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Come ti cambio il mercato del lavoro italiano… con l’immigrazione

Italiani "indolenti bamboccioni" (come disse il ministro Meloni)? I dati dicono il contrario. Sempre più laureati cercano lavori umili, spesso in condizioni di grave sfruttamento e per paghe misere.

Nel nostro Paese, la crisi economica sta producendo effetti contraddittori nel mercato del lavoro: ad una drammatica caduta del tasso di occupazione degli italiani corrisponde una consistente crescita del tasso di occupazione dei lavoratori stranieri: in soli tre anni, gli immigrati che lavorano regolarmente sono aumentati del 40%, passando dal milione e mezzo del 2007 agli oltre 2milioni e duecento mila del 2010, occupati prevalentemente in aziende di piccole dimensioni del settore terziario, e per lo più inquadrati con la qualifica professionale di operaio.

Dalla sintesi del rapporto 2011 “L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive” a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: “In Italia, secondo i dati Istat, il bilancio nei due anni della crisi (2009-2010) indica una perdita di 554 mila posti di lavoro, […] ripartiti tra un calo degli occupati italiani pari a circa 863 mila unità(- 4%) ed una crescita dell’occupazione immigrata di 309 mila unità (+ 17.6%). Occupazione immigrata che contribuisce in misura sempre più significativa all’occupazione complessiva (dal 7.5% del 2008 al 9.1% del 2010). Ai lavoratori stranieri in regola si aggiungono, secondo stime alquanto prudenziali della Fondazione ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità), oltre 500mila lavoratori stranieri utilizzati - in nero - prevalentemente in agricoltura, nell’edilizia e nel settore dei servizi.

Questa tendenza è confermata per il 2011 dai dati Istat: nel primo trimestre 2011 continua il calo dell’occupazione italiana (- 160mila unità), mentre aumenta significativamente l’occupazione straniera (+ 276mila unità); nel secondo trimestre si è accentuato il trend (- 81mila occupati italiani; + 168mila occupati stranieri); nel terzo trimestre 2011 a una modesta crescita dell’occupazione italiana (+ 39mila unità) si associa un significativo incremento di quella straniera (+ 120mila unità).

Una società civile non può che essere cosmopolita, interrazziale e - soprattutto - fondata sull’accoglienza, e l’accoglienza è una delle questioni sensibili su cui si misura la democraticità di una società. Ma davvero possiamo parlare di un’effettiva integrazione del cittadino straniero nel nostro Paese in base a principi di uguaglianza e pari dignità sociale, solidarietà, libertà personale?

Insigni accademici e blasonati esperti sostengono - supportati dai mass media - che milioni di immigrati svolgono in prevalenza lavori manuali faticosi e umili, snobbati e rifiutati sdegnosamente da tanti italiani che possono permettersi di “non fare”, e sottolineano come senza il fondamentale apporto della manodopera straniera interi settori produttivi - ormai senza addetti - rischierebbero il collasso.

E’ corretta e soprattutto veritiera una simile interpretazione?

A Lucca, al bando di “Sistema Ambiente S.P.A.” promosso per selezionare 4 addetti allo spazzamento e tre conducenti dei relativi veicoli e mezzi d’opera, hanno risposto 1.400 persone; in provincia di Caltanisetta, per tre posti a tempo determinato di tre mesi nella discarica di Timpazzo, tra Gela e Mazzarino, le domande presentate sono state oltre 1.300; migliaia di candidature, nella quasi totalità di nostri concittadini, tra i quali tanti diplomati e laureati!

In particolare, per quanto riguarda i giovani, i dati Istat smentiscono clamorosamente quanto dichiarato a suo tempo - alla presentazione del “Piano di azione per l’occupabilità dei giovani” - dal ministro della Gioventù dell’ultimo governo Berlusconi, Giorgia Meloni, la quale aveva sostenuto che i giovani italiani soffrono di “inattitudine all’umiltà”; secondo l’Istat, invece, ben il 47.1% dei giovani fino ai 34 anni d’età già nel secondo trimestre 2009 svolgeva un lavoro con uno titolo di studio superiore a quello richiesto per le mansioni espletate, non disdegnando - pur di lavorare - impieghi umili, anche manuali.

