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Con la bomba P3 la volontà di un cambio di guardia, con quale garanzia?

Era l’otto luglio quando la bomba politica esplodeva, una mano invisibile ne vibrava il lancio; l’eolico in Sardegna e il comitato d’affari controllato da Flavio Carboni, coinvolti il coordinatore del Pdl e presidente del Credito cooperativo fiorentino, Denis Verdini, il presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci, il suo assessore Gabriele Assunis, il geometra “prestato” alla magistratura Pasquale Lombardi. Niente di non già visto, niente di tanto scandaloso, infatti l’opinione pubblica non si lascia scuotere. Affari di politica, diranno alcuni, scaramucce interne, diranno altri; tutti convinti che non riguardi la Nazione, tanto meno valga la loro attenzione. Violata la legge Anselmi, quella che proibisce la costituzione di lobby segrete, si aggiungono corruzione e associazione per delinquere, riciclaggio e abuso di ufficio. Solo 10 indagati, quando è impossibile non pensare siano coinvolte cda di imprese, aziende, banche, organi di partito. Stessa strategia; si tessono le tele, si preparano archivi segreti da usare a tempo debito, si innescano bombe quando, tirata troppo la corda, occorre mettere a tacere lo scandalo consegnando pochi martiri all’altare della giustizia. Contenti così. L’asse da consegnare in pasto alla stampa e ai media è tracciato: Verdini – Carboni. Il primo presidente della banca credito cooperativo fiorentino, nonché coordinatore PDL, l’altro faccendiere coinvolto nei più gravi scandali e misteri legati alla prima e seconda Repubblica.

La controparte non si lascia trovare impreparata ed esce un secondo, più velenoso, dossier; alti magistrati risulterebbero comprati, si parla del CSM? È il Consiglio Supremo della Magistratura ad aver interferito con il lodo Alfano? Con le nomine dei magistrati nei distretti giuridici di Italia? Con il dossier per infangare Caldoro? Per riammettere la lista di Formigoni alle regionali per la Lombardia? Chi altri avrebbe tanto e incontrollato potere se non il controllore di tutti i controllori?
Chi aveva chiesto di indagare su Verdini, di seguirlo, ascoltarlo? Una indagine parte quando qualcuno muove denuncia, questo è un dato che manca ma che possiamo ipotizzarlo, certamente l’innesco è interno. Incontri in casa di Verdini a Roma, colazioni alle quali partecipano Giacomo Caliendo, sottosegretario alla giustizia finito sul registro degli indagati e costretto alle dimissioni, Arcibaldo Miller, magistrato e capo degli ispettori del ministero della Giustizia. Antonio Martone, ex avvocato generale della Corte Suprema e aspirante procuratore generale. Il famigerato senatore Marcello dell’Utri. Vincenzo Carbone, oramai ex primo presidente della Cassazione, conversazioni nelle quali l’alto magistrato discute con Lombardi pure del suo futuro al momento della pensione. E il sospetto che il ricorso della Mondadori, per evitare il pagamento di 200 milioni di euro di tasse evase, sia stato trasferito ”ad arte” dalla sezione tributaria a quelle unite della Cassazione. I carabinieri scrivono sul fascicolo Caliendo: «vicino al gruppo» di Flavio Carboni, uno di quelli «che prendono parte alle riunioni nel corso delle quali vengono impostate le principali operazioni o che paiono fornire il proprio contributo alle attività d’interferenza». Lombardi viene definito da tutti i protagonisti della vicenda un millantatore. Caliendo in testa. Eppure è all’ex sottosegretario che il geometra finito in carcere dice al telefono: «Ormai guagliò ti è spianata la via per i’ a fà o’ ministro, o’ vuoi capiscere o no?». E sempre Lombardi, al telefono con Marra dice: «Poi ho parlato con Giacomino e.. stiamo operando». Interviene il Csm, con i trasferimenti per incompatibilità ambientale e l’Associazione nazionale magistrati. Il costruttore Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi si interessano per la riammissione della lista Pdl in Lombardia, dagli atti emerge che analoghe manovre sarebbero state messe in atto per correggere la decisione del Tribunale di Roma che escluse le liste nel Lazio. E i giudici del Riesame chiamati a pronunciarsi sulla scarcerazione di Carboni e Lombardi scrivono: «Pur in assenza di una qualunque competenza o incarico che minimamente la giustificasse, il gruppo ha portato avanti una metodica azione d’interferenza sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche, venendo incredibilmente accettato come interlocutore accreditato». Una questione morale prima che politica? No. La questione è tutta politica e ha a che fare, strettamente, con l’argomento riforme. Infatti soltanto riformando tutte le leggi che regolamentano le funzioni istituzionali è possibile prevenire la corruzione e l’uso improprio di importantissimi apparati istituzionali, quali il Csm ad esempio o come Bankitalia. Invece diventa solo questione morale e il governo trema. Ma come ti trasformo una banca cooperativa nel forziere personale del presidente e dei costruttori suoi amici? Dalla relazione ispettiva di Bankitalia al Credito cooperativo fiorentino emerge una banca stravolta, piegata agli interessi del ventennale leader Denis Verdini e agli affari dei suoi amici, tanto che "si è sostanzialmente azzerata la redditività, e si è assottigliata ai minimi l’eccedenza patrimoniale". Bankitalia avrebbe il dovere di passare al setaccio, ciclicamente, ogni banca e la politica ha il dovere di riformare le leggi che regolamentano i cda delle banche vietando, agli eletti, di farne parte o che almeno si inaspriscano le leggi giuridiche.

