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Assalto israeliano. C’è un precedente

Assalto israeliano. C'è un precedente

Credo che il tragico, inammissibile assalto di ieri notte, in acque internazionali, delle forze speciali israeliane contro la nave della solidarietà che portava viveri e medicine alla popolazione assediata di Gaza, sia un altro punto all’attivo dell’attuale governo di Netanyahu per giungere… al completo isolamento d’Israele in M.O. e nel mondo.
 
Tuttavia, non è un commento che qui vorrei fare, piuttosto ricordare una precedente, analoga iniziativa organizzata, ai primi di febbraio del 1988, dall’Olp di Yasser Arafat e sostenuta da un vastissimo schieramento internazionale di forze politiche, culturali, sindacali e associazioni pacifiste: “la nave dei ritorno” dei palestinesi esiliati che doveva partire dal Pireo con destinazione il porto israeliano di Haifa.
 
Per una serie di oscure e drammatiche circostanze, quella nave, alla fine, non partì né dal Pireo né dal porto di Limassol (Cipro) e così fu evitata una tragedia forse più grave di quella attuale.
 
Ma andiamo con ordine, sulla base degli appunti presi in quelle concitate giornate.
Ad Atene erano convenute circa 1500 persone, la gran parte vecchi rifugiati palestinesi e famiglie cacciati dalle loro case dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948 e dispersi nei campi profughi di Giordania, Siria, Libano ed Egitto. Ad accompagnarli in questa pericolosa missione, che il governo di Shamir considerava “una compagnia di assassini” da bloccare con ogni mezzo, c’erano centinaia di rappresentanti di partiti, sindacati, giornalisti, di associazioni umanitarie e pacifiste di molti paesi in gran parte europei e occidentali.
 
Sapevamo che oltre alla solidarietà la nostra funzione su quella nave sarebbe stata anche quella di scudo umano per scoraggiare la reazione violenta degli israeliani.
La delegazione italiana era composta: dal sottoscritto (per il PCI), da Raniero La Valle (per Sin. Indipendente), La Chiara (per PSI), Nordio (Acli), Ferrucci (Ass. giuristi democratici).
 
V’erano anche diversi giornalisti fra i quali ricordo: F. Isman, (Messaggero) L. Tersini (Tg3), I. Gagliano (Tg2), G. Berenson (Repubblica) e un giornalista dell’Ansa.
 
Con noi viaggiò anche mons. Hilarion Cappucci, da lungo tempo esiliato a Roma per imposizione del governo d’Israele al Vaticano, che - come altri profughi palestinesi - desiderava ritornare nella sua terra.
 
Ci era stato assicurato che la nave (noleggiata dall’armatore Vassiliké) era pronta a salpare l’indomani (il 10 febbraio). Giunti in hotel, non disfacemmo le valigie per tenerci pronti per l’imbarco. Invece, nessuno ci convocò per la partenza. L’attesa cresceva e si propagava, tramite i media, nell’opinione pubblica internazionale.
L’Olp si stava giocando una carta, certo, rischiosa, ma che poteva avere un impatto favorevole davvero eclatante. Nessuno, nel mondo, avrebbe potuto negare a questa gente il diritto al ritorno.
 
Tranne gli israeliani che forse non volevano cedere il copyright acquisito con la loro “nave del ritorno”.
 
Alla prima conferenza-stampa (affollatissima di giornalisti e operatori tv), Bitar, rappresentante Olp ad Atene, si diffonde sul significato dell’iniziativa, ma nulla dice sulla mancata partenza della nave. S’intuisce che c’erano difficoltà. Ma quali? Andiamo alla ricerca d’informazioni, di dettagli.
 
I capi palestinesi appaiono imbarazzati e nervosi e soprattutto muti. Dopo alcun giorni d’inutile attesa, riusciamo a capire qualcosa: le pressioni congiunte israeliane e Usa avevano fatto breccia sul governo greco del socialista Papandreu (papà dell’attuale premier) per bloccare l’iniziativa.
Con gli armatori gli israeliani furono chiari: se avessero noleggiato la nave, rischiavano di vederla affondare.
 
