Cina, l’inverno demografico è figlio unico
La Cina rappresenta un caso di studio degli effetti di lungo termine di una restrizione demografica autoinflitta. Servirà una crescita trainata da innovazione e produttività e forti investimenti di welfare
In Cina, l’inverno demografico avanza a grandi passi. I numeri sono impietosi e inquietanti, come sintetizza su Project Syndicate un articolo di uno studioso cinese della University of Wisconsin-Madison, Yi Fuxian, che fu tra gli animatori del movimento contro la politica del figlio unico, i cui danni si propagano ancora oggi, sommandosi a nuove criticità a cui spesso tale politica ha contribuito, visto che in demografia la depopolazione di una coorte anagrafica ha effetti di lungo termine sulla fertilità.
Aumenta una bassa età pensionabile
Il principale indicatore economico della crisi demografica è l’innalzamento dell’età pensionabile. Il 13 settembre, il governo cinese disposto l’aumento dell’età pensionabile obbligatoria da 60 a 63 anni per gli uomini, da 55 a 58 anni per le donne impiegate in lavori d’ufficio e da 50 a 55 anni per le donne impiegate in lavori manuali. L’incremento sarà attuato progressivamente nell’arco di quindici anni. Ma misure di questo tipo rischiano di essere solo un palliativo.
Le soglie anagrafiche di pensionamento in Cina, tra le più basse al mondo, furono stabilite nel 1955, quando l’età media del paese era di 21 anni e solo il 7 per cento della popolazione superava i 60 anni. Queste età sono rimaste invariate anche dopo l’introduzione della politica del figlio unico nel 1980. Il governo prometteva all’epoca di prendersi cura degli anziani.
Malgrado l’evidente tendenza all’invecchiamento, i vertici politici cinesi continuano a temere maggiormente il rischio di sovrappopolazione. Nel 2012, i demografi governativi avvertivano che consentire a tutte le coppie di avere due figli avrebbe fatto esplodere il tasso di fertilità oltre i 4,4 nati per donna. Quando la Cina ha implementato la politica dei due figli nel 2016, le proiezioni ufficiali suggerivano che il tasso di fertilità avrebbe raggiunto un picco di 2,09 nel 2018, per poi scendere a 1,75 entro il 2023 e a 1,72 entro il 2050. Nonostante queste tendenze, la Cina ha introdotto una politica dei tre figli nel 2021, spinta dalla paura che l’abolizione totale dei controlli sulla popolazione potesse scatenare un baby boom simile a quello degli anni ’50.
Inoltre, i leader cinesi temevano che l’aumento dell’età pensionabile avrebbe alimentato la disoccupazione. Più di recente, il Partito Comunista Cinese voleva minimizzare il rischio di disordini in vista del suo ventesimo Congresso Nazionale nel 2022, poiché le riforme pensionistiche sono spesso cariche politicamente. La realtà ha dato un responso assai diverso dalle proiezioni governative: nel 2023, il tasso di fertilità è sceso a 1,0, con alcune province che riportano tassi sino a 0,6 (figli per donna)contro una previsione ufficiale di 1,75.
Nel frattempo, l’aspettativa di vita in Cina è aumentata dai 47 anni del 1955 ai 79 del 2022 (rispetto ai 77 negli Stati Uniti). Il numero di cittadini cinesi di età pari o superiore ai 60 anni è passato da 72 milioni nel 1980 a 282 milioni oggi, rappresentando il 21 per cento della popolazione totale. Si prevede che questo numero raggiungerà i 358 milioni entro il 2030 e i 475 milioni – ovvero il 47% della popolazione totale – entro il 2050.
Esplode la spesa pensionistica in un sistema iniquo
Di conseguenza, la spesa pensionistica della Cina è aumentata da solo 1,5% del reddito disponibile delle famiglie nel 1990 al 12 per cento nel 2022. Oggi quasi un terzo delle province cinesi affrontano deficit pensionistici. In Heilongjiang, che ha il tasso di fertilità più basso e la popolazione più anziana del paese, il 29 per cento del reddito disponibile delle famiglie è rappresentato da pensioni, costringendo le autorità locali a fare affidamento su trasferimenti dal governo centrale per coprire fino al 43 per cento dei loro costi pensionistici. Si prevede che il fondo pensionistico nazionale esaurisca i fondi entro il 2035.
