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Anche la mafia al Vinitaly?

La mafia avrebbe cercato di riciclare il denaro sporco reinvestendolo in settori dell’economia legale come la produzione del vino oltre che nel ramo dell’edilizia, degli appalti e dello smaltimento di rifiuti.

Anche la mafia al Vinitaly?

L’ingegner Francesco Lena, da trent’anni patron dell’azienda enologica “Abbazia Santa Anastasia” di Castelbuono, in provincia di Palermo, è stato arrestato nel capoluogo siciliano dalla sezione Criminalità organizzata della Squadra Mobile di Palermo con l’accusa di associazione mafiosa.

Ad incastrare l’imprenditore vitivinicolo ci sarebbero non solo le parole di alcuni collaboratori di giustizia ma anche delle intercettazioni. Nel blitz della polizia, coordinato dalla Dda (Direzione distrettuale antimafia) di Palermo, sono finiti in manette anche altre 18 persone, tra le quali costruttori e imprenditori insospettabili ritenuti prestanome o fiduciari di boss mafiosi: sono incriminate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e interposizione fittizia di beni. La maxi operazione antimafia ha visto impegnati quasi duecento agenti di polizia. Per i magistrati di Palermo, dietro gli investimenti di Lena ci sarebbero stati i capitali della mafia. Tra i vini di Lena più apprezzati, coltivati nei trecento ettari della tenuta di Castelbuono ed esportati in tutto il mondo, vi sono i rossi-rubino: il “Nero D’Avola” (400 mila bottiglie prodotte), “Passomaggio” (100 mila) e “Litra” (7 mila).

Sul sito web del marchio Abbazia Santa Anastasia compare lo slogan: “Enologia di prestigio”. Nella sezione che tratta le origini e la storia della casa vinicola, tra l’altro, si legge: “E’ il 1980 quando l’ingegnere Francesco Lena decide di rilevare e bonificare le terre con l’intento di realizzare un’azienda vitivinicola modello. Con vigneti dove l’uva viene raccolta a mano, durante le ore più fresche. Con un moderno stabilimento enologico dove le uve bianche vengono raffreddate prima ancora di essere ammostate e le rosse vengono fatte macerare lungamente. Con una cantina dove i vini bianchi si conservano sur lies a temperatura fresca e i grandi rossi invecchiano in barriques di quercia francese”. L’insospettabile Francesco Lena e la sua Abbazia Santa Anastasia, segnalata pure nelle più note guide del vino, da anni sono presenti anche a Verona alle varie edizioni del Vinitaly, il salone internazionale del vino e dei distillati di qualità.

Quest’anno l’azienda ha occupato lo stand espositivo 92/E del padiglione 2 della Fiera. I vini prodotti da Abbazia Santa Anastasia hanno raccolto negli anni vari riconoscimenti, anche al Vinitaly nel Concorso enologico internazionale: nel 1999 gran medaglia d’oro per Litra (annata ’96); nel 1999 e nel 2000 gran menzione per Nero D’Avola (annate ’97 e ’98); nel 1998 e nel 2000 gran menzione per Passomaggio (annate ’95 e ’99). Recentemente, l’imprenditore siciliano aveva puntato sull’enologia biodinamica. Nel 2003 cominciò “il processo di conversione al biologico dei vigneti” e nel 2005 “l’attivazione del metodo biodinamico”. Nel sito internet della sua cantina, Lena vanta inoltre di aver ottenuto, nel 2006, perfino la certificazione biologica da parte dell’Istituto per la certificazione etica e ambientale. Le indagini rivelano pertanto, ancora una volta, quanto stretti possono essere gli intrecci fra economia e criminalità organizzata.

Se le gravi accuse degli inquirenti a Lena fossero confermate, sarebbe davvero uno choc. Significherebbe che i tentacoli della mafia sono affondati pure nel comparto del vino e che il vino della mafia è riuscito da tempo a sbarcare addirittura nel famoso ed importante salone del Vinitaly. Quest’anno la rassegna fieristica dei vini doc ha raggiunto in cinque giorni (8-12 aprile) ben 152 mila visitatori, ha ricevuto la storica visita del presidente della repubblica Giorgio Napolitano ed ha ospitato, fra gli espositori, anche “Libera Terra Puglia”, l’attività vitivinicola della cooperativa sociale “Terre di Puglia-Libera Terra” che, con il proprio operato, restituisce dignità ai terreni confiscati alla criminalità organizzata pugliese, ispirandosi ai valori di legalità e solidarietà ed aderendo a “Libera contro le mafie”, la coraggiosa realtà guidata da don Luigi Ciotti. Libera Terra Puglia, nel padiglione 9 della Fiera di Verona, ha infatti testimoniato la capacità di creare opportunità occupazionale sulle terre confiscate alla mafia nella provincia di Brindisi, nei comuni di Mesagne, San Pietro Vernotico e Torchiarolo. E’ sconvolgente e doloroso, dunque, sapere che due mesi fa al Vinitaly stavano contemporaneamente in mostra in vetrina, a pochi metri di distanza, il vino dell’antimafia e, molto probabilmente, il vino della mafia.

Commenti all'articolo

  • Di HOPLA’ (---.---.---.72) 14 giugno 2010 18:19
    HOPLA'

    Dopo l’acqua...rubinetti chiusi, distribuzione con autobotte e multinazionali che imbottigliano e vendono acqua della sorgente di prossimità...ora il vino.
    E noi continuiamo a fare i finti tonti.

  • Di (---.---.---.30) 15 giugno 2010 12:20

    Mi spiace che ancora ci si meravigli che la mafia si sia inserita all’interno dell’economia sana di questo paese. In molti posti in Lombardia, Piemonte e Liguria la gestione della movimentazione della terra e delle imprese operanti nelle bonifiche e smaltimento dei rifiuti sono in mano alla ndrangheta. Nel sud la GDO (grande distribuzione organizzata) è in mano alla famiglie mafiose con il risultato che riescono a ripulire il denaro sporco e far saltare le più elementari leggi di mercato, considerato che si possano permettere di applicare prezzi di vendita più bassi rispetto alla concorrenza. 

    Qualcuno ancora ricorda la vicenda del "Café de Paris" di Via Vittorio Veneto a Roma, intestato ad un barbiere di un piccolo paese alle pendici dell’aspromonte?
    Ma non ci si chiede dove vadano ad essere investiti altrimenti i fiumi di denaro che questi ricavano?

    Francesco Azzarà

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