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Articolo 18 e libertà di licenziamento

La riforma del lavoro, in discussione in Parlamento, consentirà agli imprenditori più facilità nei licenziamenti, anche senza "giusta causa".

È approdato in Parlamento il disegno di legge sulla riforma del lavoro, che contiene le modifiche alla Legge 20 maggio 1970 n. 300, meglio nota come “Statuto dei lavoratori”. Con esso si introducono sostanziali cambiamenti del famoso articolo 18, che, per tutelare i lavoratori dai soprusi degli imprenditori, prevedeva la reintegrazione nel posto di lavoro dei dipendenti licenziati «senza giusta causa o giustificato motivo». Si tratta dell’ennesimo attacco contro i diritti acquisiti alla fine degli anni Sessanta, dopo le grandi mobilitazioni sindacali dell’“Autunno caldo”. Queste in sintesi le novità proposte dal governo.

Sarà più facile licenziare per «ragioni economiche», vale a dire non solo in seguito a una crisi conclamata dell’azienda, ma anche a causa della soppressione di alcune mansioni lavorative, dell’acquisto di nuovi macchinari in sostituzione di manodopera o dell’esternalizzazione di alcuni servizi. Il giudice, nel caso in cui si dimostri che le ragioni economiche siano – come ha chiarito in conferenza stampa il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Elsa Fornero – «manifestamente insussistenti», potrà reintegrare il dipendente oppure attribuirgli un risarcimento compreso tra 12 e 24 mensilità. La stessa normativa vale nel caso in cui un lavoratore sia licenziato per «motivi disciplinari» e dimostri di essere stato ingiustamente sanzionato. Rimane inalterata la norma che prevede il reintegro in azienda dei lavoratori licenziati per «ragioni discriminatorie» (ritorsioni politiche o sindacali, razzismo, mobbing, maternità, ecc.).

La proposta di legge non prevede l’eliminazione delle tipologie contrattuali oggi esistenti, che includono ben 46 tipi diversi di contratti a termine, anche se mira a disincentivarli con un aumento dei contributi a carico dei datori di lavoro. Nonostante sia stata cambiata la prima versione del Ddl, più penalizzante per i lavoratori licenziati, l’articolo 18 in futuro tutelerà molto poco i dipendenti, perché, come spiega Giorgio Cremaschi, «la reintegra c’è solo in casi estremi, mentre normalmente nel caso di licenziamento ingiusto c’è l’indennizzo, cioè si perde comunque il posto di lavoro» (cfr. Articolo 18: un pasticciaccio brutto di regime, in http://temi.repubblica.it/micromega-online/). Riducendo i diritti dei lavoratori in materia di licenziamenti, si produrranno effetti economico-sociali devastanti: crescerà la disoccupazione, si comprimeranno i salari, si renderanno ancora più precarie le norme di sicurezza in fabbrica, diminuirà il potere d’acquisto delle famiglie, aumenteranno la miseria e i suicidi tra coloro che perderanno il lavoro!

Il governo Monti si è impegnato a potenziare gli ammortizzatori socialima concretamente finora ha fatto poco, limitandosi a inserire nella proposta di riforma del lavoro il passaggio dall’indennizzo per la mobilità all’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che dovrebbe fornire un’indennità mensile di disoccupazione della durata di 12 mesi – 18 per gli “over 55” – ai lavoratori licenziati, ma solo a coloro che siano in possesso di «due anni di assicurazione e almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio del periodo di disoccupazione». La Cgil, a differenza di Cisl e Uil, si è dichiarata insoddisfatta delle proposte di Fornero e Monti e ha confermato le mobilitazioni già indette allo scopo di ottenere la crescita degli investimenti produttivi e l’estensione degli ammortizzatori sociali.

L’art. 2 del ddl sulla riforma del lavoro afferma che «le disposizioni della presente legge [...] costituiscono principi e criteri per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni». La normativa, pertanto, avrà valore anche per i lavoratori del pubblico impiego, soprattutto per coloro che operano nei settori in cui si sta attuando una ristrutturazione gestionale per risanare il bilancio (enti locali, aziende ospedaliere, ferrovie, università, ecc.). Nel prossimo futuro, quindi, anche nella Pubblica amministrazione si potrebbe assistere a una massiccia ondata di licenziamenti, dettata esclusivamente da ragioni di contabilità economica e non certo dal desiderio di migliorare la qualità dei servizi erogati. Spetterà, comunque, al Parlamento definire «gli ambiti, le modalità e i tempi di armonizzazione» tra il nuovo articolo 18 e le norme che ancora tutelano i dipendenti pubblici.

Giuseppe Licandro

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