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 Home page > Tribuna Libera > Considerazioni sul 17 Marzo. A fari spenti

Considerazioni sul 17 Marzo. A fari spenti

Ora che si sono spenti i riflettori su questo giorno di festa e tutto quello che è accaduto in questo giorno “storico“ mi lascio andare a qualche riflessione personale.

Ho letto in questi giorni, per altro turbati da eventi drammatici accaduti al di fuori del confine nazionale che hanno finito per distrarre, doverosamente, l'opinione pubblica dall'eccezionalità di questo evento, tutto e il contrario di tutto: opinioni favorevoli, opinioni contrarie, critiche e distinguo, adesioni incondizionate ed adesioni condizionate, in un marasma generale che solo l'altissimo intervento del Presidente della Repubblica ha saputo nobilitare. 

Tutto questo mi è sembrato la consacrazione di una realtà incontrastabile: l'Unità d'Italia è una realtà ben lontana dall'essere realizzata, nonostante sia una necessità imprescendibile, per effetto di contrapposizioni che nascono da fatti storici che non possono giustificare tanta stolta e diffusa miopia e diffidenza.

Del resto, uscendo fuori dalla retorica della politica, è effettivamente impossibile che 150 anni di storia vissuta in comune, possa fare di un popolo diviso da millenni, un'unità capace di riconoscersi senza ombra di dubbi. Nessun paese al mondo è riuscito mai a realizzare questo altissimo risultato in così poco tempo e tutte le unità nazionali, in tutti i paesi del mondo, si è potuto realizzare senza guerre di anni, scontri fratricidi, massacri e violenze inaudite e soprattutto nessuna unione è stata realizzata al di fuori del prevalere di una delle forze in campo sulle altre.

La storia ci insegna che ben raramente una nazione o uno stato è nato come atto di volontà di un popolo, compatto e unito dallo stesso ideale, ma sempre è accaduto che sia nato per la volontà di una parte di sopraffare un altra

L'Unità di una nazione, quindi, è il risultato di processi lunghi, spesso violenti e intrisi di sangue, che hanno una lunghissima preparazione antecedente, una azione violenta (più o meno lunga) come atto di ufficializzazione, e una spesso ancor più lunga fase di consolidazione (sempre piena di turbamenti e contraddizioni) che dipende anche dalle personalità che quel nascente aggregato di uomini ed interessi riesce a mettere in campo in quel periodo storico e soprattutto non può mai considerarsi pienamente conclusa giacché molteplici eventi ne cambiano eternamente la fisionomia.

Anche il nostro paese ha seguito e sta seguendo ancora questo iter, è come un ferro, il risorgimento lo ha portato a fondersi in un unico blocco, 150 anni di storia ha iniziato a modellarlo per dargli una certa forma e il tempo che verrà dovrà completare la sua modellazione in un qualcosa di definitivo.

Ed è ora che l'abilità dei forgiatori (cioè di tutti noi italiani) si renderà manifesta, ora questa materia ancora bollente ed appena abbozzata potrà assumere una forma soddisfacente oppure rivelarsi un tentativo velleitario. Ora si stanno dando le martellate definitive per quello che saremo nel prossimo futuro ed è ora che viene fuori la qualità del nostro popolo. 

E sapremo se riusciremo ad essere mai quello che i nostri padri hanno sognato che si diventasse. O un occasione sprecata destinata ad essere gettata tra i rifiuti da rottamare.

Per questo non si può non guardarsi intorno senza preoccuparsi per quello che verrà, leggere le cronache di questi giorni e scoprire una babele di linguaggi parlati non tanto dal popolo italiano, quanto da coloro che dovrebbero guidarlo e che invece sembrano interessati a seguire esclusivamente i propri, personali interessi. 

In questi 150 anni sono stati pochi i momenti in cui il nostro popolo si è ritrovato unito: nelle trincee del Carso, sotto il fuoco degli Austro-ungarici, quando persone di culture diverse, di lingue diverse, si sono ritrovate tutte insieme a combattere contro un nemico comune e sotto una comune bandiera, nelle fabbriche del dopoguerra quando l'industrializzazione ha riunito centinaia di uomini che un economia prevalentemente agricola aveva fino ad allora tenuto separate, insegnando loro parole nuove, sconosciute quanto affascinanti come solidarietà di classe e lotta per i propri diritti, sulle montagne contro l'invasione della follia Nazi-fascista, nelle piazze a festeggiare la liberazione e la nascita della Repubblica e di quella Costituzione che rendeva il popolo, per la prima volta, padrone,per la quale centinaia di giovani erano morti (e che ora vorrebbero travolgere per trasformarla in un vuoto ed effimero pronunciamento di valori resi solamente virtuali). 



Poi la televisione dei primi anni, quei cassettoni che trasmettevano in bianco e nero che si potevano trovare solo nei Bar e nelle case dei (pochi) ricchi del dopoguerra, ha contribuito a dare cultura ad un popolo di analfabeti, ha creato miti nazionali, ha fatto sognare tutti allo stesso modo, facendo si che questi sogni comuni fossero il collante che rendeva un popolo finalmente accomunato da qualcosa, non ancora unito, ma sulla strada per diventarlo. 

Poi questo incantesimo si è rotto, il benessere (a volte reale, più spesso fittizio) è entrato nelle case, ha creato i primi distinguo, i primi rancori, le rime gelosie e paure degli uni verso gli altri, sempre più desiderio di avere quello che gli altri non avevano, di sopraffare gli altri per distinguersi da loro.

