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Ancora cose di Cosa Nostra

Impossibile per il vostro reporter non ritornare a parlare de I pezzi mancanti – Viaggio nei misteri della mafia, di Salvo Palazzolo, editore Laterza, Euro16,00; non glielo si chieda. Anche perché la ricchezza del saggio è tale da fornire mille interessantissimi spunti.
 
Uno di essi riguarda la promiscuità fra mafia e politica.
Il testo racconta anche di Gioacchino Pennino, al contempo uomo d’onore, massone, stimato medico analista ed uomo politico della Democrazia Cristiana (consigliere comunale della corrente cianciminiana), che nel 1981 pensa di cambiare corrente; e, come funzionava allora nella DC, ne parla al suo capomafia Giuseppe di Maggio. Imperiosamente convocato da Bernardo Provenzano, viene bruscamente e minacciosamente invitato a rimanersene al suo posto.
 
Insomma, fra politica e mafia nessuna linea di demarcazione. Può stupire se qualche anno appresso il Governatore della Sicilia sarà condannato per reati di mafia ? La politica in Sicilia non è una soluzione ai problemi dell’isola, anzi la politica è il problema dei problemi. E ciò massimamente per come la classe politica viene a selezionarsi.
 
Un altro spunto è quello delle talpe, ossia dei traditori.
Il saggio di Palazzolo parte dai due soggetti giudiziariamente individuati, i funzionari della Polizia di Stato Bruno Contrada ed Ignazio D’Antone. Indica, però, ben altri ventisette soggetti che non hanno nome e cognome; come quello che informava l’ex Governatore Salvatore Cuffaro che l’uomo d’oro della Sanità Michele Aiello era nel mirino della magistratura; sino a quello che ha guidato i sicari di don Pino Puglisi.
 
Come la saga di re Artù ci insegna, bene e male indissolubilmente si mescolano l’uno all’altro. Da un lato i fedeli servitori dello Stato, i martiri di una scelta di dignità della propria persona, dall’altro, ma intimamente mescolati ai primi, quelli che della loro dignità hanno fatto mercimonio. E’ sciocco pensare che magistrati e forze dell’ordine siano a priori il bene: alcuni di loro svolgono con coscienziosità e dedizione il proprio lavoro sino a perderci la vita, altri nulla di tutto ciò, anzi si prostituiscono davanti al crimine.
 
Quello che conta veramente è la capacità delle Istituzioni di auto-depurarsi, di espellere da se il marcio. Come l’acqua corrente, che è sempre sana grazie all’ossigeno che la pervade; mentre l’acqua stagnate è marcia e portatrice di infezioni e di morte (Nichi Vendola ha creato per la situazione della città di Messina l’azzeccato termine verminaio;  i vermi vivono solo nell’acqua stagnante).
 
La conclusione che se ne ricava è che, nella lotta contro la mafia, quello che conta è il buon funzionamento delle Istituzioni; molto più dei successi (per carità, assolutamente utili e necessari) delle forze dell’ordine. Perché lor signori uomini della mafia sono come la primavera: ritornano sempre. Per contro un libro come quello di Salvo Palazzolo può arrecare alla struttura mafiosa molti più danni ed irrimediabili. E’ quello che si augura il vostro reporter, che vi rinnova la sua esortazione a leggerlo.

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