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Capalbio addio

E’ stato addirittura scritto un libro, “L’era del cinghiale rosso”, di Giovanna Nuvoletti, per descrivere le abitudini della classe dirigente della “sinistra champagne”, che in questi ultimi anni ha gozzovigliato a Capalbio, sul litorale della bassa Toscana, compiacendosi dei suoi riti borghesi e delle sue colte conversazioni affacciate sul nulla.

Non leggerò il libro, ma una cosa è certa, che gli ozi capalbiesi, ormai ventennali e in declino come la sinistra, hanno significato fisicamente il distacco dal territorio, dal radicamento fra le masse popolari che era l’unico patrimonio della sinistra.

Le principali cause di questo fenomeno, che poi è un vero disastro, vanno cercate nell’origine del gruppo dirigente del PCI, i cui rappresentanti sono sempre stati di origine intellettuale e borghese, e una volta svaporato il partito comunista con la sua disciplina e le capillari iniziative sul territorio, che richiedevano soprattutto nel fine settimana la presenza dei dirigenti, ecco riaffiorare il desiderio di privilegio, di agi, di distrazioni, per un gruppo che si è trovato anche a disporre di parecchio denaro e quindi entrato nell’ottica di goderselo, alla faccia dei poveracci che li avevano votati, i cui interessi ed esigenze si sono progressivamente allontanati e sfumati.

Immaginate se la Chiesa, invece di essere costantemente presente su tutto il territorio, soprattutto la domenica, pronta ad ascoltare e ad alleviare le sofferenze di poveri cristi, avesse il comportamento dei rappresentati del proletariato, e si interessasse di barche a vela o di zuppa di pesce. Da subito sarebbe stata abbandonata e screditata per sempre.

Gli operai, i precari, i disoccupati, i pensionati poveri, sarebbe ora che si rendessero conto di una semplice verità, che non sono rappresentati da nessuno. Quelli che parlano a loro nome li tengono ben distanti dall’esercizio del potere, e sfido chiunque a sostenere che vi può essere democrazia laddove più del 50% della popolazione non ha rappresentanti diretti in Parlamento, e nella giusta proporzione del peso e del numero delle varie categorie.

Da uno specchietto a cura del l’Espresso di qualche mese fa intitolato “la radiografia del potere”, si legge che in Parlamento la categoria più rappresentata è quella degli avvocati e dai notai (151) percentuale del 15,86%, seguita dai docenti (146) percentuale del 15,34%, politici di professione e sindacalisti (107) pari all’11,21%, contro 5 operai, pari allo 0,74% e 15 pensionati pari all’1,58%.

Il 50% e più della popolazione italiana, quella che produce (non vi è nemmeno uno delle centinaia di migliaia di contadini), appartenente alle classi subalterne, non è fisicamente presente in politica.

Una opposizione antagonista al potere capitalista può nascere solo dal semplice fatto che le categorie di cui abbiamo parlato eleggano solo rappresentanti della propria classe e li mandino (per non più di due legislature) in Parlamento a sostenere i propri interessi, per poi tornare a fare il proprio mestiere, visto che uno dei grandi problemi della democrazia è quello dei politici di professione.

La storia e la decadenza del PCI e della sinistra ci insegnano che solo la rappresentanza e la difesa diretta dei propri interessi, senza intromissioni di intellettuali, ideologie, religione, può migliorare le condizioni degli schiavi salariati, dei disoccupati, dei precari, che devono scegliere di prendere sulle spalle il proprio destino, senza delegare più nulla.

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