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Australia: sì ai matrimoni gay, per fede o per ragione?

 

In que­sti gior­ni gira per i so­cial net­work questo video. 

Mo­stra il pri­mo mi­ni­stro del­l’Au­stra­lia, Ke­vin Rudd, in tri­bu­na elet­to­ra­le alle pre­se con una do­man­da di un pa­sto­re. Il sog­get­to sono i ma­tri­mo­ni omo­ses­sua­li: per­ché, pri­mo mi­ni­stro, ha cam­bia­to idea e ora sup­por­ta le unio­ni gay?

Tut­ti i com­men­ti che ho vi­sto ri­guar­do la per­for­man­ce di Rudd sono elo­gia­ti­vi, spes­so en­tu­sia­sti. Per­fi­no chi met­te in dub­bio la sua sin­ce­ri­tà ap­plau­de.

«Yes! Ke­vin Rudd. You’re an awe­so­me hu­man being. Thank you!»
«The Au­stra­lian pri­me mi­ni­ster slaps around a pa­stor on mar­ria­ge equa­li­ty.»
«What he has said is beau­ti­ful, and so, so, SO good for us»
«I don’t par­ti­cu­lar­ly like Ke­vin Rudd but I do con­gra­tu­la­te him on a ma­tu­re, en­lighte­ned re­spon­se to this que­stion.»
«One of the best an­swers from a po­li­ti­cian I’ve seen on the que­stion of gay mar­ria­ge»

Ma cosa ha det­to ve­ra­men­te? Per­ché ha cam­bia­to idea? Se si ascol­ta, gli “ar­go­men­ti” sono due:

  • omosessuali si nasce, non si sceglie di diventare; ergo è una condizione naturale; ergo deve essere una cosa buona
  • il principio fondamentale del Nuovo Testamento è amore universale: perché limitare a marito e moglie?

La pri­ma mo­ti­va­zio­ne è un in­trec­cio di non se­qui­tur fran­ca­men­te im­ba­raz­zan­te. Cosa vuol dire “na­tu­ra­le”? Per­ché “na­tu­ra­le = buo­no”? Si na­sce omo­ses­sua­li come si na­sce pe­do­fi­li? Al­lo­ra va bene an­che la pe­do­fi­lia? Si no­te­rà an­che che que­sto è il puro e sem­pli­ce ri­bal­ta­men­to del­l’ar­go­men­to del­l’in­na­tu­ra­li­tà che da anni ci sen­tia­mo ri­pro­por­re, e che non ci era mai pia­ciu­to. Ora ci pia­ce?

La se­con­da mo­ti­va­zio­ne è a base re­li­gio­sa, non­ché mol­to fu­mo­sa. E può es­se­re usa­ta per un’in­fi­ni­tà di al­tri casi: Ke­vin Rudd sarà an­che un con­vin­to po­lia­mo­ri­sta? Ne du­bi­to.

Quin­di, su qua­li basi il pri­mo mi­ni­stro ha cam­bia­to idea ri­guar­do i ma­tri­mo­ni omo­ses­sua­li (am­mes­so e non con­ces­so che non sia sta­to per con­ve­nien­za po­li­ti­ca — nel qual caso non gli è ser­vi­to a mol­to)? Non cer­to at­tra­ver­so una ana­li­si ra­zio­na­le: di­rei piut­to­sto che ha ra­zio­na­liz­za­to (male) una con­vin­zio­ne cui era ar­ri­va­to “di pan­cia”. Il che va be­nis­si­mo: ognu­no può con­vin­cer­si come vuo­le, e na­tu­ral­men­te sia­mo più fe­li­ci se la gen­te si con­vin­ce di cose con le qua­li sia­mo d’ac­cor­do: è la po­li­ti­ca.

Ma una as­so­cia­zio­ne come l’Uaar, che nel suo sta­tu­to si de­fi­ni­sce apo­li­ti­ca e per con­tro fi­lo­so­fi­ca, non ha for­se il do­ve­re di far no­ta­re che que­sta “con­ver­sio­ne” è del tut­to ir­ra­zio­na­le? Di sot­to­li­nea­re l’il­lo­gi­ci­tà de­gli ar­go­men­ti di Rudd, al di là del­la bon­tà dei ri­sul­ta­ti a cui giun­ge?

Non è un pro­ble­ma solo astrat­to. Qua­le sarà la po­si­zio­ne di Rudd su al­tri temi, come il fine vita, il te­sta­men­to bio­lo­gi­co, l’a­bor­to? Non ne ho idea: non se­guo la po­li­ti­ca au­stra­lia­na. Ma se i “ra­gio­na­men­ti” di Rudd sono di que­sto stam­po, non ho modo di pre­ve­de­re cosa può pen­sa­re in al­tri con­te­sti, e sono anzi au­to­riz­za­to a ri­te­ne­re che si bar­ca­me­ne­rà di pro­ble­ma in pro­ble­ma, con ri­cet­te ad hoc per ognu­na, come in que­sto caso. Sen­za nem­me­no ren­der­si con­to che è così. Non si sta di­cen­do che tut­te le ri­spo­ste allo spet­tro dei pro­ble­mi eti­ci deb­ba­no pro­ce­de­re ne­ces­sa­ria­men­te da un si­ste­ma lo­gi­co ba­sa­to su una man­cia­ta di as­sio­mi — e però coe­ren­za e ra­zio­na­li­tà vor­reb­be­ro che al­me­no ci si pro­vas­se.

