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Argentina, prigione valutaria

 

Prosegue a tappe forzate la marcia dell’Argentina verso la soppressione delle libertà personali ed il crack valutario. E mentre i soliti gonzi (soprattutto italiani, ça va sans dire) trovano modo di entusiasmarsi per il rimborso di un bond in dollari emesso dall’Argentina sul mercato domestico all’indomani del default, il governo della Presidenta Kirchner, sempre più disperatamente affamato di dollari, attacca quello che finora è stato il porto franco valutario degli argentini: il turismo.

Il 7 agosto è infatti entrata in vigore la nuova normativa sui controlli valutari per turisti argentini. Secondo le nuove norme, tutte le richieste di valuta estera per finalità di turismo all’estero dovranno essere confermate dalle agenzie di viaggio. I turisti argentini, inoltre, potranno acquistare solo la valuta dei paesi di destinazione. Ad esempio, non sarà possibile comprare dollari statunitensi se ci si reca in Uruguay. Queste norme rappresentano l’integrazione di quelle emanate a inizio luglio, in base alle quali chi dichiara di dover viaggiare all’estero ha 45 giorni di tempo per acquistare valuta al cambio ufficiale (ricordando che ai risparmiatori è ormai precluso l’investimento valutario). Il governo si è accorto che molti argentini dichiaravano di pianificare viaggi all’estero per poter acquistare valuta, ma poi non si muovevano da casa. Da qui le astute norme integrative emanate questo mese.

L’evoluzione del saldo delle partite correnti, a seguito dei controlli valutari introdotti a partire da fine 2011, mostra un miglioramento del saldo merci (in conseguenza del crollo delle importazioni), mentre quello dei servizi è in deficit crescente, anche in conseguenza della rivalutazione in termini reali del peso (che ha un cambio ufficiale quasi fisso contro dollaro ed un tasso d’inflazione ben superiore al 20 per cento, malgrado le statistiche ufficiali lo segnalino di poco inferiore al 10 per cento). Nel tentativo di chiudere i buchi, ora il governo attacca il turismo in uscita. Nel frattempo, il conto del reddito (che si somma al saldo commerciale nella determinazione del saldo delle partite correnti), è in forte e crescente deficit a causa dell’accresciuta attività di rimpatrio di utili e dividendi da parte di aziende estere operanti in Argentina. Negli ultimi cinque anni, gli utili rimpatriati sono passati da 6,6 miliardi di dollari del 2007 a 8,6 miliardi del 2011. Nel primo trimestre del 2012 la somma è ammontata a ben 2,3 miliardi di dollari. Le aziende estere non intendono lasciare risorse sul territorio di un paese che non offre certezza del diritto, come dimostra la recente nazionalizzazione di YPF.

Il problema è che, per recuperare dollari o impedirne l’uscita dal paese, dopo le restrizioni al turismo si attendono quelle alle imprese estere operanti in Argentina. Già oggi si segnalano crescenti ingerenze del governo nel settore energetico, come dimostra l’ordine dato alle società estere (tra le quali figurano, ad esempio, la brasiliana Petrobras e l’americana ExxonMobil) a fornire all’esecutivo indicazioni su piani e tempi di effettuazione di investimenti. Il ministero dell’Economia potrà ingerirsi in tali programmi, chiedendone la modifica ed imponendo sanzioni che potrebbero arrivare alla revoca dell’autorizzazione ad operare sul territorio argentino. Inoltre, il governo di Buenos Aires si è ritrovato presente nei consigli di amministrazione di imprese private a seguito della nazionalizzazione dei fondi pensione, avvenuta nel 2008, e all’inizio del 2011 ha provveduto a rimuovere il tetto del 5 per cento nei diritti di voto delle imprese private partecipate a seguito di tale nazionalizzazione. Una ormai conclamata, gigantesca e potenzialmente devastante nazionalizzazione sta ormai avvolgendo l’iniziativa economica in Argentina.

E questa è la via attraverso la quale il paese arriverà alla resa dei conti.

(Chi fosse interessato a verifiche dirette sulla bilancia dei pagamenti argentina può controllare sul sito dell’istituto statistico nazionale argentino, le serie storiche “sector externo”)

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