciso di concentrarci sul cosiddetto ‘second best‘ (la seconda miglior soluzione), ovvero il confronto tra il numero di decessi dei pazienti risultati positivi al COVID-19 con la mortalità totale del 2019. Stiamo, insomma, forzando un po’ l’analisi, confrontando la parte (i morti positivi al COVID-19 nel Marzo 2020) con il tutto (tutti i morti nel mese di Marzo 2019). Il parallelo, anche se parziale, offre comunque indicazioni nette: nel corso dell’ultima settimana (quella compresa tra il 16 e il 22 marzo 2020) sono deceduti 2.238 pazienti positivi. Nel mese di marzo del 2019, invece, sono morte in media 2.046 persone a settimana, tenendo in considerazione tutte le possibili cause di decesso.

Prima di passare oltre è il caso di soffermarsi per un attimo su questo dato, proprio perché parziale. In Lombardia, tra il 16 ed il 22 Marzo, non si è smesso di morire per tutte le altre cause; quei decessi, purtroppo, ci sono e andranno poi sommati. In alcuni casi di pazienti positivi deceduti (in particolare quelli con patologie pregresse) probabilmente si è trattato di decessi inevitabili. Ma è chiaro che focalizzarsi sul fatto che la grande maggioranza dei decessi presentasse patologie pregresse non basta a spiegare l’enormità di questo dato.

Nel marzo 2019, in Lombardia ci lasciavano, per tutte le possibili cause di morte, 2.046 persone ogni settimana su una popolazione di oltre 10 milioni di abitanti. Tra il 16 ed il 22 Marzo 2020, su un campione di poche decine di migliaia di lombardi, registriamo un numero di decessi più elevato. Anche se il numero dei contagi da coronavirus fosse sottostimato di circa 10 volte, come suggerisce il dottor Borrelli – capo della Protezione Civile – in una recente intervista, si tratterebbe di un numero chiaramente fuori scala rispetto alla mortalità normalmente registrata in Lombardia. Questo senza considerare i diversi reportage locali che segnalano la difficoltà a registrare tutti i decessi in certi territori, in particolare quello di Bergamo.

Confronto fra i decessi di pazienti positivi al COVID-19 nell’ultima settimana con i decessi medi settimanali a marzo 2019

In questo momento, come si nota dal grafico, la Lombardia è l’unica regione d’Italia in cui l’emergenza coronavirus è grave al punto da registrare, in una singola settimana, più decessi tra i positivi di quante persone fossero morte, in media, in una settimana di marzo 2019. Per questo motivo si sta sviluppando nel nostro paese una discussione sull’anomalia lombarda, con teorie spesso poco credibili e più o meno strampalate, tra cui quella sulla mutazione del virus o la bufala sul collegamento tra la diffusione dell’epidemia e l’installazione delle nuove reti 5G. La popolarità di quest’ultime è purtroppo in buona parte dovuta alla mancanza di dati più fini sull’epidemia di coronavirus, che aiutino a capire cosa stia effettivamente succedendo in Lombardia.

Grazie ad un ‘leak’ siamo entrati in possesso dei dati sui decessi di pazienti positivi al COVID-19 per provincia, con dettagli su età e patologie preesistenti. Emerge con chiarezza come il dato sui decessi non sia omogeneo su tutto il territorio lombardo. Trattandosi di un ‘leak’, e avendo a disposizione solo il numero dei decessi per provincia al 22 Marzo, non possiamo ricostruire l’evoluzione dei decessi su una singola settimana.

Per questo motivo modifichiamo il confronto: il riferimento sono questa volta i decessi registrati nell’intero mese di Marzo 2019, e non in media su sette giorni. Questo confronto ci sembra credibile: il primo decesso è stato registrato sul territorio lombardo il 22 Febbraio, esattamente un mese prima del nostro ultimo dato. Dal grafico sottostante si nota che l’anomalia lombarda è soprattutto legata a due province in cui decessi di pazienti positivi al Coronavirus dall’inizio dell’epidemia hanno superato i morti per tutte le cause nel marzo 2019: Bergamo e Lodi.

