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Home page > Attualità > Alitalia prima per puntualità. La sai l’ultima sugli italiani?

Alitalia prima per puntualità. La sai l’ultima sugli italiani?

Oggi su alcuni quotidiani italiani campeggia una pagina pubblicitaria, acquistata da Alitalia per informare il mondo del suo record. No, non quello di compagnia aerea che ha prodotto il maggior deficit cumulato della storia dell’aviazione civile e tuttora continua a non riuscire a fallire in pace. Né quello di vettore che ha gemmato il maggior numero di BadCompany. No, si tratta del “record” di puntualità nei voli.

Da contribuente italiano, che ha messo, mette e metterà denaro nel pozzo nero Alitalia, sono perplesso per questa comunicazione. Pagare un’inserzione per comunicare una informazione del genere? E poi, il modo. Si parte dall’antica barzelletta sull’italiano cazzone vis à vis con altri cittadini stranieri, e si finisce con una sorta di sovrano “primi gli italiani”, che è variazione sul tema di “prima gli italiani”.

L’azienda ha avallato la “creazione” dell’agenzia pubblicitaria, forse pensando che fosse una patriottica rivincita contro tutti quei luoghi comuni che dipingono gli italiani come dei fessi incapaci a far di conto e sempre pronti a fare i furbi credendo di guadagnarci, salvo scoprire che è stato tutto un enorme boomerang, destinato a conficcarsi tra le chiappe tricolori. Spicca soprattutto quel “ciao”, con la A di Alitalia, che graficamente potrebbe anche essere sostituito da un plastico gesto dell’ombrello, all’indirizzo delle tasse dei contribuenti italiani.

Se le cose stanno in questi termini, però, diremmo che anche stavolta la tradizione è stata confermata. Abbiamo una compagnia in grave dissesto, in forte ritardo all’appuntamento col default, che sta terminando di bruciare una ricca dotazione di risorse finanziarie elargite dallo stato italiano in più che probabile violazione della disciplina comunitaria degli aiuti di stato (e tuttavia la Commissione Ue si è voltata dall’altra parte, avendo forse deciso che è giunto il tempo che gli italiani si impicchino con la propria corda).

Una compagnia che, malgrado tale dissesto pre-terminale e la persistente assenza di partner all’orizzonte, sei mesi dopo quella che doveva essere la data del nuovo inizio, riesce a trovare soldi da spendere per simili inserzioni. Perché quei soldi sono stati spesi, giusto? Oppure i giornali hanno donato lo spazio pubblicitario ad una nobile causa? Non bastava il passaparola che premia la qualità aziendale, o gli innumerevoli articoli “a gratis” dedicati dai quotidiani a questa leggendaria puntualità, negli ultimi mesi?

Sento già le verosimili giustificazioni ufficiali: “non sono stati spesi soldi, gli annunci sono stati pagati col ‘cambio merce’, cioè in cambio di biglietteria”. Ma perché, scusate, quei biglietti non hanno valore economico? Non sarebbero stati destinati all’acquisto da parte di viaggiatori paganti? Chiedo per un amico contribuente.

Come che sia, abbiamo l’inserzione sovranista, siatene orgoglioni. Così come dovrete rallegrarvi, oggi, per la notizia secondo cui le domande per il reddito di cittadinanza sarebbero sensibilmente inferiori al preventivato. Come scrivono oggi sul Sole Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci,

Accolte 487.677 domande di reddito e pensione di cittadinanza, circa un terzo degli 1,3 milioni di nuclei familiari di beneficiari preventivati dal governo. Per giunta, tra le 680.965 istanze lavorate dall’Inps, poco più di un quarto delle richieste (177.422) è stata respinta, mentre per circa 16 mila è necessaria un’ulteriore attività istruttoria.

Secondo le stime contenute nell’articolo di Marco Rogari e Gianni Trovati, sempre sul Sole, le stime tecniche più aggiornate parlano di un “avanzo” di fondi per il reddito di cittadinanza dell’ordine di 850 milioni. Ancora presto per tirare le somme ma, con grande prontezza, il vicepremier e bisministro Luigi Di Maio ha già messo le mani avanti, parlando di un avanzo di “centinaia di milioni”, che potrebbero essere dirottati ad altre tipologie di spesa sociale, come “le famiglie”, o magari (ipotizzano oggi alcuni giornali) ad avviare la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, la nota misura keynesiana della Magna Grecia vagheggiata nei giorni scorsi dal commissario straordinario Inps, Pasquale Tridico.

Possiamo comprendere l’ansia di Di Maio: si avvicinano le elezioni europee e serve distribuire caramelle ad elettori molto choosy. Alcuni giornali, non è chiaro se per sfottere o per l’abituale degrado linguistico, stanno già scrivendo di “tesoretto”. Un tesoretto di deficit, sia chiaro, ma come noto il deficit non esiste, perché “i soldi ci sono” e “possiamo attingere” ad esso.

Il tutto nel paese che tra poche settimane attuerà un taglio semi-lineare di spesa pubblica dei ministeri per 2 miliardi, concordato con la Commissione Ue. Sarà un bel momento: una stretta pro-ciclica, cioè nel momento in cui la congiuntura è debole. Però importante è trovare delle clientele a cui attribuire questo ipotetico avanzo del reddito di cittadinanza, prima del 26 maggio. Perché quel denaro è “cosa nostra”, “i soldi ci sono”, quindi “dobbiamo attingervi”.

Le cose non paiono così semplici, però. Perché i due grandi pozzi di spesa corrente di questa legge di bilancio, Quota 100 e reddito di cittadinanza, sono stati resi comunicanti da una lungimirante decisione del ministro Giovanni Tria. Questo significa certamente che l’eventuale eccesso di tiraggio di uno potrà essere compensato con l’eventuale avanzo dell’altro, ma anche che l’eventuale avanzo aggregato potrebbe essere usato a riduzione del deficit.

E qui ci attendiamo l’inevitabile assalto alla diligenza di Tria e del Mef, al grido “i soldi ci sono”, che fa di Di Maio e compari i veri eredi delle spese proletarie degli anni Settanta.

Perché ho accomunato l’iniziativa pubblicitaria di Alitalia col potenziale “tesoretto” di deficit del reddito di cittadinanza? Molto semplice: perché in entrambi i casi si porta avanti la tesi “prima gli italiani”, ma rigorosamente a deficit, cioè mettendosi una bella corda attorno al collo. Questo è esattamente ciò che distingue il sovranismo italiano, con le pezze al culo, dal nazionalismo di altri paesi, che prima pensano a mettere in sicurezza i conti pubblici, per non essere costretti ad andare in giro per il mondo a mendicare orgogliosamente.

L’Italia no, è differente, ha il suo eccezionalismo fallito da perseguire. E si torna al via, con le barzellette sull’italiano. Troppo stupido per non farsi del male.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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