• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

Home page > Tempo Libero > Fame&Tulipani > Alcol: 2,8 milioni di morti nel 2016

Alcol: 2,8 milioni di morti nel 2016

Secondo quanto emerge dalla più ampia revisione mai condotta sui rischi per la salute del consumo di alcol, sono 2,8 milioni le morti dovute all’alcol nel 2016 e anche un consumo minimo giornaliero provoca conseguenze dannose sulla nostra salute.

Periodicamente sentiamo citare studi sulle conseguenze del consumo di alcol sulla salute, ma se è piuttosto chiaro che abusare di sostanze alcoliche può portarci a vivere di meno e peggio, non è così semplice stimare qual è l’impatto reale del consumo non massiccio di alcol sulla salute di una popolazione.
Le ragioni sono di diversa natura: anzitutto studiare gli effetti dell’alcol sulla salute dell’organismo e quelli sulla salute di una popolazione richiedono metodi differenti. Nel secondo caso siamo all’interno di una prospettiva di salute pubblica, che richiede un approccio non solo medico ma prima di tutto epidemiologico, che tenga conto di tutti i fattori che possono influenzare una stima. Un esempio su tutti è stimare l’impatto del turismo sul consumo di alcol di un certo paese, elemento quasi mai considerato all’interno di studi di questo tipo.

Per questo i risultati pubblicati da The Lancet nei giorni scorsi sono uno spartiacque, sia dal punto di vista metodologico, in particolare per confrontare i diversi paesi, ma anche per quanto riguarda ciò che suggeriscono di fare. La conclusione degli autori è infatti molto secca: il rischio di mortalità per tutte le cause e in particolare per cancro aumenta con l’aumento dei livelli di consumo, e soprattutto non esiste un livello minimo di consumo completamente sicuro.

Nel 2016, l’uso di alcol ha portato a 2,8 milioni di morti ed è stato il principale fattore di rischio per morte prematura e disabilità tra le persone di età compresa tra i 15 e i 49 anni, rappresentando circa il 9% di tutti gli anni di vita persi in salute nei giovani uomini, oltre 2% nelle giovani donne. Nel complesso il consumo di alcolici è stato classificato come il settimo principale fattore di rischio per morte prematura e disabilità nel 2016, fra i 15-49 enni addirittura al primo posto. L’alcol è stato responsabile del 3,8% delle morti fra le donne con meno di 49 anni e del 12,2% dei decessi fra gli uomini dello stesso gruppo di età.

Gli autori si rifanno ai dati provenienti dal Global Burden of Disease del 2016, sulla base del quale hanno generato stime sul consumo di bevande alcoliche, sulle morti attribuibili a questa abitudine e sugli anni di vita persi in 195 paesi dal 1990 al 2016 per entrambi i sessi e considerando gruppi di età molto segmentati della popolazione. Nel 2016, il 32,5% degli abitanti del pianeta (il 25% delle donne e il 39% degli uomini) consuma abitualmente alcol. La quantità media di alcol consumata è stata pari a 0,73 drink al giorno per le donne e 1,7 per i maschi.

Rischio relativo ponderato di alcol per tutte le cause attribuibili, da bevande consumate al giorno. Pesi standardizzati per età determinati dal tasso DALY nel 2016, per entrambi i sessi. La linea tratteggiata è una linea di riferimento per un rischio relativo di 1. DALY = anno di vita aggiustato per disabilità.

Per chi ha più di 50 anni il principale problema correlato al consumo di alcol è il cancro, che rappresenta quasi un terzo (il 27,1%) delle morti per alcol nelle donne e quasi una su 5 (il 18 ,9%) negli uomini, e che risulta crescere con l’aumentare della quantità consumata quotidianamente. Nei paesi più poveri è la tubercolosi la principale causa di morte correlata all’alcol, seguita da cirrosi e altre malattie croniche del fegato, mentre nei paesi più ad alto reddito la maggior parte dell’impatto si traduce in ictus e cancro al fegato nelle donne.

La conclusione degli autori è netta perché suggerisce, pur sommessamente, una rivoluzione nel modo di pensare le politiche per affrontare gli impatti sanitari dell’abuso di alcol: ridurre non basta, bisogna cominciare a introdurre raccomandazioni all’astensione.
Un suggerimento per ora poco calcato, riportato in una frase in conclusione all’articolo, che però richiede un cambio di paradigma non banale.

Segui Cristina Da Rold su Twitter

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità