Concessioni balneari: la generosa resistenza dei filantropi
Dietro gli "aridi numeri" (cit.), la realtà: una parte fondamentale del nostro generoso Terzo Settore opera sulle spiagge, e resiste strenuamente per continuare a fare del bene dietro semplice rimborso spese.
Sul Sole di domenica 11 agosto, un meritorio articolo di Marco Alfieri risulta molto utile per dare un po’ di numeri su questo fenomeno italiano di concessionari demaniali che praticamente fanno volontariato, trovandosi in condizioni di redditività infima e spesso solo simbolica. Proprio per questo tenace attaccamento alla loro funzione sociale, i nostri concessionari rifiutano risolutamente di sottoporsi a gare per ottenere il rinnovo della concessione.
Redditività o rimborsi spese?
I numeri, si diceva: queste opinioni espresse con segni incomprensibili. Eccoli:
I dati elaborati in esclusiva da InfoCamere sui bilanci depositati di 1.528 imprese balneari costituite nella forma giuridica più solida (società di capitali) fotografano una realtà in cui, in media, nel 2022, il valore della produzione ammonta a 405.762 euro, i costi di produzione a 381.005 euro, l’utile ante imposte a 20.093 euro e l’utile netto a 10.126 euro. Se invece allarghiamo lo sguardo a tutte le 7.244 imprese balneari censite da Unioncamere, non solo le 2.270 società di capitali che depositano i bilanci, la media nazionale dell’utile ante imposte nel 2022 è un po’ più alta: 26.035 euro.
Quindi, vediamo: l’utile, cioè la differenza tra ricavi e costi, per i concessionari costituiti in forma di società di capitali, nel 2022 è stato di circa 800 euro al mese. Per tutti i concessionari, inclusa la netta maggioranza costituita in forma di società di persone, siamo a poco meno di 2.200 euro mensili.
Negli ultimi cinque anni, le spese sono aumentate del 40,2 per cento e l’utile ante imposte è pari ad un risibile 4,9 per cento del giro d’affari, cioè dei ricavi dichiarati. Si coglie immediatamente quanto sostengo: non può trattarsi di attività economica bensì sociale, con una marginalità che di fatto rappresenta un rimborso spese. Eppure, malgrado questa redditività simbolica, che tiene i concessionari sul filo del dissesto e dell’apprensione, da sempre il desiderio di fare volontariato prevale sull’avidità economica: dal 2011 gli stabilimenti balneari sono aumentati del 26 per cento.
Sappiamo che l’Italia ha una fulgida e nobile tradizione di Terzo Settore, e quanto accade nelle nostre spiagge conferma che i concessionari balneari sono a pieno titolo parte di questa forma di volontariato. Ma occorre fare attenzione, perché questo delicato equilibrio potrebbe spezzarsi con ubbie come la messa a gara delle concessioni, e in quel caso dovrebbe essere poi lo Stato a prendersi cura di questa missione sociale, con un evidente aggravio a carico della collettività. Pensiamoci bene.
Anche per questo motivo, i canoni demaniali sono rimasti pressoché invariati dal 1980 al 2020. Poi è arrivato il governo Draghi e ha iniziato a mettere a rischio questo delicato ecosistema filantropico, portando il minimo da 360 a 2.500 euro. Nel 2023, dopo una serie di aggiornamenti Istat, il minimo è salito a 3.377 euro mentre nel 2024, con la frenata dell’inflazione, è calato a 3.225,5 euro.
E poi ci sono i costi, sempre più onerosi, per tenere in piedi queste onlus, come ricorda l’articolo del Sole:
Imu, Tari, imposte sul reddito, spese per il personale, manutenzione dell’arenile e poi, ovviamente, il canone in base ai metri quadrati in concessione e il tipo di struttura (area scoperta, area con impianti di facile o difficile rimozione).
Un costoso volontariato
Fare volontariato costa, sempre di più. Anche per questo, lo Stato concedente ha sin qui tenuto bassi i canoni, che incidono molto poco sul volume di ricavi ufficiali. Si cita il caso di Rimini, dove le 410 concessioni cittadine versano (quando riescono) all’erario 3.192.957 euro a fronte di centinaia di milioni di euro di fatturato. Si, ma che c’entra, vorrete mica tassare il fatturato, no?
Ulteriore elemento che spiega l’insopprimibile pulsione al volontariato, si rinviene nei valori medi di compravendita delle concessioni:
[…] 6-700mila euro per un bagno standard in Liguria e Romagna e qualche milione per quelli di lusso in Versilia, Positano o Taormina.
Purtroppo, l’incertezza sul quadro normativo delle concessioni ha causato una gelata anche in questi slanci di generosità, limitandoli a quei pochi casi di imprese di tipo capitalistico, che magari hanno nel proprio azionariato cantanti lirici pop o eredi di capitani d’industria. Per loro è più difficile parlare di volontariato, in effetti, ma potremmo sbagliarci.
Sfortunatamente, la natura umana è ambivalente: produce grandi slanci ideali ma anche invidia sociale e cultura del sospetto. Neppure le concessioni balneari, col loro ruolo sociale, sono esentate da questa corrosiva invidia, essendo colpite da reiterati sospetti di evasione fiscale, di cui l’articolo di Alfieri rende puntualmente conto, con le confessioni di un ex volontario del settore:
«La verità è che i redditi dichiarati non riflettono l’intero guadagno reale», ammette un ex imprenditore balneare, per trent’anni nel settore. Una parte continua ad essere generata in nero. Esempi?
«Il noleggio di pedalò, tavole e Sup, il rapporto con i fornitori (gelati, bibite, materie prime per la ristorazione), gli abbonamenti stagionali rinnovati di anno in anno e pagati cash, o parzialmente cash, i conti al bar e al ristorante saldati settimanalmente o a fine vacanza emettendo scontrini per una parte minima del consumato, oppure il doppio prezzo per chi paga in contanti e chi con la moneta elettronica».
In altri casi vengono elusi oneri tipo il pagamento degli stagionali, non contrattualizzati o contrattualizzati per meno ore rispetto all’effettivo monte-lavoro giornaliero.
Ma la crisi morde, e molto, per i motivi detti sopra: quando si opera in condizioni di marginalità pressoché simbolica, basta il colpo d’ali di una farfalla per mandare in crisi questi generosi volontari, ingiustamente accusati, e scuffiare i pedalò:
Lo stesso canone demaniale, pur irrisorio, nel 2023 ha registrato un tasso di evasione pari al 18,4%: su 95,3 milioni richiesti, l’incasso effettivo è stato di 77,8.
Quindi, mettiamoci una mano sulla coscienza: i concessionari demaniali balneari sono parte integrante del Terzo Settore, e le forze del Male capitalistico stanno cercando con ogni mezzo di strapparli alla loro generosa azione. Anche per questo, bene fa il governo Meloni a opporsi con ogni mezzo: resistere, resistere, resistere.
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