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Come far mordere l’astensionismo

Come far mordere l'astensionismo

Su la Stampa, il costituzionalista Michele Ainis riflette su come dare un valore materiale, oltre che simbolico, al fenomeno dell’astensionismo. Il parallelo è con la scelta dell’8 per mille dove, come noto, le risorse complessive vengono assegnate non in relazione alle scelte effettivamente espresse ma alla proporzione di preferenze raccolte dai destinatari.

Solo quattro contribuenti su dieci esprimono la scelta, ma tra essi la Chiesa cattolica ottiene oltre l’85 per cento delle preferenze, incassando quindi un tesoretto di un miliardo di euro annui. Un meccanismo di leverage che pare assai poco tocquevilliano (cioè orientato alla competizione nel mercato delle idee ed alla scelta deliberata del contribuente-donatore) e molto italiano, cioè incline a premiare la posizione dominante.

Anche nel caso dei rimborsi elettorali avviene qualcosa di analogo: l’importo viene assegnato non in base al numero di voti ma a quello degli elettori. Se si scegliesse di “rimborsare” solo i voti effettivamente conseguiti, l’astensionismo finirebbe col devastare le casse dei partiti, assurgendo immediatamente a meccanismo sanzionatorio per i “prodotti” partitici difettosi o privi di mercato.

Ipotesi suggestiva, ma che rischia di essere più o meno aggirabile. I partiti, il cui fabbisogno finanziario appare incomprimibile, finirebbero col votare una leggina di aumento del valore del rimborso per singolo voto espresso. Oppure, visto che siamo in un paese non certo ai primi posti nelle classifiche internazionali di trasparenza della pubblica amministrazione, gli eletti finirebbero con il traslare sul valore di appalti ed acquisti la differenza negativa tra incassi e pagamenti. Avviene anche ora, a dire il vero.

E’ singolare ma certamente rivelatore che dalle cosiddette “analisi” sull’esito del voto sia rapidamente scomparso il dato eclatante dell’astensionismo e la sua valenza politica, e ci si focalizzi solo sulle percentuali conseguite. Che fare, quindi, per stimolare la competizione sulle idee con un sistema di premi e sanzioni? Forse basterebbe raccordare meglio i rimborsi elettorali alle spese effettivamente sostenute e certificate, cosa che attualmente non avviene. Oppure abrogare la legge 156/2002, nel punto in cui abbassa dal 4 all’1% il quorum per ottenere il rimborso elettorale; nonché la legge 512/2006, nella parte in cui prescrive che l’erogazione dei rimborsi è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla sua durata effettiva. E sarebbe ancora poco.

Ecco pronti alcuni suggerimenti per le riforme della Nuova Era, nel frenetico brainstorming collettivo che da questa mattina sembra aver colto il paese. Sperando di non essere ancora seminati dagli sprechi.

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