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Aprire un’impresa? E’ subito fatto (1)

Aprire un'impresa? E' subito fatto (1)

Dalla demogogia non è esente neppure il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che un paio di settimane fa annunciava con grandi squilli di tromba la riforma del diritto d’impresa: "Questo è un Paese che fa quattro chilometri di Gazzetta Ufficiale l’anno, un chilometro quadrato di regole all’anno - ha ricordato -. Abbiamo una quantità impressionante e crescente di regole, che hanno l’effetto di un blocco oltre il bisogno, di una ragnatela, che fa anche paura’’. Quindi, giù con la "riforma" e l’inevitabile manomissione della Costituzione, stavolta all’art. 41.

Ma di cosa parlava? Vediamo qualche caso e l’amara verità.

Chi vuole aprire un’attività commerciale - il caso più comune - può farlo (salvo pochissime eccezioni) nel giro di cinque minuti, quanti sono necessari per battere e stampare un’autocertificazione. Con questa si va in Comune ed il gioco è fatto. Un giorno lo scoglio maggiore era rappresentato dall’iscrizione al REC, il registro degli esercenti il commercio, a cui si accedeva per titolo di studio (diploma di ragioneria o laurea in economia e commercio) o dopo aver superarto il relativo esame alla Camera di Commercio. Da quando, nel 2006, è stato soppresso il REC in pratica chiunque può aprire qualsiasi cosa: sarà il Comune a verificare che quanto autocertificato dal neo commerciante, in base alla Legge Bassanini, corrisponde a verità ed a rilasciare quindi obbligatoriamente l’autorizzazione amministrativa (on. Berlusconi, si informi, la "licenza" non esiste più).

Diverso è il caso per un’impresa artigiana, dove rimane l’obbligo di comunicazione alla Camera di Commercio, ed al Comune per alcune attività, o per le imprese agricole o per le imprese industriali, dove la complessità della produzione presume anche una complessità di autorizzazioni: vorrei vedere in quale paese è possibile aprire una raffineria di idrocarburi senza permessi.

La Camera di Commercio di Miano ha predisposto una serie di filmati accattivanti per chi vuole avviare un’attività, e chi ne ha intenzione può già formarsi una certa idea di cosa va incontro.

Il problema non è di liberarsi, come dice Tremonti, della zavorra burocratica per competere, ma della capacità di competere, che vuole dire: soldi ed idee. Molti hanno le idee: dieci anni fa, business plan alla mano e gran pacche sulle spalle da esperti del settore, sono andato negli Stati Uniti per aprire il mio ristorante. Già mi vedevo contare migliaia di bigliettoni verdi perché il progetto era (quasi) perfetto, strategie e target ben definiti, organizzazione curata anche nei minimi particolari, sito già scelto accuratamente; mancava un solo piccolo insignificante dettaglio: il capitale iniziale che neppure la Bank of America o la Federal Reserve erano disposte a concedermi.

Torniamo quindi al punto essenziale della faccenda: il denaro.

Anche le migliori idee naufragano di fronte a questo "accidente" che forse tale non è per il ministro dell’economia, abituato a maneggiare tutto il giorno euro (di altri) o a frequentare persone per cui i milioni di euro sono bruscolini da scialacquare in una notte di escort e polveri sottili. Lo stesso Bill Gates, per partire con la sua attività, si dice sia ricorso a prestiti privati per partire.

Parafrasando Archimede possiamo dire: datemi del denaro e vi solleverò il mondo.
Di idee brillanti, e mai realizzate per mancanza di denaro, è lastricata la via Lattea. Il buon Mario Poletti Polegato, inventore delle Geox, è potuto diventare quello che è grazie alla famiglia alle spalle che gli ha permesso di sviluppare la sua idea rivoluzionaria.

Non serve metter mano alla Costituzione italiana per diventare competitivi, ma solo tanto tanto denaro contante da non dover restituire, o da restituire con criterio.

Commenti all'articolo

  • Di vituzzo (---.---.---.251) 29 giugno 2010 16:47

    Ci sono molti giovani in Italia che, senza avere alcuna esperienza nel campo della ristorazione, aprono ristoranti indebitando genitori e zii e, predibilmente, falliscono. In questi casi il denaro c’era, ma mancava la professionalità.

    La professionalità non viene creata dallo Stato, perché c’è una università che forma ottimi ricercatori, ma spesso manda, per disperazione, a casa potenziali professionisti, a causa del fatto che la qualità della formazione è bassissima.

    La professionalità non viene premiata, perché ci sono dei pizzi da pagare, delle persone da conoscere, dei favori da fare.

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