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Argentina, la lunga marcia della Signora Tina

Come ci si poteva attendere, l'aggiustamento economico perseguito da Javier Milei lascia dietro di sé cumuli di macerie. Ma non c'era né c'è reale alternativa alle follie degli ultimi lustri.

Come sta procedendo, il tentativo del presidente argentino Javier Milei di riportare l’economia del paese sudamericano in linea di galleggiamento, eradicando l’iperinflazione che la attanaglia? Giorni addietro, Milei ha annunciato il primo storico avanzo di bilancio pubblico dal 2008, conseguito nel primo trimestre e pari a 0,2 per cento del Pil, promettendo di proseguire su questa strada, perché “l’inflazione è un furto e i deficit fiscali sono la causa dell’inflazione”.

BLOCCO DI SPESA PUBBLICA SENZA PRECEDENTI

Per ottenere questo risultato in un arco temporale così ristretto e non disponendo di maggioranza parlamentare, Milei ha usato sinora il blocco sostanziale (circa tre quarti) dei trasferimenti ai governi provinciali e del 90 per cento dei lavori pubblici. L’inflazione a circa il 300 per cento sta facendo il resto, abbattendo il valore reale di salari pubblici e pensioni. L’unica voce di spesa pubblica che ha segnato nei dodici mesi un aumento in termini reali è quella per la cosiddetta protezione sociale universale, le erogazioni di base del welfare.

I mercati apprezzano: i prezzi dei bond argentini denominati in dollari sono raddoppiati, mentre il cambio ufficioso del peso si è rivalutato contro dollaro del 25 per cento, facendone la valuta più forte sul pianeta da inizio anno. Nel frattempo, e non è certo una sorpresa, le condizioni della popolazione peggiorano fortemente. La spesa dei consumatori, a causa del crollo dei redditi reali, è in caduta libera mentre il Pil nel primo bimestre di quest’anno si è contratto del 3,6 per cento annuale.

La svolta potrebbe essere vicina, almeno secondo le previsioni del Fondo Monetario internazionale, che prevede per quest’anno una contrazione del 2,8 per cento, seguita da una espansione del 5 per cento il prossimo anno.

L’aggiustamento perseguito da Milei procede in direzione opposta a quanto facevano i governi peronisti, il cui unico obiettivo era quello di sostenere i consumi, ad ogni costo. Ad esempio, attraverso controlli dei prezzi, il sostegno disperato al cambio del peso, sussidi a energia e trasporti, e l’immancabile stampa di moneta per colmare i deficit. Milei ha svalutato il cambio del peso del 54 per cento nel solo mese di dicembre, rimuovendo i controlli sui prezzi, con conseguente inevitabile ulteriore gamba di iperinflazione.

UN AGGIUSTAMENTO CLASSICO

I salari reali di conseguenza sono stati falcidiati: da dicembre, il salario medio dei lavoratori regolarmente assunti si è contratto al netto dell’inflazione del 19 per cento, ed è ora inferiore alla soglia ufficiale di povertà. A catena, le vendite dei supermercati sono crollate in doppia cifra, molte imprese hanno sospeso i lavoratori a causa di assenza di domanda mentre si stima che il taglio di circa il 90 per cento dei lavori pubblici sia costato sinora 50 mila posti di lavoro.

Gli argentini sono quindi costretti a mettere mano ai risparmi (per chi ne ha), segnatamente quelli in dollari, per compensare il crollo del reddito. Finora il sostegno per Milei è rimasto stabile, secondo alcuni istituti demoscopici sarebbe poco sotto il 50 per cento, malgrado lo shock da aggiustamento in corso. Ma resta da capire quanto potrà durare, persistendo condizioni economiche così dure.

Come ci si attenderebbe in aggiustamenti del genere, che sono la prescrizione classica del FMI (e della realtà), i consumi interni crollano mentre le esportazioni riprendono vigore, favorite dalla rimozione delle restrizioni amministrative e dall’iniziale deprezzamento del cambio. Le esportazioni di carne a febbraio hanno toccato il massimo mensile dal 1967. Il rovescio della medaglia? Il solito: consumi domestici ai minimi da trent’anni. Nel frattempo, la rivalutazione del cambio allarma gli esportatori ma anche il governo, perché l’aumento di importazioni che questa dinamica crea rischia di tagliare la ricostituzione di riserve valutarie.