Confronto fra i decessi con COVID-19 al 22 marzo e i decessi totali nel marzo 2019 nelle province della Lombardia

A Bergamo si sono registrati 1.064 decessi con il coronavirus dall’inizio dell’epidemia, 178 in più di tutti quelli avvenuti nel marzo dell’anno precedente per qualsiasi causa. Stesso discorso in provincia di Lodi, dove ha avuto sede il primo focolaio italiano. Le due province che si avvicinano di più ai tragici numeri di Bergamo e Lodi sono quelle di Brescia e Cremona, anch’esse colpite duramente dal contagio e molto vicine al superamento dei decessi complessivi di marzo 2019.

In quasi tutte le altre zone della Lombardia (Milano, Pavia, Lecco, Monza, Como, Mantova, Varese e Sondrio) i decessi di pazienti positivi al coronavirus sono di gran lunga inferiori a quelli totali registrati un anno fa per tutte le cause possibili. Questi dati ci aiutano a capire che, così come il dato aggregato italiano è la somma di differenze situazioni a livello regionale, anche il dato lombardo, se preso come monolitico, è falsato. Le grosse divergenze tra le province lombarde emergono anche osservando il tasso grezzo di letalità, ovvero la percentuale di decessi sul totale dei casi positivi riportati il 22 Marzo 2020.

Tasso grezzo di letalità nelle province della Lombardia, in Italia e nel mondo

In effetti, nelle province di Bergamo e Lodi il tasso è superiore al 17%, un dato più alto di quello sino ad ora registrato nelle altre zone della Lombardia: circa il doppio del tasso grezzo di mortalità nella provincia di Milano e 10 punti sopra quello della provincia di Mantova, la provincia con il più basso tasso grezzo di letalità in Lombardia. Il confronto è impietoso anche con la media italiana, già molto elevata ma ‘ferma’ al 9,3% il 22 Marzo, o con il tasso registrato a livello mondiale: “solamente” del 4,4%.

Cosa può spiegare un tasso di letalità talmente elevato? Perché il virus sembra uccidere così tanto a Bergamo, mentre è più ‘clemente’, benché sempre letale, nel mantovano? Ancora una volta va cercata una risposta, o almeno un indizio, nei numeri. Grazie ai dati ottenuti, abbiamo potuto osservare alcune possibili spiegazioni.

Età media ed età minima dei deceduti positivi al COVID-19 nelle province della Lombardia

Una delle prime è l’età: nel bergamasco e nel lodigiano, forse per mera sfortuna – fattore esistente anche nel caso di un’epidemia – sono stati contagiati molti più anziani che nelle altre province. Purtroppo, il documento in nostro possesso non riporta l’età dei pazienti postivi, ma solo quella dei decessi, e questo riduce la portata dell’analisi. Tuttavia, almeno come indizio preliminare, il dato sull’età sembra funzionare solo parzialmente: l’età media dei pazienti positivi al COVID-19 deceduti a Bergamo (77,4 anni) e Lodi (78,2 anni) non è diversa da quella osservata nelle altre province lombarde. Anzi, è leggermente inferiore all’età media decessi COVID-19 riscontrata dall’Istituto Superiore di Sanità a livello nazionale (78,5 anni).

A tal proposito, a costo di fare una piccola digressione, ci sentiamo in dovere di chiarire un elemento, spesso frainteso nel dibattito attuale: il fatto che i decessi positivi al COVID-19 abbiano un’età media molto vicina all’aspettativa di vita in Italia (80,9 anni per gli uomini, che rappresentano la grande maggioranza dei decessi) non significa, ancora una volta, che queste persone fossero destinate a morire a breve. L’aspettativa di vita è infatti calcolata alla nascita: man mano che un individuo invecchia può superare una serie di eventi (per esempio incidenti traumatici sul lavoro) che possono interrompere una vita in maniera anticipata.

Il confronto è quindi falsato: chi arriva a 75 anni non ha, in media, davanti a sé meno di 6 anni di vita. Secondo i dati diffusi dall’Istat, ne ha circa il doppio: 11,8 anni. Nel caso di Bergamo e Lodi il dato è solo leggermente più basso: l’aspettativa di vita di un settantacinquenne, secondo l’Istat, è rispettivamente 11,7 e 11,1 anni. La descrizione dei deceduti per COVID-19 come “destinati ad andarsene a breve a causa dell’età”, oltre ad essere moralmente discutibile (si tratta di persone, nonni e nonne, zie e zii anziani, che tutti abbiamo intorno a noi) sembra anche poco corretta a livello prettamente numerico: anche se già anziani, a 75 anni si ha, in media, ancora più di un decennio di vita davanti a sé (e poco meno di un decennio a 78 anni).

