Appello Dell’Utri - 21a puntata
Il "pizzo delle antenne" nella requisitoria del processo. Il pg: "Berlusconi ha fornito un apporto rilevante e significativo a Cosa nostra".
"Can. 5 numero 8". "Regalo 990, 5000". Queste annotazioni compaiono su due agendine diverse. Sotterrate in un luogo segreto insieme a molte armi, tutte appartenenti alla famiglia mafiosa di San Lorenzo.
Nelle rubriche venivano annotati "conferimenti di danaro a titolo estorsivo provenienti da vari esercizi commerciali o da imprenditori che lavoravano nella zona di competenza della famiglia di San Lorenzo".
Il pentito Giovan Battista Ferrante, che ha fatto parte della famiglia di San Lorenzo dal 1980, di quelle annotazione ha detto: "990 sicuramente si riferisce all’anno, il numero otto è lo stesso che c’è nell’altra agendina… regalo perché, come ho detto, noi non abbiamo mai fatto nessun tipo di richiesta a Fininvest… 5000 sono i milioni, chiaramente gli togliamo gli zeri in più". Ecco il codice decifrato: una donazione a titolo di regalo di cinque milioni di lire da parte di Canale 5 alla famiglia mafiosa palermitana di San Lorenzo.
Nella prima parte della sua requisitoria al processo d’Appello Dell’Utri, il pg Antonino Gatto ha parlato anche di questo. Il cosiddetto “pizzo delle antenne”. Una pratica consolidata che consisteva nel versamento di 200 milioni da parte di Fininvest a Cosa Nostra. Ogni anno. Soldi che passavano da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà, che consegnava poi il denaro a Peppino Di Napoli. Di Napoli passava i milioni a Raffaele Ganci, il suo capo mandamento. E Ganci, infine, li consegnava a Totò Riina. "Zu’ Totuccio, questi sono… Pierino ha portato i soldi delle antenne".
Questi fatti, già confermati nella sentenza definitiva del processo Di Napoli, fanno oggi parte del processo Dell’Utri. Il pg li ha ricostruiti nella prima parte della requisitoria, di cui abbiamo già pubblicato ampi stralci. Pubblichiamo oggi anche questa parte relativa al “pizzo delle antenne”.
Il pizzo delle antenne
"Attraverso il detto di vari collaboranti […] il Tribunale ha ritenuto di potere essere provato il versamento di somme da parte della Fininvest, attraverso la mediazione sia dell’imputato Dell’Utri sempre in rapporto con Gaetano Cinà, di consistenti somme di denaro all’organizzazione mafiosa anche in epoche successive alla morte di Bontade, alla scomparsa di Teresi, a titolo di “messa a posto”, come suol dirsi, per la collocazione dei ripetitori del segnale televisivo nel palermitano, ovvero […] per l’interessamento del Riina per risolvere i problemi – le intimidazioni subite da Berlusconi – con riferimento a un attentato in via Rovani […] verificatosi nel novembre dell’86".
"La difesa […] ritiene, in questa ricostruzione compiuta dai primi giudici, fuori da ogni logica che “Riina avesse dovuto attendere fino al 1986 – l’epoca in cui Galliano [uomo d’onore della famiglia della Noce molto vicino a Gaetano Cinà, nda] colloca l’apprendimento da parte sua dell’incontro di Milano [Galliano ha raccontato di un incontro di Berlusconi con Cinà, Bontade e Mimmo Teresi che avevano rassicurato il Cavaliere dalle minacce di sequestro dei suoi figli e gli avevano mandato, a garanzia, Vittorio Mangano, nda] e del pagamento del pizzo – e solo a seguito dell’occasionale sfogo di Cinà, durante la riunione nella villa di Citarda [Giovanni Citarda, mafioso legato a Stefano Bontade, nda] per venire a conoscenza dell’apporto rilevante e significativo che Berlusconi forniva all’organizzazione e che addirittura essa poteva godere della mediazione compiacente e solidale di Marcello Dell’Utri”.