Italiani, dunque, per niente “indolenti bamboccioni”, ma caparbi, combattivi e determinati a non gettare la spugna; disponibili anche ad emigrare: solo negli ultimi 4 anni, un milione di nostri connazionali under 40 ha lasciato stabilmente il nostro Paese, non rassegnandosi alla mancanza di opportunità occupazionali, alla realtà di un mercato del lavoro che li condanna a un presente di precarietà e a un futuro di disoccupazione; tant’è che solo 1 su 4 intenderebbe ritornare in Italia... gli altri si dicono pienamente soddisfatti della loro scelta.

La realtà è che agli italiani tanti lavori sono sempre meno proposti ed offerti! Nel nostro Paese, infatti, è in atto una deriva del mercato del lavoro (accelerata ed accentuata dalla crisi economica) che ha determinato un vero e proprio processo di sostituzione dei lavoratori italiani, svolgenti le mansioni meno qualificate, con lavoratori stranieri; forza lavoro “low cost” - a basso costo - con ridotti, pochi o nessun diritto!

Dal comunicato stampa relativo al capitolo “Lavoro, professionalità, rappresentanze” del 45° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2011: “Tra il 2005 e il 2010, a fronte di un crollo dei lavoratori italiani occupati in professioni manuali (- 842mila, -11%), si registra un aumento praticamente identico dei lavoratori stranieri (+ 725mila, +83.8%) la cui incidenza passa dal 10.2% al 19% del totale”.

Manodopera ideale - quella straniera - perché generalmente più ricattabile, incline a subire situazioni di grave sfruttamento lavorativo, spremuta impunemente da imprenditori che non di rado - in violazione alle leggi vigenti a partire da quelle in materia fiscale, contributiva e di sicurezza sul lavoro - offrono “occupazione” a condizioni economiche e modalità di svolgimento tali che ritengono prudente e opportuno non proporre ai cittadini italiani… per quanto tempo, infatti, questi le subirebbero passivamente?

E i nostri Governi, che conoscono bene la realtà di un Paese stravolto dalla disoccupazione crescente - ormai endemica e strutturale - sollecitati da una classe imprenditoriale sempre più cinica e ingorda, continuano a predisporre anno dopo anno nuovi decreti di flussi migratori, nonostante - dati Istat 2010 alla mano - 266mila disoccupati stranieri, 1.811.000 disoccupati italiani (come riportato nella tabella 3 della sintesi del rapporto 2011 “L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive” a cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali),2.890.000 inattivi (tra i quali circa 1.500.000, in base al Report novembre 2011 dell’Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, sono gli scoraggiati che hanno rinunciato a cercare lavoro viste le tante ricerche infruttuose già effettuate), e oltre 2.000.000 di lavoratori coinvolti in processi di cassa integrazione (dei quali 576.455 in cassa integrazione a zero ore per l’intero 2010, secondo i dati dell'Osservatorio CIG del dipartimento Settori produttivi della CGIL Nazionale), rendendosi così complici dello sfruttamento perpetuato ai danni degli anelli più deboli della nostra società.

Questi “decreti flussi” regolamentano l’arrivo di nuovi immigrati fissando il numero di stranieri non comunitari (per i cittadini comunitari è prevista infatti la libera circolazione all’interno dei Paesi membri dell’Unione europea) ammessi ogni anno in Italia; esseri umani che saranno disposti a tutto pur di lavorare, e in tanti casi andranno a sostituire sia i lavoratori italiani che quelli stranieri a condizioni ancora più vantaggiose per i datori di lavoro.

In soli 5 anni, gli stranieri residenti in Italia sono quasi raddoppiati, passando dai 2'402'157 del 1° gennaio 2005 ai 4'570’317 del 1° gennaio 2011 (dati Istat). Senza contare i cittadini non comunitari presenti irregolarmente sul territorio nazionale, in quanto sprovvisti di permesso di soggiorno, stimati tra le 500'000 e le 750'000 unità (dati Ocse).

Molti italiani, va detto, si sono rassegnati a salari miseri, a condizioni, carichi e ritmi lavorativi indecorosi, indegni di una società civile, nell’ambito di una triste competizione “tra poveri” con i lavoratori immigrati, in particolare i non comunitari che, necessitando di un contratto di lavoro per regolarizzare la propria posizione con l’agognato permesso di soggiorno, sono - tra gli stranieri - i più esposti e vulnerabili.

