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Carta 08. La repressione cinese

"Carta 08" è un documento firmato dall’élite intellettuale e culturale cinese, ma anche da semplici cittadini quali contadini ed operai, che chiede al proprio governo maggiore democrazia e il rispetto della "Dichiarazione dei diritti dell’uomo".

Forte è il richiamo alla "Carta 77", documento firmato da intellettuali ed attivisti cechi e slovacchi, che premeva sul governo per il rispetto dei diritti umani.

"Carta 08" chiede al governo di Pechino ciò che la dirigenza comunista non è disposta a concedere: la democrazia.

Democrazia come possibilità di scegliere la propria dirigenza in base a ciò che i loro rappresentanti pensano liberamente, senza vincoli di partito e di ideologia.

Tra i firmatari del documento nei mesi scorsi, anche Liu Xiaobo, intellettuale molto noto per le sue pressioni sul governo, pressioni limitate esclusivamente alla sua voglia di esprimere pubblicamente il proprio dissenso.

Alla fine questo significa democrazia.

Liu Xiaobo è scomparso da mesi, si sa solo che è stato arrestato e poi trattenuto dalla polizia cinese dallo scorso dicembre.

Di Wang Lianxi, arrestato nel 1989 quale dissidente durante gli scontri a Piazza Tiananmen, si sa solo che è ancora rinchiuso in un ospedale psichiatrico, e sono trapelate voci secondo le quali il prigioniero è tenuto sotto l’effetto di "droghe sperimentali".

Intanto Pechino ha annunciato il "Piano d’azione per i diritti umani", che si propone di estendere i diritti d’espressione ad una larga fascia di popolazione, a cominciare sembrerebbe proprio da quella tibetana, lasciando qualche spiraglio in più alla libertà di culto: oppure agli uiguri, di religione islamica.

In verità il governo cinese ha stilato una serie di azioni da intraprendere da qui fino al 2011, con lo scopo di buttare fumo negli occhi agli Stati Uniti d’America ed al suo presidente Barack Obama, il quale chiede un cambiamento culturale alla Cina, e che vada al di là del suo prodotto interno lordo e dalle possibilità economiche che si avranno, a crisi finita, dall’altra parte della "Grande Muraglia".


Invece di programmare un "Piano d’Azione", come fa per il suo barbaro sviluppo economico, il governo comunista avrebbe potuto benissimo firmare la "Dichiarazione dei diritti dell’uomo", piuttosto che la moratoria contro la pena di morte.

Il 4 giugno si avvicina e il governo teme qualunque tipo di manifestazione diretta quanto meno anche solo a ricordare ciò che è accaduto in quella data di venti anni fa.

Certo la Cina oggi non è certamente quella del 1989.

I suoi grattacieli, la sua moderna tecnologia, la sua apertura al mercato occidentale o piuttosto la sua "invasione", lo sbarco del commercio e degli investimenti su di un suolo il cui potere politico si definisce comunque "comunista", non hanno certo a che fare con piazza Tiananmen?

Ed invece è proprio così.

Il 4 giugno del 1989 il mondo ha sognato la fine di un incubo durato oltre cinquant’anni e che ha umiliato le coscienze di ogni europeo, che ha annientato la volontà personale ed individuale nel nome del popolo e della volontà collettiva: il comunismo.

Sembra impensabile che la nazione dalla quale è partita la scintilla che ha infiammato la Germania prima, e l’Europa tutta poi, sia rimasta sotto il giogo politico di quell’ideologia.

L’Europa si è liberata da quell’incubo, ma i cinesi sono ancora lì, con la loro bandiera rossa con cinque stelle.

La Cina non rispetta nessuno dei trenta articoli della "Dichiarazione dei diritti dell’uomo".

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