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Come si racconta oggi l’Iraq negli Stati Uniti

Lo ha fatto notare a più riprese Fair Media Watch, il sito di un gruppo statunitense che si occupa di tener d’occhio i media e i columnist più accreditati: oggi che gli Stati Uniti si ritirano dall’Iraq i media americani raccontano una storia diversa da quella che conoscono quanti abbiano minimamente seguito gli eventi. E ovviamente la raccontano in maniera da migliorare l’immagine americana.

In un solo servizio della CBS, ad esempio, sono riusciti a dire che in Iraq sono morti 50.000 civili circa, sostenendo l’affermazione con la messa in onda di un grafico relativo a numeri del 2005, accompagnato da una selva di note che avvertivano di quanto, già allora, si trattasse di un numero sicuramente sottostimato.

E a questo hanno aggiunto una ricostruzione del conflitto da lasciare basiti: “Quella che era cominciata come uno sforzo per deporre Saddam Hussein diventò un’orribile guerra religiosa, mettendo iracheno contro iracheno, con gli Stati Uniti presi nel mezzo”.

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Dimenticate le armi di distruzione di massa, dimenticato il 9/11 che pure molti americani hanno creduto collegabile all’invasione dell’Iraq, gli USA hanno fatto uno sforzo per deporre Saddam e poi gli iracheni, barbari, si sono messi a spararsi tra di loro. E gli Stati Uniti presi in mezzo, che sfortuna, dopo essersi sacrificati per cacciare un dittatore.

Una ricostruzione di fantasia come altre, come già ha documentato in abbondanza FMW girano molte versioni di fantasia delle guerre americane, tanto che a distanza di anni gli stessi che sono chiamati a narrarle e a commentarle perdono il filo del discorso con effetti imbarazzanti.

Come documentato ad esempio nel caso di Fareed Zackaria (tradotto e offerto ai lettori anche da noi), che nel giro di qualche hanno è stato colto a dire tutto e il suo contrario sulla politica estera statunitense e su alleati e nemici. Non che da noi vada poi tanto meglio, da dove tragga ispirazione una certa corrente del nostro giornalismo è evidente.

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