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Angiolino "Starace" Alfano segretario: no, non è solo una barzelletta

"Silvio Berlusconi sente che il suo carisma, da solo, non basta più. Sa che le sue scelte non sono più indiscutibili, accettate senza critiche dagli elettori perché, per definizione, le migliori per il futuro del paese; sente, ed è inaudito, il bisogno di nascondersi e di giustificarsi".

L'elezione per acclamazione di Angiolino "Starace" Alfano a segretario del PdL è qualcosa di infinitamente meno dell'elezione del segretario di un partito normale, dotato di una sua democrazia interna, ma è, ad ogni modo, un passo importante per un'aziendina brianzola con una struttura tradizionale qual è la creatura di Silvio Berlusconi.

In simili realtà, infatti, se è chiarissimo chi sia il numero uno, non esiste nessun numero due: tutto dipende dal capo che conserva gelosamente ogni briciola di potere reale nel timore che uno dei suoi aiutanti, usare il termine italiano dirigenti o quello inglese executives è del tutto fuori di luogo, possa, magari in combutta con il ragioniere, attentare alla proprietà o, cosa quasi altrettanto grave, pensare di mettersi in proprio sottraendo clienti all'azienda.

In questo sta l’assai poco originale originalità del PdL; nell’aver trasferito alla politica i modi della piccola e media impresa. Questa è la radice di quel “leaderismo” orgogliosamente rivendicato dei peggiori tra gli esponenti di quel partito.

Questo spiega anche la modestia della figura del nuovo segretario; si può ipotizzare che lo attendano compiti di assai poco rilievo, ma, anche se vi fosse stata, da parte di Berlusconi l’idea di trasferire una parte del proprio potere, non avrebbe potuto trovare di molto meglio. Se “Starace” Alfano è una macchietta, o quasi, non ci sono, dentro il partito, personaggi che abbiano un’oncia di carisma in più di lui; nessuno che sia più popolare di lui presso gli elettori o che più di lui brilli per qualche competenza: sono tutti, gli esponenti del Pdl, dal primo all’ultimo, solo delle mezze figure.

Tremonti, custode dei conti dell’Italia ridotta ad azienda che il PdL ha rilevato, è escluso da questo discorso; lui, il ragioniere, insostiuibile per la propria competenza e che del capo conosce tutti i segreti contabili, è il reale numero due dell’organizzazione, ma questo status non può essere formalizzato; sarebbe, per il Capo, troppo pericoloso. C'è tra i due, Capo e ragioniere, Berlusconi e Tremonti, più un rapporto di mutua dipendenza che gerarchico; iconvivono, magari felicemente, tenendo ognuno saldamente in mano i gioielli di famiglia dell’altro.

Tremonti ha gia, di fatto, più potere di quanto Berlusconi avrebbe mai voluto concedergli.

Compreso quanto ho esposto fin qui, l’elezione di Alfano appare come un segnale da non sottovalutare; un sintomo dell'affatto nuova debolezza di Berlusconi. Anche se il nuovo segretario fosse solo un parafulmine verso cui indirizzare eventuali malcontenti della base, anche se fosse solo un paravento per continuare ad usare il Partito come strumento per il conseguimento dei propri obiettivi, il fatto che Berlusconi ne senta il bisogno dimostra che il suo rapporto con gli elettori non è quello che è sempre stato; per la prima volta da quando è entrato in politica, Silvio Berlusconi sente che il suo carisma , da solo, non basta più. Sa che le sue scelte non sono più indiscutibili, accettate senza critiche dagli elettori perché, per definizione, le migliori per il futuro del paese; sente, ed è inaudito, il bisogno di nascondersi e di giustificarsi.

Indicare pubblicamente un numero due, insomma, è qualcosa che il Capo non fa, se sta bene. E’ una misura che prende, spesso in condizioni d’emergenza, solo quando sente, per motivi d’età, di salute o d’altro, di non poter più badare, da solo, alle sorti della ditta.

E’ spesso, la nomina di un vice, un uomo fidato e col minimo spirito d’iniziativa, il primo passo verso una successione.

Chi succederà al Capo?

Di solito, il Capo fa di tutto per lasciare l’azienda ai propri figli. Come criticarlo? Anche noi vorremmo lasciare ai nostri figli, assieme al nostro ricordo, i frutti del nostro lavoro di una vita. Come faremmo noi, anche Berlusconi cercherà di lasciare ai figli tutto quel che possiede: Mediaset, il PdL e l’Italia.

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