Spicca il supporto inossidabile al gruppo costruttore Fusi-Bartolomei (Btp spa) e ai suoi satelliti, cui l’istituto ha prestato il 60% del patrimonio di vigilanza. Un supporto che "per entità e modalità di concessione e gestione non è improntato a minimali criteri di prudenza, ed è contraddistinto da diffuse irregolarità". La relazione di via Nazionale si snoda attorno ai rapporti incestuosi tra Verdini e l’orbita del contractor Btp. E per i quali l’ex banchiere e coordinatore Pdl "risulta indagato in diverse sedi giudiziarie per ipotesi di corruzione e riciclaggio, in concorso con uno dei titolari della Fusi-Bartolomei, principale affidato della banca, a cui Verdini risulta legato da relazioni d’affari". Per altro, Btp naviga in cattive acque, da aprile è in un complesso progetto di ristrutturazione. E ha contagiato i creditori: nel 2009, ha stimato Bankitalia, le "partite anomale" di Ccf tra incagli, sofferenze e perdite stimate su crediti sono cresciute del 130%, e sfiorano il 30% dei 400 milioni impiegati. Quindi Bankitalia sapeva già nel 2009 ma come al solito, come storia insegna, non ha mosso dito. I numeri: Fusi-Bartolomei ha crediti per 28,6 milioni "ampiamente sopra i limiti normativi". Non vengono considerati, per valutarne il rischio, i suoi rapporti con altri affidati, "i cui finanziamenti sono stati usati per trasferire risorse a componenti del gruppo medesimo". Cinque società, partecipate da membri di Btp o dai coniugi Fusi: Alfieri srl con fidi per 12 milioni, Stif srl (5,7), Olympia (9), Cem costruzioni (1,5), Cassis srl (4). Tutte finanziate da Ccf tra 2007 e 2008 "per sottoscrivere preliminari acquisto di immobili da Fusi, o entità del suo gruppo, senza procedere alla definitiva compravendita". Una pratica, questa delle vendite fasulle, che ricorre spesso - anche da parte della Parved, società dello stesso Verdini - come un gioco delle tre carte per celare fini e cifre dei prestiti. Si risale fino al 2008, quando si autorizza il fido senza garanzia a 10 soggetti "legati da rapporti di lavoro o affari con Btp", per l’acquisto di due case a testa da Immobiliare Ferrucci (di Btp) "per 5,9 milioni, con significative deviazioni dagli standard ortodossi". Erogazione "dell’80% della compravendita, nonostante la realizzazione degli appartamenti fosse da anni ferma alla fase di scavo per difficoltà dell’impresa". Ma quando si hanno amici presidenti di banca e dirigenti di illustri partiti tutto diventa facile, possibile, ottenibile. I rispettivi oneri, nel 2009, li pagarono altre società di Btp, a titolo di risoluzione del preliminare. Non una inchiesta, ma decine di filoni in mano a decine di diversi pm con la conseguenziale frattura dell’indagine, perdita di importanti documenti e prove. Come pure su quella che riguarda il fido da 2,5 milioni, tre anni fa, per acquistare un’area da Due Erre (allora in capo a Btp), "e che neppure era proprietaria dell’area oggetto di vendita". A questo si aggiungono gli anticipi di credito, ’’salvo buon fine" della Btp di Fusi; ma a buon fine non andavano, e "malgrado il sistematico richiamo della carta presentata, salita da 20 milioni nel 2007 a 29 milioni nel 2009, quasi sempre infragruppo". La banca ha agito illecitamente, con manovre spregiudicate, azzardate, polverizzando leggi e fiumi di denaro. Riciclaggio. Di questo parla la delibera della Banca d’Italia sul Credito Cooperativo Fiorentino. Un nuovo reato che rischia di essere contestato al presidente della banca, Denis Verdini. "ricordati del mio giornale", frase che il coordinatore del Pdl ha detto al faccendiere sardo Flavio Carboni, all’indomani della nomina di Ignazio Farris alla direzione dell’Arpas, l’ente sardo che si occupa della protezione dell’ambiente. E dei versamenti di denaro che, poco dopo, sarebbero stati fatti da Carboni al Giornale della Toscana tramite prestanome. Soldi che, in un secondo momento, sarebbero spariti dalle casse del quotidiano di Verdini per finire chissà dove.

