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Calciatori sotto tiro. 8° Report dell’Associazione Italiana Calciatori

L’Associazione Italiana Calciatori a partire dalla stagione 2013/2014 ha deciso di istituire un Osservatorio con l’obiettivo di censire le violenze, le intimidazioni e le minacce compiute nei confronti dei calciatori, sia professionisti che dilettanti.

di Giovanni Caprio

(Foto di Associazione Italiana Calciatori )

 Al termine di ogni stagione sportiva, l’Osservatorio raccoglie gli episodi censiti e redige un Rapporto intitolato “Calciatori sotto tiro”, in cui si riportano dati, storie, analisi, focus su casi particolari, unitamente a contributi di dirigenti dell’AIC, del mondo del calcio, di esperti di prevenzione e contrasto alla violenza e alla criminalità. Il lavoro svolto dall’Osservatorio AIC ha contribuito in questi anni di attività a portare all’attenzione pubblica un fenomeno particolarmente preoccupante e diffuso nel mondo del calcio.

Nella stagione 2021/2022, raccogliendo informazioni da fonti pubbliche o segnalazioni dirette, l’Associazione Italiana Calciatori ha censito 121 casi in cui i calciatori sono stati fatti oggetto di offese, minacce e intimidazioni. Come specificato in ogni edizione del Report, molto probabilmente il numero degli episodi è stato decisamente superiore. Purtroppo non tutto ciò che accade viene denunciato, per paura degli atleti, per il tentativo di risolvere le questioni senza generare ulteriori “problematiche” o semplicemente perché si considera che la violenza faccia parte del “gioco” di essere calciatori.

Nell’85% dei casi censiti, i campionati più a rischio sono stati quelli professionistici. La Serie A, con quasi 7 casi su 10 (68%), è il campionato dove i calciatori sono finiti maggiormente nel mirino degli ultras. Nei campionati dilettantistici, il picco si registra nei campionati di Terza Categoria e di Eccellenza. In questi contesti, i calciatori più bersagliati sono stati quelli stranieri e di colore e i casi ricollegabili al razzismo risultano la netta maggioranza. I calciatori sono stati presi di mira principalmente come singoli [83%] e soprattutto dentro gli stadi [60%]. Qui calciatori sono stati offesi, intimiditi e minacciati ricorrendo principalmente a cori [36%] e insulti verbali [22%], a volte anche durante interviste o al rientro negli spogliatoi. Una costante è il lancio di oggetti in campo, persino un ordigno esplosivo; non mancano però il richiamo sotto la curva con l’esplicito intento di intimidazione o umiliazione “simbolica”, gli striscioni offensivi fuori dai centri di allenamento o dagli stadi, i danni e gli assalti ai mezzi di trasporto (anche alle auto dei calciatori, come avvenuto in una partita del campionato di Eccellenza). Fuori dagli stadi invece i calciatori sono stati aggrediti anche in presenza dei figli e in alcuni casi persino inseguiti e spogliati al termine della partita.

I social network si confermano strumento per esercitare odio e violenza verbale e psicologica, ma anche circostanziate intimidazioni (9%), dagli “auguri” di morte o di incurabili malattie alle minacce a famigliari. Solo in rari casi sono stati individuati e puniti gli haters, visto il frequente utilizzo di profili falsi. Alcuni calciatori hanno scelto di chiudere i propri profili social, considerato anche che questi sono stati usati come fonte per pianificare furti, rapine in casa o durante gli spostamenti per allenamenti o attività sociali

Le “cattive” prestazioni restano la principale motivazione di insulti, minacce e intimidazioni. Segue il razzismo, spesso legato a matrice di dichiarata ispirazione nazi-fascista e in ultima analisi il cambio di maglia non gradito. Non è mancato, persino, il caso di intimidazione ad un calciatore ritenuto “no vax” in quanto, a giudizio dei tifosi, la sua scelta (mai confermata) avrebbe potuto mettere a repentaglio i compagni di squadra ed il regolare svolgimento delle partite. Non di rado le minacce scattano quando l’atleta è ritenuto non più “gradito”. I calciatori di colore sono il primo bersaglio dei casi di razzismo (39%), ma anche quelli dei Balcani (11%) o dell’America Latina (8%). Per i calciatori italiani, spesso l’insulto è legato alla provenienza dalle regioni meridionali. Nel 64% dei casi sono i tifosi avversari a rendersi autori degli atti, eppure in un caso su tre sono tifosi “amici”. Se si guarda alla distribuzione geografica dei casi, la Lombardia (26%) è la Regione e il Nord (49%) l’area geografica che risultano più a rischio. Segue la Campania con Veneto e Lazio (12%).

Ancora una volta il Rapporto evidenzia come questo triste fenomeno non abbia confini geografici o sportivi: si insulta, si minaccia e si intimidisce al Nord come al Centro-Sud, nei campionati giovanili e in Serie A. Cori razzisti e messaggi xenofobi, insulti verbali e minacce fisiche, in particolare verso i calciatori di vertice e con una concentrazione verso gli atleti stranieri, si riscontrano un po’ ovunque nel Paese. Gli autori agiscono prevalentemente in gruppo, facendosi forza della concreta possibilità di non essere riconosciuti o denunciati. Alcuni calciatori e società hanno cominciato a denunciare e stigmatizzare mediaticamente gli episodi, anche collaborando con le forze di polizia e fornendo i filmati ripresi dalle telecamere presenti negli stadi e questo ha consentito di individuare gli autori degli episodi. Anche i sindaci in alcuni casi hanno pubblicamente condannato i fatti più incresciosi.

Sono tanti i “mali del calcio”: corruzione, riciclaggio, conflitti di interesse, condizioni finanziarie disastrose, doping, “calcioscommesse” e così via. Mali che affliggono sia il calcio italiano che quello europeo e stanno compromettendo definitivamente il “gioco più bello del mondo”. Gioco del calcio che è sempre meno gioco e sempre meno sport e sempre di più solo giro vorticoso d’affari con cifre da capogiro tra diritti televisivi, plusvalenze nella compravendita dei giocatori, sponsor e attività commerciali. Tutti gli sport hanno limiti e difficoltà, ma gli illeciti sportivi e amministrativi, la violenza diffusa a qualsiasi livello dentro e fuori dal campo e il progressivo impoverimento culturale e valoriale che hanno colpito da tempo il mondo del calcio non si rinvengono in nessun’altra disciplina sportiva. E la gravità degli episodi violenti, che si ripetono ormai anno dopo anno, rapporto dopo rapporto, sono la “cifra” di questo triste declino. Episodi che non possono essere assolutamente minimizzati, ma che necessitano al contrario della massima attenzione generale e richiedono una maggiore incisività negli interventi, a partire dalla prevenzione e da un processo culturale che insegni la loro estraneità allo sport. Un processo culturale che dovrebbe però rimettere in discussione tutta l’impalcatura di affari e malaffare che regge il calcio attuale e avere anche il coraggio di fare pulizia rispetto a un certo “tifo organizzato” non sempre del tutto estraneo a pericolose infiltrazioni malavitose.

Qui il Rapporto completo.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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