Rudd è cri­stia­no, ma i com­men­ta­to­ri che lo elo­gia­no (e cui sono col­le­ga­to sui so­cial net­work) sono prin­ci­pal­men­te non cre­den­ti. Come è pos­si­bi­le che nes­su­no, a quan­to ho avu­to modo di leg­ge­re, ab­bia sot­to­li­nea­to tan­ta po­ver­tà ar­go­men­ta­ti­va? Nem­me­no nell’ap­po­si­to th­read sul fo­rum di una del­le as­so­cia­zio­ni au­stra­lia­ne omo­lo­ghe al­l’Uaar. È solo do­vu­to al fat­to­re “sia­mo d’ac­cor­do, e quin­di va bene tut­to”?

Pur­trop­po no. Uno de­gli in­ter­ven­ti più in­te­res­san­ti alla con­fe­ren­za Sex and Hu­ma­ni­sm, or­ga­niz­za­ta da Hu­ma­ni­st Ca­na­da e da As­so­cia­tion Hu­ma­ni­ste du Qué­bec in oc­ca­sio­ne del con­gres­so dell’Iheu del 2012, cui ho par­te­ci­pa­to come rap­pre­sen­tan­te del­l’Uaar, ri­guar­da­va pro­prio la “ge­ne­ti­ci­tà” o meno del­l’o­mo­ses­sua­li­tà. Il re­la­to­re ha lun­ga­men­te il­lu­stra­to i dati scien­ti­fi­ci a di­spo­si­zio­ne, con­clu­den­do dopo tre quar­ti d’o­ra per ap­pun­to la po­si­zio­ne del “born this way”. Mi sa­rei aspet­ta­to che la re­la­zio­ne fi­nis­se così; e in­ve­ce ecco che scat­ta il non se­qui­tur: quin­di nel­l’o­mo­ses­sua­li­tà non c’è nien­te di male. Nes­su­no dal pub­bli­co ha bat­tu­to ci­glio.

Quan­to l’Uaar fa bene a sta­re zit­ta e a non cri­ti­ca­re l’il­lo­gi­ci­tà di po­si­zio­ni di que­sto tipo? Con la pe­nu­ria di fi­gu­re po­li­ti­che co­rag­gio­se su temi come que­sti, la scel­ta po­li­ti­ca è na­tu­ral­men­te di non la­men­tar­si, ed anzi di dare gran­de ri­lie­vo a cer­te di­chia­ra­zio­ni. E se an­che i non cre­den­ti ra­zio­na­li­sti si be­vo­no tran­quil­la­men­te una mo­ti­va­zio­ne in­con­si­sten­te, fin­ché essa sem­bra rin­for­za­re le loro con­vin­zio­ni, fi­gu­ria­mo­ci che uti­li­tà può ave­re ten­ta­re di spo­sta­re le po­si­zio­ni del­la so­cie­tà in ge­ne­ra­le con il pen­sie­ro ra­zio­na­le in­ve­ce che con ap­pel­li emo­ti­vi, come quel­lo di Rudd è.

Ste­ven Pin­ker (che tra ben al­tri ri­co­no­sci­men­ti ha ri­ce­vu­to an­che il pre­mio “Uma­ni­sta del­l’an­no” 2006 dal­la Ame­ri­can Hu­ma­ni­st As­so­cia­tion non­ché il Ri­chard Da­w­kins Award que­st’an­no), nel­la sua ul­ti­ma fa­ti­ca “Il de­cli­no del­la vio­len­za”, si in­ter­ro­ga su qua­li sia­no sta­ti i fat­to­ri che han­no fa­vo­ri­to lo svi­lup­po di una so­cie­tà espo­nen­zial­men­te meno vio­len­ta, oggi, di quan­to non fos­se solo un se­co­lo fa (chi aves­se da obiet­ta­re a que­sto è in­vi­ta­to a leg­ger­si le 898 pa­gi­ne), e che han­no con­tri­bui­to al­l’al­lar­gar­si del­l’o­riz­zon­te dei di­rit­ti.