Fra le delegazioni straniere si diffuse una certa sfiducia. La pressione israeliana si fece sentire anche all’interno del nostro hotel. Soprattutto, nei confronti dei giornalisti stranieri ai quali fu imbucato, sotto la porta della camera, un ciclostilato anonimo ma fortemente dissuasivo.
 
Le agenzie fecero sapere che i Lloyd di Londra non intendevano assicurare la nave eventualmente noleggiata.
 
Il pomeriggio del 13, lo sceicco Sayed, presidente del Consiglio nazionale dell’Olp, annunciò alle delegazioni e alla stampa che “lunedì la nave partirà... da Cipro”
La notizia fu accolta con un fragoroso applauso. A me vennero alla mente le note della celebre canzone di Endrigo.
 
I capi palestinesi altro non dissero “per evidenti motivi di sicurezza”. Assicurarono che la nave sarebbe partita da Cipro e che avrebbe impiegato 4 – 5 giorni per la traversata. Insomma, la missione era salva.
 
Ricominciano le discussioni sui rischi. Si valutano attentamente le parole contenute nella dichiarazione della “colomba” Peres, ministro degli esteri, il quale aveva avvertito che la nave del ritorno dei palestinesi era “un atto di ostilità contro lo Stato d’Israele” ossia un atto di guerra che li autorizzava a difendersi. Per il “falco” Shamir (primo ministro) la nave non avrebbe avuto scampo.
 
L’indomani (14/2), i dirigenti dell’Olp ci informano che a Larnaka era stata fatta saltare col plastico un’auto con dentro cinque uomini dei servizi palestinesi di “Forza 17”.
 
Era il biglietto da visita degli israeliani.
Ci dicono che, nonostante tutto ciò, presto saremmo partiti per Cipro a bordo di due aerei presi a nolo. Insomma, la minaccia israeliana cominciava a prendere corpo, tragicamente.
 
Sale la tensione anche nella delegazione italiana che decide d’inviare, tramite il nostro ambasciatore ad Atene, Marco Pisa, un telegramma al Presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio Goria e al ministro degli esteri Andreotti per chiedere passi adeguati nei confronti di Shultz, segretario di stato Usa, che l’indomani avrebbero incontrato a Roma.
 
Nella notte telefono a Giorgio Napolitano, responsabile esteri del Pci, per informarlo della situazione e chiedere consiglio. Si mostra preoccupato e vuol sapere delle presenze dei rappresentanti d’altri partiti progressisti europei. Rispondo che non erano tante e che qualcuno era già rientrato. Sul che fare non sa dirmi, avrebbe voluto consultare altri dirigenti del partito.
 
Ci saremmo risentiti domani, ma - come vedremo - non sarà necessario.
L’indomani, infatti, intorno alle 11.00, scendemmo con le valigie nella hall pronti a partire, in aereo, alla volta di Larnaka. Già un nutrito gruppo di rifugiati palestinesi ci aveva preceduto.
 
L’attesa si fa snervante, i bus non arrivano. Temiamo nuovi rinvii. I dirigenti dell’Olp c’invitano a partecipare a un’improvvisata conferenza stampa.
Abu Sharif, il portavoce dell’Olp, annuncia che la “nave del ritorno”, ancorata nel porto di Limassol, era stata fatta saltare in aria dagli israeliani qualche ora prima.
La nave non era stata noleggiata, ma addirittura acquistata dall’Olp con l’aiuto dei sauditi.
 
Fu a questo punto che ci convincemmo che la missione era decorosamente fallita e decidemmo di prendere il primo aereo per Roma.

Commenti all'articolo

  • Di sergio faglia (---.---.---.32) 1 giugno 2010 12:27

    Sono un’amico di Israele da sempre ma questo atto, maggio 2010,e’ stato un errore politico, militare, diplomatico. Prima Israele se ne rende conto e di conseguenza agisce, presentando le scuse dovute e forse altro, meglio e’ per tutto il mondo.

  • Di Thomas Sturmer (---.---.---.236) 1 giugno 2010 13:47

    Al livello politico non credo che potrò mai essere amico di un governo che ha più e più volte trattato i diritti umani come carta straccia.