Verdini è stato presidente del Credito Cooperativo Fiorentino per vent’anni. La «banchina dei preti», così la chiamavano gli abitanti di Campi di Bisenzio. Feudo incontrastato di notabili democristiani, nata nel 1909 su spinta dell’associazionismo cattolico. Denis Verdini venne scelto dal Pci e dal Psi negli anni Ottanta, per tentare la scalata alla piccola cassaforte degli allevatori della piana fiorentina. Verdini faceva import-export di carni ed era, insieme al fratello Ettore, il commercialista più noto di Campi.

Grazie a una cordata di imprenditori locali, Verdini riesce ad entrare nel Cda. Una volta dentro, Verdini è inarrestabile. Lievitano i soci, dai 320 del 1987 ai 1.059 di oggi, lievita il capitale, da 7 milioni agli attuali 56 milioni di euro più altri 19 di riserva, cambia anche il nome (cade il «fiorentino»). La banca rurale cambia identità, sbarca a Firenze aprendo sette nuovi sportelli, uno dei quali automatico, nella centralissima via Tornabuoni. Diventa calamita per i principali imprenditori della città, tra questi c’è anche Fusi. Tramite la moglie, Simonetta Fossombroni, repubblicana convinta, intanto ha cambiato pelle anche Verdini, e nel 1992 si iscrive al Pri. Ogni poltrona all’interno del cda ha un uomo di Verdini. Una militarizzazione degli sportelli. La banca di Verdini. Presidente, cliente privilegiato, come hanno scoperto i magistrati fiorentini, imbattendosi in 60 rapporti aperti a nome del coordinatore nazionale pdl, tra conti correnti, depositi titoli, garanzie e crediti. Una simbiosi che secondo gli ispettori di Bankitalia sconfina nel conflitto d’interessi. Sconfina? Solo la banca di Verdini? Più che una banca, il Credito cooperativo fiorentino era per il presidente Denis Verdini uno sportello automatico dove trasformare in contanti assegni, preliminari di compravendite o effetti non pagati presso altri istituti di credito. Operazioni che avevano come beneficiari amici e parenti, in una perfetta gestione "familiare" del risparmio. "I rilievi e le osservazioni" di Banca d’Italia, allegate alla richiesta di commissariamento della banca, sono dei macigni che, pur arrivando dopo le indagini avviate dalla procura di Firenze, inchiodano non solo il presidente, ma anche il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale della banca alle loro responsabilità. E i partiti? Quanti partiti hanno approfittato di questa banca privata?

La spregiudicatezza nella gestione è confermata "dalla mancata rilevazione - aggiunge Banca d’Italia - nei legami in essere fra il presidente della Banca (2,6 milioni di euro) e il gruppo "Fossombroni M. Simonetta" (9,2 milioni), per effetto delle ampie garanzie rilasciate dal primo, dell’effettiva destinazione delle somme e dei vincoli familiari esistenti con la signora", che non è altri che la moglie di Verdini.