Una tra le spie­ga­zio­ni che pro­po­ne come più plau­si­bi­li ha a che fare con la dif­fu­sio­ne del­l’e­di­to­ria. Ma non tan­to del­la sag­gi­sti­ca il­lu­mi­na­ta, che spie­ga il per­ché e il come ot­ti­mo. Piut­to­sto, del­la nar­ra­ti­va: “Leg­ge­re ro­man­zi epi­sto­la­ri ri­guar­dan­ti per­so­nag­gi di­ver­si da sé svi­lup­pa l’a­bi­li­tà di met­ter­si nei pan­ni de­gli al­tri, il che ren­de con­tra­ri alle pu­ni­zio­ni cruen­te e ad al­tri abu­si con­tro di­rit­ti uma­ni.” Ci­ne­ma e te­le­vi­sio­ne han­no por­ta­to il tut­to al­l’en­ne­si­ma po­ten­za — e sa­ran­no un caso tut­te le po­le­mi­che per i per­so­nag­gi gay in TV?

Si trat­ta di un pro­ces­so po­ten­te, ma di nuo­vo, ab­ba­stan­za ir­ra­zio­na­le. Quan­to una as­so­cia­zio­ne come l’Uaar do­vreb­be far­ci af­fi­da­men­to? Quan­to do­vrem­mo ap­pel­lar­ci alla “pan­cia” del­la gen­te? For­tu­na­ta­men­te, sem­pre se­con­do Pin­ker, non si trat­ta del­l’u­ni­co fat­to­re: an­che l’e­la­bo­ra­zio­ne ra­zio­na­le ha avu­to il suo ruo­lo: “Quan­do una co­mu­ni­tà suf­fi­cien­te­men­te gran­de di agen­ti li­be­ri e ra­zio­na­li di­scu­te di come una so­cie­tà do­vreb­be ge­sti­re i suoi af­fa­ri, gui­da­ta da con­si­sten­za lo­gi­ca e dal­le ri­spo­ste del mon­do ester­no, il con­sen­so si orien­te­rà in cer­te di­re­zio­ni.” L’Uaar, come tut­ti, si tro­va a do­ver bi­lan­cia­re i due ap­proc­ci: quel­lo più emo­ti­va­men­te ca­ri­co, ed ef­fi­ca­ce, ma ten­den­zial­men­te ir­ra­zio­na­le; e quel­lo che cer­ca di es­se­re lo­gi­co e “scien­ti­fi­co”, ma che fa dif­fi­cil­men­te pre­sa. E che, va det­to, non è af­fat­to sce­vro di dif­fi­col­tà, sia per­ché es­se­re per­fet­ta­men­te ra­zio­na­li è dif­fi­ci­le, sia per­ché qua­si cer­ta­men­te non è ab­ba­stan­za (sarà un caso che i non cre­den­ti sia­no così li­ti­gio­si? E da qua­li as­sio­mi/obiet­ti­vi vo­glia­mo par­ti­re, nel­la co­stru­zio­ne lo­gi­ca del­l’e­ti­ca?).

Qua­le può es­se­re il giu­sto tem­pe­ra­men­to dei due? L’im­pres­sio­ne che ho in­con­tran­do i no­stri col­le­ghi al­l’e­ste­ro è che si ten­da a pre­fe­ri­re il pri­mo — spe­cie dove la non cre­den­za è più af­fer­ma­ta; e dove si usa più vo­len­tie­ri il ter­mi­ne hu­ma­ni­sm, che rag­grup­pa in­clu­si­va­men­te le va­rie non cre­den­ze, il con­cet­to di lai­ci­tà, ma che pro­po­ne an­che espli­ci­ta­men­te una al­ter­na­ti­va eti­ca ai va­lo­ri re­li­gio­si. Una non cre­den­za in­te­gra­ta nel­la vita di tut­ti i gior­ni.

In Ita­lia for­se pec­chia­mo in­ve­ce nel sen­so op­po­sto: sia­mo vi­sti come gli iper-ra­zio­na­li, sen­za cuo­re e sen­z’a­ni­ma, ari­di, con pre­te­se cul­tu­ra­li. E for­se un po’ ce lo me­ri­tia­mo: guar­dia­mo spes­so con aria scet­ti­ca (se non con aper­ta osti­li­tà) le ce­le­bra­zio­ni uma­ni­ste, per esem­pio, ve­den­do come uno scim­miot­ta­men­to di un com­por­ta­men­to ir­ra­zio­na­le quel­lo che è un sem­pli­ce il riap­pro­priar­si di un com­por­ta­men­to ra­gio­ne­vo­le. In­som­ma, un atei­smo un po’ eli­ta­rio.

Ne­gli ul­ti­mi tre anni l’Uaar ha ini­zia­to una ri­fles­sio­ne su que­sto tema, muo­ven­do qual­che pas­so più de­ci­so nel­la di­re­zio­ne “uma­ni­sta” a li­vel­lo di co­mu­ni­ca­zio­ne (nel­la so­stan­za, sta­tu­to alla mano, lo è sem­pre sta­ta). Il pros­si­mo con­gres­so po­treb­be es­se­re un buon mo­men­to per ri­flet­te­re ul­te­rior­men­te su que­sto tema, e cer­ca­re quell’au­rea me­dio­cri­tas che spes­so ci sfug­ge.

Mas­si­mo Re­dael­li, re­spon­sa­bi­le re­la­zio­ni in­ter­na­zio­na­li Uaar

 

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