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Caselli: "La magistratura è attaccata violentemente e volgarmente"

A Mantova il procuratore capo della Repubblica di Torino, Gian Carlo Caselli, denuncia: “La magistratura è spesso attaccata violentemente e volgarmente”. Evidenzia che una magistratura autonoma e indipendente è uno dei principali presidi previsti dalla Costituzione a garanzia dei diritti di ogni cittadino. Per il magistrato occorre “respingere le falsità e la delegittimazione” e “difendere la Costituzione”. “Il silenzio” dice “non è consentito”. E ricordando che la legge è uguale per tutti spiega: “Sì, sono una toga rossa se ciò significa non guardare in faccia nessuno e rispettare la legge applicandola con la Costituzione in mano”.

“Posso avere tanti difetti e limiti, e li ho sicuramente, però ho sempre cercato di non guardare da un’altra parte, di tenere la posizione, sia sul versante professionale sia su quello della partecipazione al dibattito politico-culturale sui temi della giustizia, della legalità, di ciò che si può meglio fare come magistrato per corrispondere all’esigenza di giustizia della collettività”. Lo ha detto Gian Carlo Caselli, attuale procuratore capo della Repubblica di Torino, nel corso di una conferenza sulla legalità organizzata a Mantova da Libera, Acli, Libertà e Giustizia, riferendosi ai suoi quarant’anni in magistratura, dieci dei quali lo hanno visto impegnato sul fronte dell’antiterrorismo e sette a dirigere con ottimi risultati, nella lotta contro la mafia, la procura di Palermo, “dove ho scelto io di andare, ho chiesto io di essere mandato dopo le stragi che avevano causato la morte di Falcone e Borsellino”.

Caselli è un magistrato che non ama vivere chiuso nel Palazzo di Giustizia, dentro una campana di vetro, ma ritiene fondamentale anche il confronto con la gente. Come sempre, ha ponderato le parole e si è mostrato diretto e risoluto, consapevole che in un periodo particolare di emergenza democratica come questo nessuno può rimanere zitto. Così ha denunciato: “Viviamo momenti di crisi della legalità, la magistratura è spesso, spessissimo, attaccata violentemente, volgarmente. Il silenzio, allora, non è consentito. Cercare di utilizzare tutti gli spazi per esprimere le proprie opinioni, per entrare in contrapposizione dialettica con chi cerca di propagandare delle falsità grossolane, in questa fase è importante. E’ una maniera come un’altra, sicuramente non l’ultima, per cercare di far sì che la Costituzione parli quel linguaggio di verità, di concretezza, di crescita per quanto concerne i diritti dei cittadini che è il suo contenuto essenziale. E perché tutto questo avvenga, la difesa di quella parte della Costituzione che comporta una magistratura autonoma e indipendente è davvero essenziale”.

Poi il magistrato ha condannato un vizio molto diffuso, purtroppo, nel nostro Paese, quello di confondere le acque rispetto alla questione centrale di un problema: “E’ un malvezzo tipicamente italico cercare di spostare l’attenzione rispetto a quello che dovrebbe essere il momento essenziale del discorso, del confronto, della valutazione del giudizio. Se un magistrato si occupa di un noto personaggio politico, nell’ipotesi di accusa corrotto o colluso con la mafia, il problema nel nostro Paese non è se è vera l’ipotesi di corruzione o di collusione con la mafia, il problema non è se i fatti sui quali il magistrato sta indagando sono veri, ma diventa un altro: cercare di appioppare a quel magistrato (e le tecniche di comunicazione sono sofisticate da questo punto di vista, ormai) un’etichetta di appartenenza politica fasulla per svalutare fin da prima, nel momento stesso in cui comincia, il suo lavoro e quindi delegittimare gli esiti, eventualmente, cui pervenga”.

Gian Carlo Caselli ha ricordato che “la legge è uguale per tutti” è un principio “scolpito” nella nostra Costituzione e che l’accertamento penale da parte del magistrato, ricorrendo i presupposti in fatto e in diritto, deve riguardare qualunque soggetto, indipendentemente dalla sua collocazione politica, sociale, economica e istituzionale. “Il magistrato” ha affermato “non deve muoversi in un caso e stare fermo in un altro”. Ha evidenziato che in Italia se un magistrato, adempiendo il suo dovere, si occupa di un politico, paradossalmente “è il magistrato che fa politica, e il problema non è il politico accusato di queste cose…”. Dunque, si assiste ad un “rovesciamento della logica”. Perciò, ecco che “scattano le accuse di toga rossa tutte le volte che un magistrato si occupa di qualcuno che non ci sta ad essere sottoposto al controllo di legalità. E’ una storia vecchia quanto il mondo giudiziario italiano…”.

A tal proposito ha richiamato alla memoria gli ostacoli e le angherie che anche il giudice Falcone, a suo tempo, dovette subire: “Il mitico Giovanni Falcone, l’eroe, perché ha pagato con la vita la sua onestà, serietà, professionalità, la sua straordinaria tenacia, quand’era in vita assieme agli altri componenti del pool del tribunale di Palermo fu bastonato professionalmente parlando. Il suo metodo di lavoro vincente fu azzerato. Falcone e gli altri furono umiliati. Falcone fu costretto, ad un certo punto della sua vicenda giudiziaria-professionale, ad abbandonare Palermo perché tutte le porte a Palermo si erano chiuse per lui. Non c’era più posto per lui a Palermo. E se voleva continuare l’Antimafia, e lui voleva continuare, dovette emigrare letteralmente. Chiese una specie di asilo politico-giudiziario a Roma al ministero perché a Palermo nessuno lo voleva, questo mito oggi”.

