BitRock, il trionfo della finanza
Il dado è tratto: BlackRock suggerisce e quantifica l'inserimento del bitcoin nei portafogli di investimento. La finanza ha vinto, nasce un super warrant "limited edition" per mietere commissioni sino alla deflagrazione finale.
Una settimana prima di Natale, BlackRock ha pubblicato una nota di ricerca, intitolata a mo’ di calembour “Diversifying our portfolio diversifiers“. In sintesi, la premessa è che le obbligazioni non sono più viste come un efficace elemento di diversificazione del rischio e bisognerebbe guardare altrove. Ad esempio, all’oro e al bitcoin. Non per sostituire i bond, ma per ottenere esposizione a differenti driver di rischio e rendimento.
Diversificazione e rivoluzione
Già esposta in questi termini, la tesi non appare molto lineare: diversifichiamo ma non per sostituire, e così speriamo di voi. Quello che conta, e che per certi aspetti è “storico”, è il fatto che il Bitcoin entri ufficialmente nella costruzione di portafoglio. Qualcuno potrebbe obiettare che è naturale che sia così da parte di BlackRock, che dopo tutto ha sul mercato un mastodontico ETF sul Bitcoin spot, quindi inquadrare la criptovaluta in una logica di portafoglio sarebbe la naturale conseguenza.
Un asset entra in portafoglio se la sua presenza serve ad aumentarne il rendimento a parità di rischio o ridurne il rischio a parità di rendimento. Per dimostrare ciò, gli analisti di BlackRock calcolano la correlazione a due anni dei ritorni settimanali di obbligazioni, oro e bitcoin contro azionario sviluppato, e trovano che in effetti quella del bitcoin è la minore:
I maliziosi potrebbero pensare che questo sia un caso di reverse engineering con cherry picking: partendo dalla tesi, trovare la conferma scegliendo i dati giusti, ad esempio in termini di finestra temporale delle correlazioni. Ma io non sono malizioso. Segue quella che quelli bravi chiamano investment proposition:
Come l’oro, il bitcoin potrebbe apprezzarsi nel tempo quando la sua offerta predeterminata incontra una crescente domanda. Ma la domanda di bitcoin si basa sulla convinzione degli investitori nel suo potenziale di essere adottato più ampiamente – ed è quindi centrale per il suo caso di investimento.
Che a me pare ragionamento piuttosto circolare. Quasiasi asset class, se adottata estensivamente, diventa attraente, spesso in un modo esplosivo, che abbia o meno offerta finita (nel breve termine, tutte hanno offerta finita, per definizione). Ma, anche qui, transeat. Segue elenco dei potenziali fattori di adozione:
Il bitcoin è decentralizzato, senza la possibilità diretta del governo di modificare l’offerta. È anche percepito come immune dagli effetti persistenti dei deficit di bilancio governativi, dell’aumento del debito e dell’inflazione crescente che erode il valore delle valute sovrane. Vediamo questi fattori rendere il bitcoin più attraente nel mondo di oggi, e potrebbe essere una fonte di rendimento più diversificata poiché i suoi driver di valore sono diversi rispetto agli attivi tradizionali.
Qui si conferma quello che dico da sempre sul bitcoin: il valore è negli occhi di chi compra. E questi “potenziali fattori di adozione” sembrano ulteriore razionalizzazione ex post della tesi di investimento, oltre che piuttosto banalotti, nessuno si offenda. Lo stesso vale per le avvertenze:
Tuttavia, rimane altamente volatile e vulnerabile a forti vendite. E il suo valore potrebbe crollare se non viene adottato ampiamente.
