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Come passa il tempo

Di che si dibatteva per ingannare il tempo in città, in spiaggia e ai monti lo scorso anno, nella prima metà di agosto? Di molte cose, tutte imprescindibili. Ad esempio, più o meno un anno fa di questi tempi l’Ocse iniziava a vaticinare la ripresa della nostra attività economica, pur se con una metodologia piuttosto criptica e inadatta a fornire qualcosa di diverso da pure valutazioni qualitative. Ma ciò bastava al nostro esecutivo per riabilitare quelle stesse istituzioni internazionali che erano state accusate fino a poco tempo prima di complottare per fiaccare il morale delle truppe dei cittadini italiani.

Ma si parlava anche del disperato tentativo del premier di assestare, molto democraticamente, colpi al cerchio ed alla botte. Ad esempio, partendo da una simbologia onirica (in quanto squattrinata) di grandi opere emergenziali per compiacere i notabili meridionali del suo partito e finendo con lo sposare la fantasiosa richiesta leghista di gabbie salariali, che si metteva di traverso al leggendario accordo di gennaio 2009 sulla riforma della contrattazione collettiva. Il tutto senza capire che un conto è il “costo della vita” (il costo del paniere “standard” di beni e servizi acquistato nel corso del mese da una “famiglia-tipo” in una determinata zona del paese) ed altro discorso è la variazione nel corso del tempo del costo di tale paniere. Né si è riusciti a capire se la Lega volesse maggiori detrazioni d’imposta legate al territorio, l’ennesima pagina del libro dei sogni scritto quotidianamente dalla nostra crisi fiscale. Ma anche allora Bossi dirigeva l’orchestra governativa utilizzando come bacchetta il dito medio.

Senza dimenticare che il mese di agosto 2009 si era aperto con un’esaltante sconfitta del ministro dell’Economia, fermato mentre tentava di spillare alla Banca d’Italia 300 milioni di euro per mezzo di una tassa sulle plusvalenze maturate sullo stock di oro di Via Nazionale (una patrimoniale applicata ad un solo soggetto, in sintesi). Prendendosi uno scappellotto dalla Banca centrale europea e finendo col far correggere un decreto correttivo di finanza pubblica, subordinandolo ad una condizione irrealizzabile, dopo una delle sue epiche arrampicate sui vetri. Tremonti dichiarava vittoria e batteva in ritirata, ovviamente non prima di aver proferito una delle sue frasi celebri, proclamando che l’oro appartiene al “popolo”, del quale egli ambiva evidentemente a divenire il gabelliere di fiducia.

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