I principali finanziamenti concessi senza l’adeguata "prudenza" sono finiti soprattutto nelle tasche del duo Fusi-Bartolomei (Btp), col quale Verdini ha avuto in comune affari, come un preliminare per l’acquisto del 10% della Una Hotel e partecipazioni (Porta Elisa Srl), e al gruppo Satrel-Forzieri, che opera nella progettazione e nelle realizzazioni impiantistiche civili e che registra tra i propri clienti il ministero per i Lavori pubblici, le autostrade, le ferrovie, i Comuni e le Asl della Toscana. A fine dicembre, su 400 milioni di impieghi a bilancio, la Banca d’Italia ha rilevato sofferenze per 34 milioni e incagli per 88 milioni di euro, senza tenere conto del rischio perdite legato proprio al gruppo Btp, il principale cliente della banca, giunto sull’orlo del dissesto e oggi al centro di una difficile ristrutturazione. Su chi ricadrà questo nuovo dissesto? Come dire che il peggio deve ancora arrivare. Per i favori concessi al gruppo Fusi nella gestione delle ricevute bancarie, già a ottobre del 2009 il Credito cooperativo aveva dovuto imbastire in tutta emergenza un’operazione di pronti contro termine con l’Iccrea per coprire un buco di liquidità da 10 milioni di euro. Se le norme antiriciclaggio sono per i presidenti delle banche, per Bankitalia e per gli stessi governanti solo un dettaglio adesso ci sono oltre 600 clienti a rischio.

Cinque gli episodi eclatanti evidenziati dagli ispettori di Via Nazionale: 1) gli assegni circolari da 800mila euro cambiati per cassa a favore della Società Toscana di Edizioni (riconducibile a Verdini); 2) i finanziamenti concessi senza garanzia a soggetti legati al gruppo Btp per preliminari di acquisto di appartamenti (circa 5,9 milioni); 3) i trasferimenti di rilevante importo effettuati nella stessa giornata fra società del gruppo Bartolomei-Fusi, estratti dalla procedura Gianos come "inattesi"; 4) un passaggio di 500mila euro tra Paolo Perugi (gruppo Bini) e l’imprenditore Roberto Ballerini ; 5) i movimenti bancari di alcune società consortili legate al gruppo Btp per la partecipazioni ad appalti. In particolare nel 2009 sul conto corrente intestato al consorzio Barberino Scarl, creato per la realizzazione di lavori per conto delle Autostrade spa, sono transitate somme (154 milioni) pari a oltre tre volte il valore dei lavori eseguiti nel periodo.

Non vogliamo nuovi partiti, vogliamo le riforme, politiche e sociali.

Non vogliamo nuove scissioni, nuovi rimescolamenti, vogliamo le riforme, politiche e sociali.

In vista dei nuovi scandali e dei nuovi proclami, in vista della nemmeno tanto originale fine della seconda Repubblica, in vista dei nuovi – padroni – pronti, in teoria, a gettar le basi per la nuova Repubblica, in molti, stanchi e arrabbiati, hanno finalmente colto il vero e necessario cammino da intraprendere; il riformismo.

Le riforme politiche e sociali non sono mai state ben viste dalla nostra classe politica, ferma e inchiodata agli interessi privati e partitici, pronta ad usare dossier per polverizzare l’avversario di turno, pronta ad usare i propri salotti televisivi come arena mediatica; in un Paese annientato sotto il controllo della corruzione, degli affari illeciti frutto degli innumerevoli casi di conflitto di interesse, sotto i continui scandali. Nella prima come nella seconda Repubblica e, senza riforme, sarà anche nella terza Repubblica. Ed infatti, è proprio nella terza Repubblica che ci stanno spingendo come pecore nell’ovile. Un ovile nuovo e disegnato su misura dove la P2 come la P3 come la DC e poi FI e ancora il PDL apparteranno alla storia; dove Fini e Casini e Montezemolo saranno i nuovi condottieri di un Italia che non punta alle riforme necessarie e indispensabili, laddove non si vogliano rivivere scandali e illeciti. Tutto questo eco, tutte queste polemiche, queste nuove scudisciate dopo l’immissione, strategica e tempestiva, del dossier P3.

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