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Call&Call Lokroi: 129 posti di lavoro sfumati

“Call&Call Lokroi” è un call center che si occupa di marketing telematico. Attivo in Calabria, ha deciso di ridimensionare l’azienda licenziando 129 operatori. Umberto Costamagna, fondatore e presidente di questa azienda, dal 2008 aveva assunto 1500 persone delocalizzando la sua attività a sud. Da dieci anni circa poi, operava sul territorio di Locri, dove erano state assunte 350 persone a tempo interminato. In una realtà come il sud, anche un solo posto di lavoro è una conquista.

Permette di organizzarsi la vita e a numerosi giovani di mettere su famiglia. In molti ci hanno creduto e chissà quanti progetti avranno costruito intorno a quel lavoro, simile a un filo di luce in una notte buia e tempestosa. Ovviamente le dinamiche politiche, che hanno ceduto il posto a quelle economiche, vanno in tutt’altra direzione, se il 18 settembre, dopo estenuanti trattative, l’azienda ha licenziato 129 lavoratori, che si sono ritrovati dalla sera alla mattina con una cuffia in mano e nessuna prospettiva all’orizzonte.

Le leggi di mercato sono sempre più stringenti e quando si vuol guadagnare risparmiando sulla manodopera, la parola d’ordine è delocalizzare e andare altrove. Quanto rimarranno dentro gli altri lavoratori non è dato sapere, l’unica cosa certa è che Call & Call si trasferirà a Lecce, rimanendo fedele alla sua filosofia di investire al sud, ma spostandosi un po’ più su e cioè in Puglia. Una vera doccia gelata che ripropone la drammatica crisi di un lavoro sempre più difficile da cercare e mantenere. Può un Paese senza nessun piano progettuale lavorativo, pensare di accontentare tanti giovani puntando sulla telefonia e facendogli avere l’illusione di aver raggiunto un piccolo traguardo? Certamente no, ma quello che scoraggia in questa vicenda, è il non aver visto gli altri operatori abbandonare sine die, la loro postazione per rimanere a fianco di quei 129 sfigati che hanno ricevuto la lettera di licenziamento. Sarebbe questa la solidarietà di prossimità, ben strombazzata da ambienti ecclesiali, che a quanto pare marcia a senso unico?

Forse le cose su cui bisognerebbe riflettere sono proprio queste. Negli ambienti dei call center la logica predominante è: fuori tu, dentro altri dieci che fanno la fila per contendersi un pezzo di pane raffermo pieno di vermi. Non si è sfiorati lontanamente dal dubbio, che quanto toccato ai propri colleghi prima o poi toccherà a coloro i quali si sentono al sicuro e mantengono quella postazione con le unghia e con i denti fregandosene di chi ha avuto la peggio La cultura del lavoro si è persa e si dovrebbe pronunciare simile parola con più rispetto senza creare altre illusioni quando si parla di sviluppo e cultura.

C’è stato un tempo in cui la panacea a tutti i mali possibili erano i call center, oggi che i manager aziendali fanno la valigia e vanno altrove dove ci sono incentivi e ricavi per loro, si abbandona il campo lasciando sul posto tanti zombie, condannati a non averlo più un futuro, anzi si reprime tanta rabbia che non si capisce bene in cosa sfocerà. Le colpe se ci sono vanno cercate in più direzioni e diciamolo pure, anche i sindacati si arrampicano sugli specchi, incapaci di difendere tanti lavoratori diventati delle pedine da spostare a proprio piacimento ove ne sussista la necessità. Intanto la Calabria descritta come l’Olimpo al tempo degli dei per bellezza e grandi potenzialità finisce per annegare in un mare marrone con il rischio di affogare. Tante belle parole, ma la decadenza di questa regione si è materializzata e si tocca ovunque con mano. Le parole non servono più. 

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