Imprenditori privi di coscienza ne approfittano annichilendo l’esistenza di donne e uomini, italiani e stranieri, accomunati da identiche storie di bisogno, povertà e sfruttamento.

Angela, cittadina italiana residente in una città toscana, ha quasi quarant’anni e un disperato bisogno di lavorare. Su segnalazione di un conoscente, si propone ad un imprenditore commerciale del posto che l’assume in qualità di lavoratore a chiamata. In realtà, Angela svolge un lavoro stagionale continuativo di 40 ore settimanali, retribuite 2.88 euro all’oracon un forfettario complessivo di 500 euro mensili. Compenso mensile ritenuto dall’imprenditore “esoso”, dato l’orario ridotto (!!) per cui viene corrisposto; "un compenso che può essere pagato solo in alta stagione, per massimizzare la produttività dell’azienda"… Per Angela, sola ed emarginata - condizioni comuni a tanti poveri - quei 500 euro mensili sono comunque una piccola boccata d’ossigeno, visto che non è riuscita a trovare altro lavoro: per quattro mesi potrà in qualche modo tirare avanti e forse, anche quest’anno, non finirà in strada…

Nella stessa impresa lavorano da anni due giovani cittadini non comunitari, Dinesh e Jedda. Ad Angela, Jedda e Dinesh è affidata la cucina; improvvisati operatori professionali del settore, senza alcuna preparazione specifica, sono sprovvisti persino del patentino haccp obbligatorio per il personale addetto alla produzione, preparazione, somministrazione e distribuzione di alimenti...

In anni, mai un controllo del personale da parte delle autorità preposte. Istituzioni a volte indifferenti e sorde alle stesse denunce dei dipendenti.

Jedda e Dinesh hanno un contratto part-time a tempo indeterminato; in realtà entrambi lavorano a tempo pieno, anzi pienissimo: Jedda per almeno dieci ore giornaliere; Dinesh - in qualità di factotum e svolgendo saltuariamente diverse incombenze presso l’abitazione del titolare - anche fino a quattordici ore giornaliere; entrambi sono retribuiti con un forfettario di 650 euro mensili. La busta paga è una mera formalità… che non valga niente quello che c’è scritto lo ripete spesso il titolare.

Dinesh, il collaboratore di fiducia, non riuscendo a trovare un alloggio, è ospitato per la notte da amici o dorme nello scantinato (non attrezzato all’uso) dei locali sede dell’impresa.

Italiani e stranieri, esseri umani mortificati e offesi; cittadini del mondo abbandonati, dimenticati, traditi! Persone in esubero diventate avanzi, scarti umani… trasformati in merci a basso costo, in strumenti di produzione a perdere, usa e getta.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Renzo Riva (---.---.---.68) 12 gennaio 2012 22:03
    Renzo Riva

    PER UN ERRORE RIPORTO L’INTERO COMMENTO PRECEDENTE CON

    L’errata corrige in neretto:

    Per favore!
    Dott. Borrello,
    La voce A3 della bolletta elettrica nel Gennaio 2009 era pari a circa 12 Euri/MWh.
    Nel Gennaio 2010 lievitò a oltre 15,50 Euri/MWh.
    Nel Gennaio 2011 arrivò a oltre 20 Euri/MWh.
    Nel Gennaio 2012 è schizzata a 36 Euri/MWh.

    POTENZA DELLE ENERGIE RINNOVABILI CHE FANNO CHIUDERE LE AZIENDE ENERGIVORE E NON.

    PER NON CHIUDERE GLI IMPRENDITORI SONO OBBLIGATI A COMPENSARE I MAGGIORI COSTI ENERGETICI CON LA RIDUZIONE DEI SALARI E DEGLI STIPENDI.

    http://4.bp.blogspot.com/-4Qcae_fLnMk/ToypaTGsggI/AAAAAAAAAPE/K4F2RVPjdeY/s1600/A3_.jpg

    Quanto da lei scritto:
    "Alcoa ha una responsabilità oltre che con i lavoratori e il sindacato italiano, anche con il nostro Governo, come sottoscritto nell’accordo del 17 maggio 2010."
    non tiene in conto le modifiche intervenute nei prezzi dell’energia e dell’intervento della CE che richiamò l’Italia per violazione della libera concorrenza per aver praticato tariffe "ad personam" ad Alcoa.

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