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Catania: in via Bernini alcune famiglie romene resistono... nell’indifferenza generale

Eppure resistono, in alcune famiglie.

La gran parte degli “occupanti” delle palazzine di via Bernini - ignobilmente lasciate a marcire, mai utilizzate dal Comune dall’acquisto del 98 – si sono disperse nel ventre oscuro della città.

Resistono, “armati” solo dal dolce, triste e disarmante sorriso dei loro bimbi, che accoglie i rarissimi “visitatori” esterni, sperando in buone notizie.

Costretti, dall’ira del cemento che ha murato tutti gli ingressi, a posare le loro misere cose di vita quotidiana sugli ampi selciati che si affacciano sulla strada: materassi lerci e bisunti, guanciali, sedie, cucinini di campo arrugginiti, cose di sussistenze, “giocattoli” e quant’altro frutto della scarto della società opulenta; così, all’aria aperta; tanto per gradire agli sguardi dei cittadini “perbene” che satolli sconoscono il concetto e la materialità della povertà. Qualche tendone svolge il compito di difendere la pudicizia umana.

Resistono, da esseri umani gridano il loro diritto alla vita.

Sono gli ultimi degli ultimi, fuori da qualsiasi reticolo della rete di civico sostegno e solidarietà costruita in Italia nel corso dei tanti decenni che hanno caratterizzato il percorso democratico scandito dalla Costituzione ormai fortemente obnubilata nelle rese operative; come bene appreso da tanti cittadini, sulla loro pelle.

Sono cittadini europei che dovrebbero essere coperti dai principi e dalle regole comunitarie. Però, qui, siamo all’estremo sud del sud del continente, ove per lo più valgono le “regole” e gli usi e costumi locali. 

Nella stragrande maggioranza provengono dalla Romania e dalla Bulgaria, facenti parte dell’Unione Europea dal 2007. Nel corso degli anni in milioni si sono riversati in “Europa” e in Italia per trovare uno spazio di vita (avvenne già per gli italiani che già dalla fine dell’800 furono costretti, a decine di milioni, a lasciare il loro paese... in tanti “trovarono” miseria e povertà).

Due settimane addietro un rilevante articolo di un quotidiano nazionale (Il Manifesto) ha evidenziato le gravissime contraddizioni sociali della Romania. Solo a Bucarest (la capitale) ci sono oltre 1500 bambini “di strada”, veri e propri clochard, totalmente abbandonati a se stessi, la gente si sta abituando alla presenza dei ragazzi perduti, sempre più invisibili agli occhi dei passanti (...) c’è un altro esercito invisibile di ragazzi abbandonati, sono 70 mila e alloggiano negli istituti per i senza famiglia di tutta la Romania”, “ci sono i bambini disabili che vivono in strutture lager impossibili da visitare, sono soprattutto rom, gruppo etnico che ha risentito di più della crisi economica arrivata nel 2009”.

L’umana comunità di via Bernini, circa 150 persone organizzate in famiglie (come quelle tante decantate nel nostro paese), pensava di fuggire da questo amaro destino. Sono quelli che frugano nei bidoni, “ladri” della nostra spazzatura per usi di riciclaggio, e dei ferrivecchi abbandonati, che fanno musica improvvisata con fisarmoniche e trombe, che praticano il più antico mestiere del mondo: l’elemosina; che tentano di trovare una qualsivoglia attività lavorativa. Le giovanissime, ma non fanno parte della comunità di via Bernini, si mettono in vendita e al soldo delle appassionate voglie maschie nostrane.

Non sono solo loro. In molte centinaia, forse quasi in mille, che vivono nelle baraccopoli o che hanno per “tetto” la strada, nel loro vagare per soddisfare gli elementari requisiti della vita, sono venuti a Catania - rom ed altri - pensando di trovare ospitalità ed accoglienza. Lo affermano i dettami del Vangelo (per chi è credente) e della Costituzione.

La città, invece, in tutte le sue componenti istituzionali e sociali e nelle articolazioni laiche ed ecclesiali, è essenzialmente sorda. Di già, di norma, i suoi cento e più microcosmi compositivi non dialogano tra loro, ognuno si fa i fattacci propri, nell’inno del più bieco corporativismo. Se non fosse stato così, Catania non si troverebbe nello strutturale marasma etico e sociale che la caratterizza, ove, in aggiunta all’infima vivibilità generale, coesistono grandi e stridenti sacche di ricchezza e povertà.

In questo quadro le palazzine di Via Bernini è meglio occluderle ( al costo di euro 30.000) che non, con minimale intervento, adibirle ad uso di tetto per gli “sventurati”.

C’è in città una enorme agglomerazione “muraria” di tipo pubblico, in conto delle tante entità, non proficuamente utilizzata, lasciata in disuso, chiusa, che potrebbe essere adibita ad uso abitativo per i bisognosi: spazi e mura ex militari utilizzati precedentemente a caserme, l’edificio ex manifatturiera dei tabacchi, luoghi ecclesiali scarsamente usati, e tanti altri casi ancora. E, poi, ci sono le parti private.

Però, nulla si fa. Le mura devono restare chiuse e gli umani bisognosi devono “alloggiare” in strada, novelli lager all’aperto.

La comunità cittadina presta molto più attenzione agli altri esseri viventi, come i nostri amici a quattro zampe che, nell’egoismo sociale ormai imperante, allietano la nostra solitudine casalinga.

Gli altri, gli umani a due zampe, sono considerati esseri invisibili. Quindi, la coscienza tace.

Già, “se questo è un uomo”, affermava Primo Levi!

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