E Caselli ha spiegato il motivo per il quale nessuno voleva più Falcone: “Perché stava sconfiggendo la mafia, e ad un certo punto si occupa anche di Ciancimino padre (sindaco ma soprattutto assessore all’urbanistica di Palermo, responsabile di uno scempio urbanistico di quella bellissima città), dei cugini Salvo (esattori delle imposte per l’intera isola, una potenza non solo economica ma anche politica per l’isola e per l’intera componente area andreottiana) e dei cavalieri del lavoro di Catania (imprenditori catanesi che avevano attività economiche in ogni parte d’Italia). Quando Falcone e Borsellino si occupano non più soltanto di boss di strada, di mafiosi con coppola e lupara, ma di mafia e politica, di mafia e affari, di mafia e istituzioni, non vanno più bene. E comincia una tempesta di calunnie”. Questo, pertanto, è proprio “un viziaccio antico”, ha dichiarato Caselli. E molti sono quelli che, secondo il magistrato torinese, cadono nella trappola: “Invece di guardare la luna, guardano il dito, il supposto colore della toga che viene inventato o utilizzato strumentalmente per denigrare, delegittimare, depotenziare l’azione giudiziaria che non si sopporta da parte di qualcuno”.

Riguardo alle continue e velenose accuse di essere una “toga rossa”, Caselli ha risposto così: “Sì, sono una toga rossa se toga rossa significa non guardare in faccia nessuno e rispettare la legge applicandola con la Costituzione in mano. Sì, sono una toga rossa e me ne vanto. Ma non sono una toga rossa nel senso di appartenenza a una determinata fazione e quindi di tendenza magari inconsapevole a strumentalizzare la funzione giudiziaria: questa è un’offesa, una calunnia”.

Ed ha aggiunto: “Se proprio vogliamo parlare di colore delle toghe, non vedo per quale motivo sempre e soltanto una certa propaganda debba fare riferimento alle toghe rosse. Nel nostro Paese ci sono anche toghe azzurre, toghe nere… Però, sia le toghe cosiddette rosse che quelle azzurre e nere fanno, fino a prova contraria, il loro dovere e basta, a prescindere da quello che può essere il loro orientamento politico-culturale che fa parte dei diritti del cittadino qualunque, compreso il cittadino magistrato”.

Poi ha puntualizzato la propria posizione: “Sono un esponente di Magistratura Democratica, sono magistrato non di sinistra ma un magistrato politicamente e culturalmente a sinistra, non lo nego, sarebbe assurdo. L’ho scritto, lo rivendico. Con tutto questo, lo sforzo mio e dei colleghi, quando si tratta di adempiere i doveri della propria professione, di basarsi soltanto sui fatti, sulle prove, questo nessuno me lo può contestare, e chi me lo contesta mi calunnia!”.

Caselli ha sottolineato con forza: “Non dimentichiamo che ci sono anche le toghe comprate, le toghe vendute. E coloro che accusano qualcuno, spesso e volentieri, di essere toga rossa, quando non scatta l’accusa di brigatismo giudiziario (una vergogna, anche questa formula è stata adoperata!), sono proprio coloro che secondo alcuni processi già definiti – se non personalmente, il loro entourage… – alcune toghe le hanno comprate per truccare determinati processi”.

Come riuscire a debellare i collegamenti, le connivenze, le collusioni tra potere economico, politico e mafioso? Il procuratore capo di Torino ha dichiarato: “Rendersi conto dei risultati che la Costituzione ha consentito di conseguire, per rendersi conto delle potenzialità straordinarie che possiede ancora oggi e, quindi, della necessità di difenderla, per tutto ciò che significa, in termini concreti di realtà quotidiana, difesa dei nostri diritti”.

Il magistrato ha voluto porre l’accento sul fatto che, accanto al “catalogo” di diritti presenti nella prima parte della Costituzione, nella Carta vi è anche una serie di presidi a tutela di tali diritti, “perché non siano soltanto parola scritta ma diventino realtà vera, concreta, quotidiana, un vantaggio nel momento in cui i diritti si trasformano in qualcosa di vero e autentico per ciascuno di noi, con ricadute estremamente positive sulla qualità della nostra vita”.

Per Gian Carlo Caselli tra i principali presidi contemplati dalla Costituzione vi è certamente “una magistratura autonoma e indipendente che sappia applicare la legge, alla luce della Costituzione, a 360 gradi, senza timori riverenziali per nessuno, senza paura di essere in qualche modo controllata, condizionata, magari anche sanzionata, da chi essendo economicamente, politicamente e culturalmente forte, non gradisce il controllo di legalità”.

Per Caselli difendere la Costituzione, dunque, significa "difendere noi stessi, i nostri diritti".

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