L’altra spiegazione che abbiamo provato ad avanzare riguarda una differente distribuzione delle patologie pregresse: possibile che a Bergamo e Lodi il virus abbia colpito con più forza tra i pluri-patologici? Ancora una volta, il dato incompleto non ci permette di escludere questa ipotesi. Quello che registriamo è che tra i deceduti il dato sulle patologie pregresse non varia molto tra Bergamo, Lodi ed altre parti della regione. Anzi, rispettivamente il 12% e il 15% dei pazienti positivi deceduti nella provincia di Bergamo e Lodi non ne presentava alcuna, dato che rende Lodi la terza provincia lombarda per incidenza di decessi COVID-19 senza patologie pregresse registrate.

Patologie pregresse nei pazienti positivi al COVID-19 deceduti in Lombardia

Anche in questo caso, come per quanto riguarda l’età, ci permettiamo un piccolo inciso per chiarire un punto spesso frainteso: le patologie pregresse rappresentano un fattore di rischio, ma i decessi COVID-19 sin qui registrati in Italia non si distinguono in maniera particolare dalla popolazione italiana in quella fascia d’età. Come spiega il ricercatore ISPI Matteo Villa in questo thread su Twitter, i pazienti positivi deceduti presentavano una media di 1,5 patologie pregresse. Data l’età media, un dato in linea con quanto ci si potrebbe attendere: in media, i trentenni deceduti avrebbero lo 0,25% patologie pregresse, ma al crescere dell’età quest’ultime salgono fino a stabilizzarsi sull’1,5% dei settantenni, in linea con quanto registrato a livello nazionale dall’Istituto Superiore di Sanità per quanto riguarda i decessi legati al COVID-19. In altre parole, in quanto a patologie pregresse, gli anziani sin qui deceduti non sembrano essere diversi dagli anziani che abitano il nostro paese: non si trattava di una fascia di over-75 particolarmente debole o a rischio, ma di normali nonni e nonne.

Cosa può spiegare allora una letalità così elevata a Bergamo e Lodi? Da un lato, c’è il tema di quanti contagiati siano sfuggiti ai test: se in realtà i positivi sono di più, allora il tasso di letalità scende ed i morti rispetto ai contagiati non sono più il 17%. Questa, però, è solo una parte della spiegazione, che ignora un altro elemento fondamentale: l’altissimo numero di decessi registrati in queste due province. Per l’appunto, nel mese che ci separa dall’inizio dell’epidemia, il numero di decessi tra i soli positivi al coronavirus è superiore alla mortalità totale nel Marzo 2019.

Se i dati sui contagi dovessero confermare una sostanziale parità nella distribuzione dell’età e delle patologie tra i contagiati nelle province milanesi, come già emerge tra i decessi, allora la spiegazione per quanto riguarda i numeri di Bergamo e Lodi sarebbe da ricercarsi altrove. Probabilmente nella capacità che il virus mostra nel mettere in crisi i sistemi sanitari locali. Ogni sistema sanitario locale avrebbe quindi un numero di contagiati tutto sommato limitato rispetto alla popolazione, gestibile prima di perdere il controllo ed iniziare a vedere un forte incremento nel numero di morti. Non si tratta di un tema di poco conto, perché proprio su questo si giocherà, a breve, il discorso sul riaprire quando e come il paese.

L’importanza dei numeri

Per fare in modo che il mondo giornalistico e scientifico, ma anche più genericamente la cittadinanza, partecipino attivamente a questo dibattito abbiamo però bisogno di prendere in considerazione i dati. È stato possibile scrivere questo articolo grazie ad una fonte, ma in Italia vi sono senza dubbio centinaia di persone competenti, che pur non scrivendo su YouTrend, avrebbero meritato di ricevere queste informazioni al fine di ricavare indicazioni possibilmente ancor più rilevanti di quelle che noi siamo riusciti a sviluppare.

Non fraintendeteci. È comprensibile che nel bel mezzo del grande lavoro che tutti gli enti impegnati stanno svolgendo per risolvere l’emergenza coronavirus ci si sia un po’ dimenticati del tema dei dati. Tuttavia, più il tempo passa, più la trasparenza diventa importante non solo per comprendere cosa sia successo a Bergamo e Lodi, ma anche per capire come evitare che tutto questo si ripeta nel giorno in cui il paese riaprirà.

Grafici a cura di Giovanni Forti.

 
Questo articolo è stato pubblicato qui

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