Budgeting di rischio
Mi ricorda le melense battute degli operatori di borsa di una volta: “scende perché ci sono più venditori che compratori”, e viceversa. A parte ciò, e felicemente superato l’ostacolo del test dei benefici di diversificazione, segue la domanda: quanto bitcoin mettere in portafoglio? Qui c’è il rimando a un paper della stessa BlackRock del 12 dicembre. Nel quale si legge:
Adottiamo un approccio di budgeting del rischio: dimensionando l’allocazione in base a quanto contribuirebbe al rischio totale del portafoglio – misurato dalla sua volatilità a lungo termine e dalla correlazione con altri asset. Il bitcoin non può essere confrontato con gli asset tradizionali. Ma da una prospettiva di costruzione del portafoglio, ha alcune somiglianze con il gruppo delle “magnifiche 7”, composto per lo più da titoli tecnologici a grande capitalizzazione. Il loro valore di mercato – in media 2.500 miliardi di dollari a dicembre 2024 – è simile a quello del bitcoin.
Poiché questi sette titoli ora rappresentano circa un quinto dell’intero indice MSCI World, forniscono un esempio di partecipazioni singole nel portafoglio che costituiscono una quota rispettabile del rischio complessivo del portafoglio. Si differenziano dal bitcoin in molti modi, ma questi due fattori li rendono un punto di partenza utile per valutare il rischio di una singola partecipazione. In un portafoglio tradizionale con un mix del 60% di azioni e 40% di obbligazioni, quei sette titoli – se mantenuti ai loro attuali pesi nell’MSCI World – ciascuno rappresenta in media il 4% del rischio complessivo del portafoglio.
Questa è circa la stessa quota che una esposizione dell’1-2% al bitcoin rappresenterebbe: anche se la correlazione del bitcoin con altri asset è relativamente bassa, è più volatile, rendendo il suo effetto sulla contribuzione totale al rischio simile nel complesso. Un’allocazione in bitcoin avrebbe il vantaggio di fornire una fonte diversificata di rischio, mentre un sovrappeso sulle magnifiche 7 aumenterebbe il rischio esistente e la concentrazione del portafoglio.
Eureka! Sono sinceramente ammirato: data la tesi, si cercano le giustificazioni in un modo che indica una creatività non comune. Certamente tale da giustificare le retribuzioni di chi le formula. Ma tutto si tiene: per il bitcoin serve un’adozione crescente e massiva, da retail e istituzionali, e quindi si elaborano le motivazioni al suo inserimento in portafoglio. Del resto, quello a cui abbiamo sin qui assistito è esattamente questo: correre ad allargare l’adozione, perché restare fermi potrebbe causare problemi. Ma problemi ben maggiori potrebbero sorgere sfruttando questa narrazione della “quantità finita” di bitcoin, che porta i commerciali della finanza a gridare “accattatevillo!”. Cioè una mega bolla.
Operazione warrant agli steroidi
Nel frattempo, osservo che i temi “tecnologici” sono spariti dal cripto-radar. Non leggo più ottimisti tecnofili che sentenziano che la blockchain è il futuro del genere umano, la killer application della certificazione di autenticità di qualsiasi atto e transazione. In effetti, un’eterna promessa. Ha vinto la investment proposition del cosiddetto oro digitale. Ma ormai quello che conta è che, come ho segnalato, il bitcoin è stato istituzionalizzato, al termine di una battaglia durata anni, e soprattutto ora vola sulle ali della grande finanza, che lo utilizza per estrarre commissioni.In pratica, niente più che un warrant agli steroidi, nel cui futuro c’è tuttavia il seme dell’autodistruzione: o estenderne l’adozione e spingerlo a dimensioni di bolla che causeranno crolli catastrofici al momento dello scoppio; oppure l’adozione ristagna, arretra e la bolla si sgonfia, sia pure in modo meno cruento. E comunque, essendo una leggendaria “quantità finita”, il capolinea a un certo punto arriva. E questa, i più perspicaci tra voi l’avranno riconosciuta: è la teoria del Greater Fool.
Ma resta il punto: ha vinto il bitcoin, nel senso delle motivazioni originarie? No, ha vinto la grande finanza, che era nella lista dei nemici mortali di chi ha sostenuto la filosofia del bitcoin.
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