"Questa ricostruzione - continua Gatto - è la conseguenza, il frutto di una inesatta lettura degli atti. Infatti, come emerge dal complesso delle dichiarazioni così come sono trascritte e riportate nella motivazione del Tribunale, la conoscenza di Riina di questi fatti non è avvenuta, come dice la difesa, a seguito dell’occasionale sfogo di Cinà in occasione della riunione di fine ‘86 […] ma, come risulta dalle dichiarazioni di Calogero Ganci riportate in sentenza alla pagina 995: “Quest’ultimo, infatti, aveva confidato al figliolo, odierno collaboratore, che il Cinà, intorno all’84-85, si era fatto portavoce di un’esigenza di Marcello Dell’Utri, il quale, per conto di una ditta milanese – non meglio indicata dal delatore ma che, "da quel che si era venuto a sapere, era del gruppo Berlusconi" - "voleva aggiustare la situazione delle antenne televisive", cioè mettersi a posto con l’organizzazione mafiosa, ottenendo, tramite il pagamento di una somma di danaro, la protezione per le antenne in Sicilia”.
"Quindi Raffaele Ganci aveva confidato al figlio che il Cinà intorno all’84-’85 si era fatto portavoce di questa esigenza di Dell’Utri, e non nell’86, quando poi ne parla Galliano. E ritiene illogico pure il fatto che i Pullarà, che avevano ereditato i rapporti intrattenuti da Bontade (i Pullarà sono, dopo la guerra di mafia i reggenti della famiglia di Santa Maria del Gesù, quella di Stefano Bontade), abbiano voluto tenere per sé questo rapporto non informandone il vertice che era Totò Riina. Ma non tiene conto, quest’obiezione, che già Stefano Bontade, che già era il vertice, aveva tenuto per se questo rapporto e che i Pullarà, che dal contesto degli atti compaiono come soggetti particolarmente rapaci, […] come già il loro predecessore abbiano voluto tenere per sé questo rapporto, sol considerando che il consolidamento della posizione di Riina a seguito della guerra di mafia avvenne […] nel 1983 e questi rapporti vengono rivelati nell’84-’85 e non nell’86".
Enigmi cifrati
Il pg racconta poi del "ritrovamento che fu effettuato […] di un libro di pertinenza della famiglia di San Lorenzo in cui, in maniera anche elaborata e criptica, sono annotate le somme compendio di estorsione". In questo libretto "è menzionato un regalo di cinque milioni fatto da Canale 5. Regalo annotato, compendio di estorsione, che la difesa in modo contorto cerca di attribuire ad altra causale dimenticando che è scritto là su questo libro che era sotterrato insieme alle armi ed è prova documentale del versamento di questa somma".
L’attentato in via Rovani
Altra "circostanza obbiettiva" di cui riferisce il pg è "l’attentato alla villa di Berlusconi" in via Rovani, "l’attentato del 28 novembre del 1986 ad opera della mafia catanese". "Riina - spiega Gatto - ne era al corrente e […] furbescamente cercò di appropriarsi di questa situazione e fece […] spedire da Catania una lettera minatoria all’indirizzo di Berlusconi. E fece fare una telefonata minatoria, avendo ottenuto il numero di telefono e l’indirizzo da Gaetano Cinà, al fine di fare credere che anche queste altre intimidazioni derivanti dalla lettera e dalla telefonata […] fossero ricollegabili a questo attentato alla villa di via Rovani; stimolare quindi l’intervento [di] Dell’Utri che avrebbe richiesto, come già in passato aveva fatto con Bontade, tramite l’intervento del solito Cinà, l’intervento della mafia Palermitana. In questo modo il Cinà si sarebbe rinforzato agli occhi di Dell’Utri e Berlusconi in prospettiva di certe mire politiche che il Riina nutriva di avvicinamento di Bettino Craxi, cui il Berlusconi notoriamente era legato".
"Niente paura, garantisce Tanino"
Il pg si sofferma quindi sulle "intercettazioni telefoniche e le conversazioni intervenute fra Dell’Utri e Berlusconi immediatamente susseguenti a questo attentato di Via Rovani. Attentato e conversazioni che sono interpretate, mi spiace dirlo, in maniera magistrale dai giudici del Tribunale. Per tanto rinvio alle pagine da 1041 a 1044 della sentenza, ma trascrivo solo quello che può giovare […] ai fini di una certa tesi che esporrò. […] Trascrivo solo alcuni brani di una conversazione, quella intervenuta il 31 novembre del ‘96 alle ore 14.01, appena due giorni dall’attentato di Via Rovani. […] In questa telefonata […]Dell’utri informa Berlusconi [che sospettava che l’autore di questo attentato fosse stato Vittorio Mangano]: “Dunque, io stamattina ho parlato con quello lì [Stefano Rea, agente della Digos che si occupava del caso, ndr] e poi ho visto Tanino [Gaetano Cinà, ndr], che è qui a Milano. Ed invece è da escludere quella ipotesi [del coinvolgimento di Mangano nell’attentato, ndr], perché è ancora dentro. Non è fuori. E Tanino mi ha detto che assolutamente è proprio da escludere, ma proprio categoricamente. Comunque, poi ti parlerò… perché… di persona. E quindi, non c’è proprio… guarda, veramente, nessuna, da stare tranquillissimi, eh!”.