L’aggiustamento su queste basi rischia di essere scarsamente sostenibile: il crollo di consumi e attività produttiva destinata al mercato interno causa un crollo del gettito d’imposta che deve essere compensato o con ulteriori tagli di spesa o con aumenti di imposte, che non a caso Milei ha già chiesto al parlamento.

IL SOGNO DI ERDOGAN

Nel frattempo, la banca centrale argentina sta procedendo a ridurre a tappe forzate i tassi d’interesse, agevolata dalla frenata dell’inflazione mensile, che a marzo è stata pari a 11 per cento, sotto le attese degli economisti. L’ultimo taglio, di dieci punti percentuali, ha portato il livello al 60 per cento. Un effetto collaterale virtuoso di questo allentamento monetario è dato dal minore esborso che la banca centrale deve sostenere sul proprio debito, emesso in origine per drenare liquidità dal sistema.

In pratica, minore esborso per interessi da parte della banca centrale significa meno stampa di moneta, che potrà quindi contribuire alla disinflazione, compensando le pressioni sui prezzi che derivano dalla completa rimozione dei sussidi energetici. Milei ha anticipato che i tassi scenderanno in parallelo alla disinflazione, il suo team economico prevede un’inflazione mensile del 3,8 per cento a settembre.

Quindi, possiamo dire che in Argentina sta trovando conferma quello che era il sogno del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan: la riduzione dei tassi d’interesse contribuisce alla disinflazione. Ovviamente, questa è una iperbole e anche una battuta. Per conseguire questo risultato occorre, preliminarmente, una banca centrale che monetizzi pesantemente il deficit ma anche una violenta stretta fiscale, tale da distruggere la domanda. Dubito che Erdogan puntasse a qualcosa del genere.

Che possiamo dire, di questo processo di aggiustamento estremamente doloroso? Che, data la condizione iniziale dell’economia argentina, minata da lustri di aberrazioni di politica economica, non c’era e non c’è alternativa a un simile corso d’azione. In pratica, la Signora Tina regna. Certo, conta anche il ridisegno delle erogazioni di welfare, per proteggere i più deboli. Ma, quando la popolazione sta cadendo in povertà a questo ritmo, parliamo di pannicelli caldi. Qualcuno ne darà la colpa a Milei. La colpa in realtà è di quanto fatto negli ultimi lustri. Milei sta percorrendo la strada che l’ex presidente conservatore, Mauricio Macri, non si è sentito di seguire fino in fondo. Non esiste austerità indolore: sono già passati sei anni da quando segnalavo quella situazione.

L’esperimento di Milei può interrompersi in ogni momento, anche tragicamente. Oppure può godere di un successo temporaneo: il paese torna a crescere e le pulsioni alla spesa indiscriminata si riaffermano, in un movimento pendolare. Non si inventa davvero nulla, su questo pianeta.

P.S. Pensate anche che un discreto numero di beoti penserà che questo è un post elogiativo di Milei anziché dei vincoli di realtà. Che, come noto, ha un vigoroso bias liberista.

Photo by President.amCC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Attilio Runello (---.---.---.248) 24 maggio 13:06

    Milei forse ha sbagliato a voler fare tutto e subito. Ma la soluzione del problema iperinflazione - che impoverisce tutti - secondo tutti gli economisti è quella seguita da Milei. Avanzo di bilancio innanzitutto. Non stampare più moneta. Tasso di cambio della valuta argentina, il peso, libero. Prima era di trecento pesos per dollaro. Ma pagava la banca centrale argentina. Il tasso di cambio va lasciato libero di fluttuare senza intervenire. Come avviene con l’euro. Oggi il tasso di cambio è di ottocento pesos per un dollaro. Questo ha fatto aumentare il prezzo dei prodotti importanti. Quello libero probabilmente sarebbe mille pesos per un dollaro. Infine va riportato che negli ultimi cinque mesi l’inflazione su base mensile è passata dal 25% a 8%. Vuol dire che i prezzi aumentano ma meno di prima. Quella totale è ancora alto perché si calcola su base annuale.

    Fra un anno probabilmente l’inflazione diminuirà molto e in due o tre anni inizieranno a diminuire i prezzi. Perché se la gente compra poco (chi può esporta ma non tutti lo possono fare) i prezzi scendono. È la legge della domanda e dell’offerta, la base dell’economia.

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