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Con intatta fede: nell’Occidente, nell’Europa e nell’Italia

"Il futuro, se non dimenticheremo il nostro passato, in bene ed in male, è ancora tutto nostro. Di noi occidentali e, in particolare, di noi italiani".

“Quando tutti pensano che sia il momento di vendere”, diceva un mio vecchio maestro, “tu compra, e quando tutti comprano, tu vendi. Fai sempre il contrario di quel che fa la gente; qualche volta ti potrà andar male, ma di solito ci guadagnerai, perché la gente, quando si parla di soldi, ha quasi sempre torto”.

Ci vuole certo coraggio ad essere ottimisti, e di questi tempi basta conservare un briciolo di speranza per esserlo, ma io, memore di quell’insegnamento, mentre si alzano altissime le urla di chi solo ora vede arrivare il disastro, mi ostino a considerare tutt’altro che perduta la causa dell’Italia, dell’Europa e, con buona pace dei miei amici americani che pensano ormai d’avere un destino disgiunto dal nostro, dell’Occidente.

Qualunque cosa accada nei prossimi mesi e anni, sono assolutamente certo che la nostra cultura, se non la rinnegheremo, farà sempre e comunque, di noi, le guide del mondo; che le grandi scoperte, le invenzioni rivoluzionarie, i cambi di paradigma, possono nascere solo dentro ad una società e ad una civiltà come le nostre.

Sono fermamente convinto che senza Democrazia e assoluta libertà di pensiero, si può forse migliorare l’esistente, ma non si possa scoprire alcunché di veramente nuovo; che qualunque forma di governo si basi su altro che il dubbio, e proceda diversamente che per tentativi, sia destinata a fallire, prima o poi, le prove della Storia.

Il futuro apparterrà alla Cina? Se sarà una Cina democratica, se i suoi scienziati, i suoi economisti ed i suoi filosofi potranno scambiare le proprie idea in totale libertà, tutto fa pensare che così possa essere; ma una tale Cina, ammesso che quel paese possa mantenersi unito senza un potere centrale autoritario, non sarebbe altro che un Occidente con gli occhi a mandorla.

La Cina di oggi sta arrivando già ai limiti del proprio sviluppo: la periferia ancora povere, spesso abitata da etnie diverse dalla dominante han, fanno sentire sempre più spesso le loro proteste; dimenticata la fame, patita ancor pochi decenni or sono, milioni di cinesi chiedono, nelle zone più ricche del paese, una più equa ripartizione dei benefici dello sviluppo. Vogliono un ambiente più sano, migliori condizioni di lavoro e un’amministrazione statale meno corrotta. In una parola, chiedono quel che, dopo il pane, è il più insopprimibile bisogno dell’uomo: la libertà.

E noi? Siamo finiti? Non abbiamo più nulla da dare al mondo? E’ proprio nel fatto che riusciamo a dubitare di noi stessi, la nostra forza; nel sapere di non avere un modello di sviluppo privo di difetti, lasciatoci in eredità da qualche mitico padre fondatore, ma una prassi, sempre criticabile e sempre migliorabile.

Abbiamo certo commesso degli errori. Accecati dal denaro, ci siamo scordati di quello che questo dovrebbe rappresentare; non solo l’unità di conto che il governo ci impone di usare per pagare le tasse (è, ridotto all’osso, il concetto che sta dietro alle moderne valute; Dollari o Euro non rappresentano direttamente quantità d’oro o d’argento, ma valgono perché così stabiliscono le leggi degli stati che li utilizzano), ma la misura della ricchezza prodotta da un paese; anzi, dal lavoro dei suoi abitanti.

Abbiamo costruito un sistema finanziario complicatissimo, che non è altro che un grande monopoli; che non produce nulla, ma impone a tutti le sue erosissime tasse e a tutti vorrebbe imporre le sue scelte: decisioni prese oggi per domani, con gli occhi rivolti ad una utilità immediata e puramente contabile, senza nessuna riflessione sulle loro conseguenze a lungo termine o sul tipo di società che contribuiscono a costruire.