A questo proposito si legge nella sentenza di primo grado: "L’imprenditore, avendo sentito le assicurazioni del suo manager - provenienti dalla conversazione avuta con “Tanino”, più che da quella con il dottor Rea - aveva interloquito, soltanto, prima con un “Ah!”, poi con un “Uh!”, dopo con un “Ah si, eh?”, poi, ancora, con un triplo “Uh, Uh, Uh!” e, finalmente, dopo la precisazione di Dell’Utri che bisognava parlarne “di persona”, con un “perfetto, ho capito”. E Berlusconi aveva effettivamente compreso che vi era dell’altro, perché l’argomento della conversazione era stato immediatamente cambiato. I silenzi sono illuminanti, si diceva, perché Berlusconi palesa, attraverso essi, di sapere chi era “Tanino” e che “voce” aveva in siffatto contesto; perché Dell’Utri aveva subito parlato di un argomento così delicato con il Cinà, il quale era in grado di riferire che Vittorio Mangano “è dentro” (non lo sapevano neanche i carabinieri di Monza e i funzionari della Digos di Milano); perché tale notizia veniva recepita senza dubbio alcuno pur non essendo acquisibile se non dopo adeguati accertamenti presso istituti carcerari (che “Tanino” non poteva avere avuto il tempo di esperire in meno di quarantotto ore, ammesso e non concesso che ne avesse avuto la possibilità); ed, infine, quel che è maggiormente significativo, perché accontentarsi, senza neanche discuterle, delle categoriche “rassicurazioni” di Tanino Cinà sull’estraneità di Vittorio Mangano al fatto intimidatorio e, poi, quant’altro Dell’Utri gli avrebbe confidato personalmente di aver appreso da questa stessa persona".
"L’elemento che volevo fare rilevare - dice Gatto - e che non è enucleato nella sentenza di primo grado" è che "emerge quanto riduttiva e guardinga sia stata la deposizione di Berlusconi resa il 26 giugno del 1987 - questa telefonata è del 30 novembre ‘86 - quando fu sentito dai giudici istruttori di Milano. Dichiarò, a proposito dell’assunzione di Mangano, che avendo bisogno di un responsabile nella cura della suddetta attività, che era quella dell’allevamento dei cavalli, chiese a Dell’Utri Marcello di interessarsi anch’egli di trovare una persona adatta “ed egli mi aveva proposto, presentato il signor Mangano come persona al lui conosciuta, più precisamente conosciuta da un suo amico con il quale si davano del tu, che da tempo aveva conosciuto alla squadra Bacigalupo di Palermo”.
L’amico con cui Marcello Dell’Utri si dava del tu è indubbiamente Gaetano Cinà, di cui Berlusconi in questa sede, siamo nel giugno del 1987, mostra di ignorare persino il nome. Invece, da come risulta dalla telefonata precedente del novembre dell’86 […] immediatamente si rende conto di chi è e conosceva anche, soprattutto, lo spessore mafioso, accontentandosi immediatamente delle rassicurazioni che tramite il suo manager Dell’Utri il Tanino aveva potuto fornire circa l’attentato da lui subito.
Ed è quello stesso Tanino […] che il Di Carlo ha affermato essere conosciuto […] da Berlusconi durante l’incontro di Milano. Perché quando Di Carlo afferma che all’incontro sopraggiunse Berlusconi, si fecero […] le presentazioni, Di Carlo dice: “Siamo arrivati […] Dopo un po’ di tempo è spuntato questo signore sui trent’anni, trenta e rotti anni, e hanno presentato il dottore Berlusconi”.
"Chi faceva le presentazioni?" chiede il pm a Di Carlo. "Dell’Utri", risponde. "A Tanino lo conosceva, però".
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