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 Home page > Tribuna Libera > Chi ha paura del desiderio?

Chi ha paura del desiderio?

In realtà, "la storia umana è la storia dei Desideri desiderati". Forse è questo tipo di desiderio che inaugura e muove la storia umana.

È quel desiderio che Alexabdre Kojève chiama "antropogeno", cioè non il desiderio di una cosa specifica ma il desiderio del desiderio dell'altro.

Non a caso, filosofo Boris Groys pone la questione del desiderio come nodo centrale del suo recente e prezioso libro sui sistemi di cura e sulla cura di sé (Filosofia della cura, Timeo ed.). A tale scopo ci invita a riscoprire e riconsiderare alcune tesi di Alexandre Kojève e del suo allievo Georges Bataille.

Alexandre Kojève, con Hegel ma oltre Hegel, (Introduzione alla lettura di Hegel Adelphi) ritiene che la storia del mondo - e la storia politica - non sia mossa né dalla ragione, né dalla ricerca della libertà, ma dal desiderio di riconoscimento del singolo.

"L'autocoscienza e la realtà umana sono in fin dei conti funzione del desiderio di riconoscimento", scrive, rileggendo e reinterpretando il conflitto delle due Autocoscienze della Fenomenologia dello Spirito di Hegel.

Soprattutto, nel tempo post-storico, sembra che i corpi storici (o corpi fisici) siano stati abbandonati dallo spirito e non siano più pronti a mettere a rischio la propria vita nel nome delle idee, dei progetti e delle utopie rivolte al futuro. Dal momento che tutte queste idee e utopie vengpno percepite oggi come relegate al passato.

Siamo davvero diventati una popolazione post-storica interessata solo al consumo, alla soddistazione dei bisogni animali, e per questo abbiamo perso le abilità della critica e della riflessione, come scrive Kojève?

Se la fine della storia in quanto rivelazione della libertà umana è stata raggiunta- per dirla con Hegel e con molti fenomenologi e pensatori attuali - allora l'unico obiettivo che resta all'umanità è forse preservare i singoli corpi degli individui e affidarsi alla "cura" dello Stato? Magari di uno Stato forte?

Ancora di più, se riflettiamo sul fatto, evidenziato da Boris Groys, che anche la Chiesa (e le chiese) oggi sembra sia stata destituita dallo Stato post-storico diventato uno stato "pastorale".

È questo che sta accadendo oggi? È, questo considerare chiusa la storia della libertà insieme al venir meno del desiderare antropogeno, che spiega il rigurgito di autoritarismi e simpatie per regimi autocratci, da parte di popoli, partiti e governanti? 

Stiamo assistendo al consolidarsi, nella realtà e nell'immaginario collettivo, di un tipo di "stato pastorale" il cui vero obiettivo alla fine non è rendere possibile la conoscenza o la contemplazione della verità, ma garantire solo la salute e la sicurezza della popolazione?

Stiamo assistendo al configurarsi di un tipo di Stato che si prefigge solo di "proteggere" i corpi dei cittadini da una "morte autoinflitta", cioè, in sostanza, dalla libertà "distruttrice" che costituisce l'essenza delle loro soggettività?

Secondo Kojève l'uomo post-storico non riconosce più neppure l'hegeliana opposizione alla Natura perché il desiderio di riconoscimento, che causava l'opposizione viene considerato ormai soddisfatto. In effetti, la scomparsa dell'uomo storico sembra rendere obsolete anche le nozioni tradizionali di arte, amore e gioco fino a depotenziare anche il linguaggio (o a primitivizzarlo?).

Siamo diventati una popolazione post-storica ridotta a semplici consumatori che lavorano solo perché il lavoro permette loro di consumare?

In effetti, nel contesto di una civiltà tecnologica, i desideri "animali" devono essere repressi o limitati, La verità è che quando un animale ha un desiderio smette di lavorare e cerca di soddisfarlo. Il che significa - osserva Boris Groys - che, nell'ottica della società tecnologica, il desiderio non è sano.

Il sistema di cura infatti ha anche lo scopo di ovviare a questo tipo di malattia. Alla fine, il desiderio del cibo e altre forme di desiderio corporeo interrompono tanto il processo lavorativo quanto quello contemplativo.

 

In relazione al lavoro (in funzione del quale lo stato sociale cura i suoi cittadini) desiderare equivale ad ammalarsi. Infatti, il desiderare distoglie l'attenzione del lavoratore dal processo lavorativo, deviandola verso il suo corpo

Dovremmo rassegnarci quindi alla morte del desiderio ubbidendo al marketing dell’immaginario che sposta il “desiderare” nel campo di semplici “procedure”, in vista di “obiettivi” facilmente individuabili?

La contrapposizione hegeliana tra spirito e corpo, diventa secondo Alexandre Kojève, (tra i maggiori e più originali interpreti di Hegel), nella civiltà tecnologica, contrapposizione tra l'uomo in quanto macchina e l'uomo in quanto animale.

Oggi, desiderio si va definendo quindi, per Alexandre Kojève, come la capacità dell'essere umano desiderante di sfuggire al sistema della "cura" e di lottare fino alla fine per la soddisfazione dei suoi desideri.

Anche se la soppressione dei desideri può aiutare l'individuo a vivere più a lungo, forse per l'uomo la longevità e la sopravvivenza non sono valori supremi.

A tale proposito, Georges Bataille, allievo di Kojève, introduce sulla questione del desiderio, un ulteriore elemento che, come pensa Boris Groys, sembra completare il discorso del maestro.

Per Bataille il desiderio è quel surplus di energie che spinge il soggetto a ribellarsi alla routine lavorativa e al sistema della cura. Però, diversamente da Nietzsche, ritiene che il surplus di energia non provenga tanto dall'interno di un corpo dotato di grande salute e potenza, ma dall'esterno, dall'energia cosmica che circola sulla superficie della terra (George Bataille La parte maledetta).

Questa energia è tanta da non poter essere assorbita o esaurita solo nel lavoro, nella produzione o nell'accumulazione, bensì anche nel consumo, nel lusso e nello spreco. È ciò che Bataille chiama "economia generale".

Il desiderio quindi non è quello che si limita a rinnovare l'energia necessaria a riorendere il lavoro; il desiderio è quello capace di renderci completamente disfunzionali.

Potremmo asicurarci uma possibilità di futuro senza mantenere una qualche forma di disfunzionalità o di interruzione?

Senza, cioè, lasciare che la "prosa ordinaria" del mondo presente, venga "interrotta", deostruita, ripensata, per poter poi ripartire, trasformati, verso una qualche direzione?

E se "desiderare" fosse essenzialmente questo?

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