  • Di (---.---.---.207) 1 giugno 2010 14:11

    Io, considerato che l’Amministrazione Hobama sta facendo l’indiano ; per tutelare ancora una volta l’indifendibile comportamento d’Israele spero" questa volta " che più d’un Paese si incazzi veramente e che mandi sta sia all’ONU, gli States che l ’ ISRAELE dei segnali più che forti a quest’arroganza senza fine .

  • Di Giuseppe Fusco (---.---.---.82) 1 giugno 2010 17:54

    In questo momento (come altri momenti simili) è difficile pensare con calma, ma sicuramente è ora di dire basta.<br>La comunità internazionale deve smetterla di ondeggiare e dividersi a seconda degli interessi.<br>Ci sono persone, di ogni età, che stanno pagando. Anche con la vita. Oggi da un lato e domani dall’altro. Tutte con uguale dignità. Mentre altri, dietro le quinte, <span style="font-style: italic;">giocano a scacchi</span>.<br>E’ necessario ammettere che una certa politica Israeliana e filo-Israeliana, così come un’altra Palestinese e filo-Palestinese, hanno portato solo a dei tragici fallimenti. Così come non giova a nessuno la manicheistica e propagandistica divisione ideologica tra forze del male da una parte e forze del bene dall’altra. Se si vuole raggiungere qualche risultato, si dovrà smettere con gli atteggiamenti sempre e comunque negativi e di opposizione pregiudiziale verso l’altro. E’ necessaria creare la dimensione giusta per un vero e fecondo dialogo. Che può avvenire solo tra pari.<br>Le varie <span style="font-style: italic;">politiche </span>di intolleranza e violenza hanno portato già troppi morti (in entrambi). Nient’altro. Perciò non me la sento di prendere le parti di qualcuno, se non di tutte le vittime di oggi e di ieri. Sperando profondamente che non ci sia un domani così. Ma che le cose finalmente cambino e che le atrocità non si ripetano. Chiedo troppo?
    Se è vero (come credo) che "chi salva un uomo salva il mondo intero", è anche vero che l’uccisione di ogni uomo ci rende meno uomini. Contribuisce a distruggere l’umanità. Quella di ognuno di noi. "Nessun uomo è un’isola".

  • Di Giuseppe Fusco (---.---.---.82) 1 giugno 2010 17:58

    In questo momento (come altri momenti simili) è difficile pensare con calma, ma sicuramente è ora di dire basta.
    La comunità internazionale deve smetterla di ondeggiare e dividersi a seconda degli interessi.
    Ci sono persone, di ogni età, che stanno pagando. Anche con la vita. Oggi da un lato e domani dall’altro. Tutte con uguale dignità. Mentre altri, dietro le quinte, giocano a scacchi. E’ necessario ammettere che una certa politica Israeliana e filo-Israeliana, così come un’altra Palestinese e filo-Palestinese, hanno portato solo a dei tragici fallimenti. Così come non giova a nessuno la manicheistica e propagandistica divisione ideologica tra forze del male da una parte e forze del bene dall’altra. Se si vuole raggiungere qualche risultato, si dovrà smettere con gli atteggiamenti sempre e comunque negativi e di opposizione pregiudiziale verso l’altro. E’ necessaria creare la dimensione giusta per un vero e fecondo dialogo. Che può avvenire solo tra pari.
    Le varie politiche di intolleranza e violenza hanno portato già troppi morti (in entrambi). Nient’altro. Perciò non me la sento di prendere le parti di qualcuno, se non di tutte le vittime di oggi e di ieri. Sperando profondamente che non ci sia un domani così. Ma che le cose finalmente cambino e che le atrocità non si ripetano. Chiedo troppo?
    Se è vero (come credo) che "chi salva un uomo salva il mondo intero", è anche vero che l’uccisione di ogni uomo ci rende meno uomini. Contribuisce a distruggere l’umanità. Quella di ognuno di noi. "Nessun uomo è un’isola".

  • Di Renzo Riva (---.---.---.7) 2 giugno 2010 23:23
    Renzo Riva

    Blocco c’era e blocco sarà.

    Finché non sarà riconosciuta dai palestinesi la nazione I S R A E L E
    e raggiunta un’intesa sui confini.
    Renzo Riva

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