Centocinquant’anni di divisioni ed un futuro incerto

Non condivido questa frase di Montanelli; è semmai vero il contrario: in barba alle centocinquanta primavere che festeggerà fra pochi giorni, l’Italia non esiste. Non esiste perché divisa e lacerata dall’economia e dal progresso che negano la “dignità sociale” di chi non è nato nella giusta città o con le parentele giuste. Non esiste, perché non può esistere un paese moderno e democratico, in cui lo Stato non ha il monopolio della forza su ampie porzioni del territorio nazionale, in cui altri potentati, chiamati mafie, hanno una propria autonoma struttura di comando, proprie tasse e proprio esercito, diversi da quelli nazionali. Non esiste l’Italia perché nessuno si sente italiano: siamo fiorentini, romani, siciliani, milanesi e bergamaschi e altoatesini. Del resto non v’è traccia di alcun interesse nazionale: non nella politica, sempre più volta a realizzare e tutelare gli interessi dei pochi rispetto al bene comune, non nel diritto che non viene applicato secondo uguaglianza ma alla bisogna.
Esistono gli italiani, invece, da molto prima della supposta data fondativa del Paese, esistono caratterialmente, coerenti con se stessi, immortalati da Dante, da Machiavelli, da Leopardi. Sono i furbi che fanno la figura di mandare avanti l’italia e i fessi che lavorano, pagano e crepano che, un altro grandissimo giornalista italiano, quel Giuseppe Prezzolini che di Montanelli fu maestro, seppe brillantemente ritrarre; destinati ad esser vili prevaricatori o martiri silenziosi della secolare incapacità di farsi Nazione, incapaci di cogliere il senso del bene o dell’interesse comune (dividersi sempre e su tutto per il nostro ”particulare” sarebbe la nostra principale caratteristica, secondo Guicciardini e secondo Montanelli che amava citarlo). Gli italiani esistono e hanno un motto secolare che è la traduzione letterale dell’istinto di sopravvivenza, loro principale caratteristica: “o Franza o Spagna purché se magna”. Hanno una serie nitida di icone cinematografiche nelle maschere di Totò e Alberto Sordi, che hanno nobilitato ogni vizio e ogni difetto degli Italiani, banalizzando tutto in farsa, come del resto è sempre stato nella rappresentazione dei vizi italici: ciò che è tragedia diventa farsa, ciò che è opera diventa opera buffa. E forse questo, saper ridere di se stessi, è un gran pregio, uno dei tanti che gli Italiani hanno. Perché se così non fosse, se non fossero a loro modo un gran popolo, non avrebbero resistito a secoli di divisioni, domini stranieri e particolarismi e a centocinquant’anni di piccole e grandi vergogne. Non avrebbero retto la fuga di un Re-Imperatore se non avessero la dignità che spesso è mancata ai loro governanti, non sarebbero sopravvissuti al tradimento di un Duce in fuga con la divisa dell’esercito di un altro paese, se non avessero innati forza di volontà e ottimismo, non avrebbero potuto sopportare la fuga e la successiva riabilitazione di un Primo Ministro morto latitante, se non avessero la virtù del perdono. Sono uomini e donne di cuore e buona volontà e, con il sudore della fronte, hanno ricostruito due volte ancora un paese, da sempre scenario di guerre, battaglie e invasioni, devastato dalle due guerre mondiali. E poi hanno esportato la loro simpatia nel mondo, sono stati protagonisti di storie di successo e hanno illuminato le arti. Hanno lasciato e lasciano un marchio indelebile al loro passaggio, non passano mai inosservati, nel bene e nel male, sono oggetto e fonte di sentimenti estremi, puro odio o puro amore.
Montanelli stesso, negli ultimi anni, si era convinto che le sorti dell’Italia fossero scisse da quelle dei suoi cittadini, che per l’Italia non ci fosse futuro e che invece per gli Italiani il futuro sarebbe stato brillantissimo. Ecco, su questo punto è facile convenire: gli italiani sopravviveranno, è pure probabile che tornino a brillare. Quello che dovremmo augurarci è che il prossimo successo sia la costruzione, finalmente, di un grande paese: la fondazione dell’Italia.
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