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Come saranno spesi i soldi del PNRR in Italia

Dalla digitalizzazione al green, dalla ricerca alla salute: ecco come saranno spesi i 191,5 miliardi di euro destinati al nostro Paese

di Giacomo Bridi

Marzo 2020: l’economia europea è paralizzata dalla pandemia. Il debito pubblico cresce assieme alla spesa, la fiducia dei consumatori crolla e si fatica a intravedere il futuro. A livello nazionale ed europeo si inizia a pensare a come intervenire per evitare il collasso economico dato da una situazione unica nel suo genere.

Il 18 maggio 2020, mentre si comincia a uscire dal primo lockdown, Macron e Merkel concordano su un piano per risollevare la crescita dell’economia europea, proponendo un piano per dare liquidità ai paesi membri. Battezzato inizialmente come “Recovery Fund”, tale piano prevede al suo debutto 500 miliardi di euro (presi in prestito dalla Commissione attraverso i mercati finanziari) da ridistribuire poi tra i paesi. Il 21 luglio il Consiglio Europeo approva il nuovo piano, il cui ammontare è nel frattempo salito a 750 miliardi di euro; successivamente, con l’approvazione definitiva da parte del Parlamento Europeo in autunno, si dà il via libera ai paesi per la redazione di un piano di impiego dei fondi, da presentare alla Commissione entro il 30 aprile 2021.

Il piano approvato, che ne frattempo è stato ribattezzato NextGenerationEU, si compone di 312,5 miliardi di euro in sovvenzioni, 360 miliardi in prestiti, mentre il restante 10% è diviso tra altri fondi minori (ReactEU, Orizzonte Europa, Fondo InvestEU, Sviluppo rurale, Fondo per la transizione giusta, RescEU). Il meccanismo di approvazione dei piani da parte della Commissione è servito invece a rassicurare i paesi “frugali” (Olanda in primis) che temevano che il Recovery Plan potesse portare a una pianificazione economica sconsiderata da parte dei paesi meridionali, creando le basi per un ripetersi delle condizioni di spesa ‘oltre le proprie possibilità’ che erano state alla base della crisi dei debiti sovrani all’inizio dello scorso decennio. Da ultimo, è stato limato il requisito sul rispetto dello stato di diritto dopo la dura opposizione del gruppo di Visegrad.

La ripartizione dei fondi viene eseguita secondo tre criteri: la popolazione, il reddito pro capite e il tasso di disoccupazione negli ultimi 5 anni. All’Italia spetta la fetta più grande: un totale di 191,5 miliardi di euro (123 in prestiti e 69 in grant). Segue la Spagna con 162 miliardi, la Polonia con 71 e la Francia con 40.

Le finalità del piano vanno oltre il superamento della depressione economica causata dalla pandemia, imponendo finalità a lungo termine. I fondi e i prestiti erogati sono infatti diretti a vari scopi, prima fra tutti la modernizzazione, attraverso investimenti su ricerca, innovazione e digitale. Inoltre, il 30% verrà speso per contrastare i cambiamenti climatici. In generale, però, una parola regna sovrana: la tanto usata (e abusata) ‘resilienza’. L’obiettivo è infatti quello di rendere le economie europee non solo più sostenibili, eque e resistenti alle crisi che si potrebbero presentare in futuro, come è stato con il Covid-19, ma anche più ‘resilienti’ ai cambiamenti che si possono presentare nella fase di ripresa. I piani dei singoli paesi, quindi, si devono concentrare su aree specifiche, come efficienza energetica, digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, istruzione, trasporto sostenibile.

Parliamo nello specifico dell’Italia: i progetti, volti a creare un Paese più aperto a giovani e donne, più competitivo, più green e più digitale, dovranno essere completati entro 5 anni – scadenza che fa alzare qualche sopracciglio data la portata degli interventi e dato il ritmo con cui questi vengono spesso portati avanti nel nostro Paese. Vediamo, sezione per sezione, come verranno spesi questi 191,5 miliardi di euro:

  1. 59,5 miliardi nel green: energie rinnovabili, efficienza energetica degli edifici, filiera dell’idrogeno, infrastrutture idriche, investimento nel riciclo dei rifiuti;
  2. 40,3 miliardi nella digitalizzazione: Piano Italia 5G, connettività, infrastrutture digitali;
  3. 30,9 miliardi in istruzione e ricerca: risanamento degli edifici scolastici, riforma dell’orientamento, dei corsi di laurea e dei dottorati garantendo un miglior passaggio dall’università al mondo del lavoro, supporto agli studenti con aumento dei posti letto in studentato e incremento delle borse di studio;
  4. 25,4 miliardi in infrastrutture e mobilità sostenibile: trasporto ferroviario regionale, sistema portuale, alta velocità, digitalizzazione della catena logistica;
  5. 19,8 miliardi in inclusione e coesione: progetti a favore di disabili, minoranze, donne, giovani e Mezzogiorno;
  6. 15,6 miliardi in salute: investimento nella sanità di prossimità sparsa nel territorio, assistenza domiciliare potenziata, telemedicina, assistenza remota, aggiornamento del parco tecnologico e delle attrezzature per diagnosi e cura.
Questo articolo è stato pubblicato qui

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