Pacchetti vacanze per famiglie
Il sistema pensionistico cinese è anche fortemente iniquo. Nel 2022, dei 301 milioni di pensionati del paese, ben 21 milioni erano dipendenti pubblici, mentre altri erano lavoratori d’impresa e anziani principalmente rurali; ognuno riceveva una pensione media mensile rispettivamente di 907 dollari (6.100 renminbi), 468 e 30. Con il loro unico figlio incapace di sostenerli, molti anziani rurali dipenderanno in modo decisivo dall’assistenza governativa.
Le allarmanti tendenze demografiche hanno spinto alla fine i leader cinesi a spostare la loro attenzione dall’eccesso di popolazione alla crisi dell’invecchiamento. Tuttavia, sembrano ancora minimizzare la gravità della situazione poiché le cifre ufficiali sulla popolazione – e persino le proiezioni delle Nazioni Unite – rimangono grossolanamente esagerate. Con l’invecchiamento e il ridimensionamento della forza lavoro, la crescita economica rallenterà e ridurrà le entrate governative mentre la crescente popolazione anziana farà lievitare i costi pensionistici.
Con troppi pochi lavoratori per sostenere il sistema, nessuna manovra politica o contabilità creativa può evitare la crisi pensionistica. Nel 1980 c’erano undici lavoratori tra i venti e sessantaquattro anni per ogni persona con sessantacinque o più anni; questo rapporto è sceso a 4,3 ed è previsto scendere a 2 entro il 2041 e 1,5 entro il 2051. Negli Stati Uniti tale rapporto è diminuito da 5,2 nel 1980 a 3,2 ed è previsto raggiungere 2,6 entro il 2041 e 2,4 entro il 2051; nel Regno Unito il rapporto di dipendenza è diminuito dal 1980 da 3,7 a 2,9 ed è previsto diminuire ulteriormente fino a 2,4 nel 2041 e 2,2 nel 2051.
Data la sua sfida demografica, la Cina dovrà continuare ad aumentare l’età pensionabile; ciò potrebbe potenzialmente scatenare disordini civili e instabilità politica.
Abbandonati in tarda età
Le donne sopportano sproporzionatamente i costi dei bassi tassi di fertilità e delle popolazioni anziane perché vivono più a lungo degli uomini ma affrontano maggiori problemi di salute. Con pensioni troppo basse per coprire i loro bisogni fondamentali, molte donne anziane sono costrette a continuare a lavorare oltre l’età pensionabile. Questo è evidente in Giappone, dove il tasso di occupazione delle donne tra i sessanta e sessantaquattro anni è aumentato dal 38 per cento nel 2003 al 64 per cento nel 2023; ed è particolarmente vero in Cina dove la politica del figlio unico non solo ha privato le donne del diritto ad avere più figli ma ha anche condannato molte alla povertà e alla precarietà nella vecchiaia.
La Cina rappresenta quindi un caso di studio degli effetti di lungo termine di una restrizione demografica autoinflitta. Per evitare che la crescita affondi, il paese dovrà correre e spostare sempre più in là la frontiera tecnologica e lo sviluppo della produttività. Contemporaneamente, serviranno crescenti risorse di welfare per sostenere una popolazione sempre più anziana, soprattutto donne, e con minori possibilità di fruire in età avanzata del sostegno di figli che non hanno avuto. Il tutto si somma allo scoppio di una imponente bolla immobiliare, che minaccia di deflazionare l’economia per molti anni a venire, e di un modello di sviluppo in cui il regime punta alla crescita ma si ingerisce pesantemente negli affari delle aziende di successo, come accaduto con la tecnologia. Un mix di criticità altamente tossico.
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