Dovremo cambiare, ma è qualcosa che abbiamo già capito tutti, anche quelli che fingono di credere di poter andare avanti così, e lo faremo: metteremo delle redini alla finanza e cercheremo di tornare a retribuire adeguatamente il lavoro; senza inseguire la chimera di un perfetto egualitarismo, che peraltro non ci è mai appartenuta, cercheremo di costruire una società ancora più equa, dove la ricchezza sia solo il premio del talento e del lavoro, e dove tutti abbiano, davvero, le stesse opportunità.

Lasciamo a chi non pensa di poter far di meglio, e che magari fino ad ieri starnazzava felice, convinto di vivere nel migliore dei mondi possibili, il compito di innalzare i threnos in morte dell’Occidente. Noi, piuttosto, torniamo a lavorare e lottare per realizzare i sogni di libertà e giustizia della tradizione liberale e socialista; sono obiettivi forse impossibili da raggiungere, ma che sappiamo, generazione dopo generazione, tra mille errori, di poter sempre più avvicinare.

Il futuro, se non dimenticheremo il nostro passato, in bene ed in male, è ancora tutto nostro. Di noi occidentali e, in particolare, di noi italiani. Possiamo essere retrocessi in serie B dalle agenzie di rating, ma siamo sempre noi: con tutte le nostre contraddizioni, gli eredi dello spirito che ha creato la modernità; gli abitanti di una terra benedetta dalla geo-politica, prima che da qualunque divinità, che è stata al centro del mondo antico e, specie se la il Nord Africa dovesse rimettersi in cammino, potrebbe essere al centro del mondo di domani.

E’un paese, l’Italia, che è sempre risorto; che ha sempre trovato le energie per potersi ricostruire. Un paese che gli stolti possono anche voler vendere allo scoperto, ma su cui, chi sa quanto poco valga l’opinione dei più, deve trovare il coraggio di scommettere.

Per se stesso e, se è italiano, per i propri figli.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.39) 17 gennaio 2012 10:55

    L’Italia è sempre risorta? già, nel XV secolo era la parte più ricca e avanzata del pianeta, dopo i sessanta anni di devastazioni fatte da spagnoli, francesi e tedeschi nel sedicesimo secolo ci sono voluti trecento anni per avviare la ripresa. Quanto ci vorrà dopo il 2012?!? e chi lo sa!
    In ogni caso caro Daniel tu confondi Europa e Occidente. Se per Occidente intendiamo la fine delle società feudali, contadine, illiberali e per contro la rivoluzione scientifica e industriale, il liberalismo e i diritti individuali, allora è da tempo che i due termini Europa e Occidente non coincidono più. Né il declino dell’Europa equivale alla fine di cio che ha significato la parola occidente, nata appunto per designare quella parte di Europa autrice di quelle trasformazioni.
     Le cause del declino? non basterebbe un saggio per analizzarle, ma accontentiamoci di queste: dei 5 popoli più consistenti che abitano questa parte del pianeta, i russi si sono definitivamente allontanati dai destini dell’Europa; gli italiani, per loro scelta non contano nulla; francesi e inglesi credono ancora di essere delle potenze mondiali (presto si sveglieranno da questo sogno); i tedeschi non hanno mai rinunciato al loro antico sogno di dominare l’Europa e dopo aver scatenato due disastrose guerre per questo obiettivo oggi ci riprovano sul terreno economico.
     Ma come abbiamo potuto pensare che i tedeschi fossero cambiati??? come ci si è potuti illudere che caratteristiche accumulate, sedimentate e cristallizzate in duemila anni di storia potessero svanire nel nulla??? oggi paghiamo le conseguenze di questa cecità!

  • Di antimoderno (---.---.---.186) 17 gennaio 2012 16:41
    antimoderno

    Non capisco se è un esercizio di retorica o se l’autore è un robot.

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