E in quel momento il popolo si è di nuovo diviso, è ritornato ad essere una comunità di individui e ha cessato di essere una collettività.

La lenta maturazione di una entità comune che facesse dell'Italia un unico Stato, si è fermata.

E in questa involuzione, rapaci predatori si sono gettati in picchiata sul singolo individuo lasciato in disparte, hanno iniziato a vendere sogni che erano solo un sonnifero per la loro mente, parlando in generale ma pensando sempre e solamente al singolo, avvelenando il terreno dove affondavano le sue fragili ed ancora incerte radici affinché queste non potessero crescere, svilupparsi ed avvilupparsi alle radici degli altri, tanto da rendere ogni singola pianta inestirpabile dal terreno comune.

E lo hanno fatto avvelenando per prima cosa la cultura attraverso l'occupazione del suo principale mezzo di comunicazione; la televisione. Da strumento si acculturazione di massa, essa è diventata strumento di distrazione, di omologazione di massa e di propaganda commerciale che ha portato la stragrande maggioranza degli italiani a non avere più idee proprie, manipolata da scialbe ideologie che li rende miopi a quanto non sia spacciato loro come “personale" interesse. 

E così l'ascesa delle televisioni “commerciali" con la loro radicale filosofia anti-culturale, con il loro propinarci quotidianamente prodotti che non hanno nulla a che fare con la cultura e la storia Italiana (quanto tempo è che la televisione non propone o ripropone quelle trasmissioni e quei film che hanno mirabilmente raccontato il come eravamo e quali sono le nostre comuni radici) ha trasformato tanti (ma non tutti) in incoerenti e bugiardi arrivisti che inseguono modelli solo in apparenza appaganti ma che non portano da nessuna parte ed oltre tutto alimentano un isteria generale che finisce per disperdere le energie di un popolo, ancora giovane, portandolo ad osservare quasi inerme al suo disfacimento. 

Per concludere. E' necessario quindi che il fenomeno della creazione di una nazione unita, con un popolo coeso pur in quelle diversità che sono ricchezza (e che tanto odio generano nei signori del "commerciale"), riprenda al più presto se non vogliamo un futuro pieno di ombre per noi stessi e per le generazioni che seguiranno.

Ma questa può partire solamente da un intervento che limiti lo strapotere culturale della televisione con un ritorno alla riscoperta dello spirito di quelle pagine gloriose che hanno segnato, del dopoguerra, l'emancipazione dall'ignoranza: dobbiamo tornare a pretendere una istruzione “pubblica" per tutti, altamente formativa, non solo sul piano tecnico ma anche etico e civile, che sappia finalmente fare i conti con il nostro passato. Ed esso deve essere ripulito da quelle scorie che ci trasciniamo dietro da più di mezzo secolo, che troppo spesso diventano assurde scuse per giustificare le nostre divisioni egoistiche. Andare a disseppellire fatti storici che, pur rilevanti per l'epoca in cui si sono compiuti, ora non hanno più alcuna ragione di riemergere alla memoria, è solamente autolesionismo che ci impedisce di prendere il meglio che ci ha dato la nostra storia di ieri e trapiantarlo nell'oggi in vista di un domani che ci può vedere vincenti solo se avremo saputo creare una società finalmente moderna, memore del suo passato e consapevole dei suoi errori e per questo sufficientemente matura per poter tenere il passo con le sfide che ci metterà di fronte il futuro.

La nostra unica possibile salvezza consiste nel sovvertire questa sorte di destino sociale che ci vede perennemente rivolti al passato, a quel tempo che ha visto prosperare il nostro innato autolesionismo che ci ha sempre costretto (salvo i rari momenti sopra mensionati sopra) ad accettare, a capo chino, attenti a non prendere posizioni compromettenti, ciò che altri decidevano per noi, sciocca remissività, forse codardia, che nasceva proprio dal non poter o voler comprendere che la sola rivoluzione possibile, al mondo d'oggi, è quella culturale di un popolo che sa riconoscere in una patria comune quel punto fermo di fronte al quale ogni altra cosa perde valore.

Dobbiamo diventare noi l'Italia che vogliamo e per far questo dobbiamo tutti insieme sforzarci di superare noi stessi e fonderci in una sola entità in cui le diversità e le contrapposizioni non siano motivo di divisione, ma, al contrario, motivo di reciproco arricchimento.

Commenti all'articolo

  • Di vittorio Cucinelli (---.---.---.8) 23 marzo 2011 18:07

    Un altro momento unificante per gli italiani è quando la nazionale vince il mondiale (che è il momento più alto e nobile del sentimento nazional popolare). Scherzi a parte...Sarei portato a dire: "si mi sento italiano, solo se c’è la copertura finanziaria"...un eterno contratto a tempo che gli italiani sottoscrissero quando furono esclusi dalle decisioni che contano. Mi stupisco ( e mi rassegno) come un dettagliuccio di "poco conto" possa sfuggire alle menti dei "postivisti cosmici" in fregole di commemorazioni. Una bugia grande come una montagna su fatta passare nella rassegnazione collettiva; "l’Italia la volle il popolo italiano" ...BALLE ...l’italia la volle solo una elite di "interessati", Banchieri, Uomini di economia, massoni e avventurieri, il popolo fu escluso da ogni scelta, Garibaldi divenne deputato del regno con appena 20 voti. Il popolo non andò a votare, non era previsto dalla legge di allora,rimase a casa in muta rassegnazione, anzi non tutti, moltissimi avevano già in tasca il biglietto di sola andata per le Americhe...

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