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Corea: Kim dopo Kim

Corea: Kim dopo Kim

La situazione internazionale della Corea del Nord non è rosea, ma se possibile quella interna è ancora peggiore. Lo stato d’allerta generale nel paese, scattato a seguito dell’affondamento ancora abbastanza misterioso di una nave sud-coreana, è decisamente funzionale alla gestione di una situazione interna nuovamente ai minimi. E in Corea del Nord i minimi sono storicamente molto bassi. Il Caro Leader figlio del precedente Caro Leader ha un’idea stereotipata della gestione del potere ereditata dall’augusto genitore. Presunta per legge la sua infallibilità, è per forza colpa di altri quando le cose vanno male e quando vanno malissimo le colpe chiamano punizioni esemplari.

 

Kim Jong-il ha mano ferma e fin dalla presa del potere alla morte del padre ha dato segno di saper gestire con sicurezza l’arte della purga, se i nordcoreani avevano sperato in cambiamenti alla morte del dittatore, capirono subito di essere caduti dalla padella nella brace. L’esordio subito in salita: durante la grande fame del 95-98 Kim si liberò del segretario all’agricoltura, e di oltre duemila dirigenti del partito, uccisi insieme alle loro famiglie com’è uso locale, tutti accusati di essere stati spie degli americani negli anni ’50, poi fece uccidere anche gli incaricati della purga perché avevano “ indebolito la fiducia del popolo nel partito operando per interesse egoistico e sete di potere”.

L’esercizio ricorrente di iniziative del genere genera paura, ma soprattutto impedisce la formazione di una classe dirigente di gruppi di potere o narrazioni alternative alla dittatura, che già di suo entra pesantemente nell’intimità dei cittadini, tutti considerati sacrificabili per il bene della nazione, che coincide con quello del leader.

Così, a questo giro è toccata al direttore del dipartimento delle finanze e della pianificazione Pak Nam-gi e al suo assistente, che sono stati legati a un palo e fucilati di fronte a una folla di persone che dovevano essere educate da quelle esecuzioni. Il fatto che i due fossero semi-incoscienti per le torture ha aggiunto ulteriore realismo alla minaccia, ritrovarsi tra i “traditori del popolo” è una disgrazia e le centinaia di funzionari licenziati nell’occasione avranno i sudori freddi. Servono colpevoli per la fallimentare operazione di svalutazione dello Won coreano, che ha azzerato i risparmi dei pochi coreani che ne hanno e che, insieme alla scarsità di cibo, ha proiettato i prezzi dei pochi bene disponibili verso l’alto.

La crisi in Corea significa estese mancanze di cibo, il clima e l’impossibilità di acquistare fertilizzanti hanno abbattuto i raccolti e il paese corre alle armi con la pancia vuota, coerentemente con la mobilitazione molti coreani mangiano razioni militari, mentre le élite del partito sono impegnate a sopravvivere alle epurazioni più o meno casuali che ogni tanto si abbattono sulla burocrazia che regge ogni filo della vita del paese. Ogni ondeggiamento nel partito viene vissuto dalla leadership tipicamente paranoica come una minaccia e chiaramente Kim Jong-il non è tipo da esitare, anche perché ha un unico obbiettivo noto e riconoscibile in mezzo ad un’azione di governo che si è segnalata solo per l’incompetenza e la ferocia.

Kim Jong-Eun, è il terzo Kim che si affaccia nella storia nordcoreana, è figlio e nipote di Kim e sembra proprio che il babbo abbia intenzione di curare personalmente la successione liberando da ogni ostacolo l’ascesa del figliolo. Un pensiero gentile sollecitato dall’esperienza: mentre suo padre era ancora al potere toccò a lui stesso fare una strage di ufficiali educati in Unione Sovietica che criticavano il sistema e potevano costituire una minaccia al suo avvento al potere. Kim Jong-il è stato spesso dipinto come un cialtrone dalle scarse capacità, ma nessuno può negare che sia capace di quelle sanguinose purghe che servono ad alimentare e difendere il regime dittatoriale.

Se in Corea del Nord c’è da attendersi un bagno di sangue a breve, non è scontato che il regime riesca a mantenere la presa sul paese. Piegati da una dittatura che dura dagli anni ’50 e probabilmente timorosi dell’avanzare di Kim III e degli ultimi fuochi di suo padre, i nordcoreani sanno oggi meglio di ieri cosa c’è oltre la frontiera e potrebbero cogliere l’occasione per dire no alla maledizione dei Kim. Il clima di mobilitazione generale potrebbe alla lunga rivelarsi ingestibile e aprire la strada ad un’implosione del partito: un esito comunque impossibile fino a che l’autorità assoluta dei Kim non sarà contestata visibilmente e con successo dall’interno.

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